IL PRETENDENTE

Nicola Quattrone, diciannovenne calzolaio di Ferruzzano in provincia di Reggio Calabria, invaghitosi della diciassettenne Teresa Brancatisano, sua vicina di casa, ne chiede la mano a mezzo di Aurelio Cafari ma ne ottiene solo un secco rifiuto dai genitori della ragazza, che ritengono quel matrimonio non conveniente per le scarse condizioni economiche del pretendente.

Malgrado ciò, Nicola continua ad amoreggiare con Teresa ed a corteggiarla pubblicamente finché i fratelli della ragazza, Giuseppe e Domenico, gli ingiungono più volte di lasciare in pace la sorella e minacciano di bastonarlo se non obbedirà. Intanto un altro fratello, Antonio, si è fidanzato ed il futuro cognato, Giovanni Tallarida, comincia a frequentare casa Brancatisano, destando la gelosia di Nicola il quale, confidando ancora nell’affetto di Teresa non ha ancora perduto le speranze di impalmarla, il 17 marzo 1940, vieta a Giovanni Tallarida di frequentare la casa della sua amata.

Tallarida informa subito i fratelli Brancatisano e questi, la sera stessa, verso le sei e mezza, aspettano Nicola vicino casa e gli chiedono spiegazioni, invitandolo a recarsi con loro in luogo appartato. Da una parola all’altra nasce un vivace diverbio, durante il quale Giuseppe molla un ceffone a Nicola, ma la lite viene subito sedata dalla madre dei Brancatisano che trascina in casa i figli, mentre Nicola Quattrone, infuriato per l’onta dello schiaffo, se ne torna a casa e, trovata la porta chiusa a chiave, con un potente calcio la sfonda ed entra. Sa già quello che deve fare: appesa al muro c’è la doppietta caricata a pallini, la prende e poi, prevedendo che i fratelli Brancatisano si sarebbero presto fatti vedere, esce sul pianerottolo e aspetta, ma non si è reso conto che mentre era in casa per armarsi, Giuseppe Brancatisano è uscito ed è andato a casa di Giovanni Tallarida per tornare insieme indietro, prendere Teresa e andare al cinematografo.

Sono ormai le sette ed è buio pesto quando Giuseppe e Giovanni stanno passando sotto casa di Nicola Quattrone. Dalla voce Nicola riconosce Giuseppe e pensa che con lui ci sia il fratello. Imbraccia il fucile, lo punta verso i due che stanno camminando e spara tutti e due i colpi, colpendo mortalmente Giovanni Tallarida, mentre Giuseppe Brancatisano rimane miracolosamente illeso.

I Carabinieri di Bruzzano Zeffirio arrivano in serata, ma di Nicola Quattrone non ci sono tracce e riescono solo a sequestrare il fucile che l’omicida ha lasciato in casa. Il giorno dopo Nicola si consegna ai Carabinieri di Locri e racconta la sua versione dei fatti:

– Sono stato io e sono dolente di avere, per errore, ucciso Giovanni Tallarida, che era mio amico. I fratelli Brancatisano da più tempo avevano assunto verso di me contegno ostile ingiuriandomi, sfidandomi e minacciando di percuotermi per costringermi a desistere dal corteggiare la sorella Teresa, la quale mi era rimasta fedele e respingeva qualsiasi altra proposta di matrimonio che dai parenti le veniva fatta. Ieri sera, nel tornare a casa, fui avvicinato da Domenico e Giuseppe Brancatisano e Domenico, afferratomi per un braccio, voleva, come al solito, condurmi in luogo solitario. Io mi liberai dalla sua stretta, ma fui colpito a pugni sul viso dal fratello Giuseppe. I due si allontanarono ed io, sfondata con un calcio la porta di casa, che mia madre aveva lasciata chiusa, mi armai di fucile, sicuro che i miei avversari sarebbero tornati per usarmi violenza. Quando di lì a poco li vidi venire verso di me, udii parole minacciose pronunciate al mio indirizzo da Giuseppe e, preso dall’ira e dalla paura, esplosi contro il gruppo due colpi che, per disgrazia, colpirono Giovanni Tallarida, mio ottimo amico, che non distinsi per l’oscurità e lo scambiai per Domenico Brancatisano.

Le cose sono chiare, c’è un reo confesso, c’è l’arma del delitto, c’è un movente e si può rubricare il reato con assoluta certezza come omicidio per aberratio ictus, omicidio per errore, e Nicola Quattrone viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Locri.

La causa si discute il 2 dicembre 1940 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva che non ci sono dubbi sulla volontà omicida dell’imputato, determinata dalla contesa poco prima avvenuta e dallo schiaffo ricevuto da Brancatisano Giuseppe, onde va escluso, come sostenuto dalla difesa, che costui avesse solo intenzione di produrre semplici lesioni. È evidente, però, che la morte di Tallarida si verificò per errore, in quanto i colpi erano diretti contro i fratelli Brancatisano, dai quali Quattrone aveva ricevuto offesa, ed attinsero invece Tallarida per errore nei mezzi di esecuzione, cioè perché l’imputato cadde in equivoco a causa dell’oscurità nel ritenere che il compagno di Giuseppe Brancatisano, da lui conosciuto alla voce, fosse il fratello Domenico. Ciò si evince non solo dalla testimonianza di Giuseppe Brancatisano, ma anche dalla dichiarazione dei genitori della vittima i quali hanno affermato, come del resto è risultato dalle indagini dei Carabinieri e dai testimoni, che l’imputato era amico di Tallarida e non aveva contro di lui alcun motivo di risentimento. Decisiva, poi, è la circostanza che il Quattrone, poco prima di commettere il delitto, aveva avuto un alterco con i fratelli Brancatisano ed aveva ricevuto uno schiaffo da Giuseppe, ond’è chiaro che, non già la gelosia verso Tallarida, ma lo sdegno verso i fratelli Brancatisano lo spinse a sparare e che Tallarida fu attinto per errore.

La difesa tenta il tutto per tutto e chiede che Nicola Quattrone sia dichiarato non punibile per avere agito in stato di legittima difesa o, in subordine, l’eccesso colposo di legittima difesa, ma la Corte respinge le richieste, spiegando: basta considerare che egli era sulla porta di casa, armato di fucile, e che, nella più sfavorevole ipotesi, per mettersi al sicuro da qualunque eventuale aggressione (mai avvenuta) bastava che egli si riparasse nella sua abitazione, sbarrandone con ogni mezzo la porta. Egli che, munito di arma idonea e protetto dalla sicurezza del luogo e dalla facilità di trovare un pronto rifugio, si preparava ad aggredire e non si trovò mai, né poté mai credere di trovarsi, nella necessità di difendersi dal pericolo attuale di una offesa qualsiasi, giacché Tallarida e Giuseppe Brancatisano non avevano compiuto contro di lui alcun atto ostile, ma passavano per la strada al fine di recarsi a casa della famiglia Brancatisano (situata nella stessa linea della casa dei Quattrone ed a sette metri di distanza da essa) per chiamare la giovinetta Teresa ed accompagnarla al cinematografo.

Ma se Quattrone non ha agito per legittima difesa, ha agito in stato d’ira per fatto ingiusto altrui, come se l’omicidio fosse stato commesso in persona del Brancatisano, come previsto dal Codice Penale nel caso in cui, per errore, viene cagionata offesa a persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole ne risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere e quindi può godere di tutte le attenuanti che in quel caso gli sarebbero state concesse.

Affermata la responsabilità dell’imputato per omicidio volontario con l’attenuante dello stato d’ira, la Corte stima giusto determinare la pena in anni 14 di reclusione, oltre alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.

Il 3 marzo 1959, la Corte d’Appello di Catanzaro dichiara condonato un anno della pena.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Locri.