SFREGIATA

Maria Teresa Forte e suo marito Luigi Pacello, entrambi di Grisolia Cipollina, non vanno d’accordo e il 7 luglio 1945 Maria Teresa abbandona il tetto coniugale e va a vivere con i bambini da sua madre a Diamante

Ci sarebbe da chiedersi perché Maria Teresa e Luigi non vanno d’accordo e la risposta è semplice: lei ha un altro, Alfonso Capalbo, e vuole vivere liberamente la nuova relazione. Comunque, in un modo o nell’altro ci è riuscita e Luigi dovrà farsene una ragione.

Ma Luigi non si rassegna e dopo nemmeno un mese, il primo agosto, va a trovare Maria Teresa a Diamante e le dice:

– Ti perdono, torna a casa con me, ti prego…

– No, con te non ci torno! – gli risponde.

Luigi non si perde d’animo e, per invogliarla a tornare a casa, le fa una proposta:

– Dai, anche se non vuoi tornare a vivere insieme a me, vieni a casa perché voglio darti la metà dei prodotti che abbiamo coltivato insieme e le tessere annonarie tua e dei figlioli.

Maria Teresa ha paura, ma accetta ad una condizione: con loro due andrà sua sorella Maria Francesca. Luigi non ha niente in contrario ed i tre si avviano. Arrivati nell’abitato di Cipollina, Luigi torna alla carica e rinnova alla moglie la preghiera di ritornare con lui, ma anche questa volta Maria Teresa è categorica:

Non voglio più tornare con te!

A questo punto Luigi non ci vede più e, estratto di tasca un rasoio, comincia a colpirla al viso, squarciandole entrambe le guance, ed al collo, per fortuna senza ledere nessun vaso sanguigno vitale. Maria Teresa, nel tentativo di ripararsi dai colpi, resta ferita anche ad entrambi i pollici. Poi, alle grida disperate delle due sorelle accorre gente e Luigi scappa e si nasconde.

Maria Teresa se la cava in più di due mesi, ma il suo viso resterà sfigurato per il resto dei suoi giorni.

Oltre alla querela per lesioni gravi, Maria Teresa lo denuncia anche per inosservanza degli obblighi di assistenza familiari, adducendo il motivo che Luigi fa mancare i mezzi di sussistenza a lei ed ai loro due figlioletti. Le indagini condotte dall’Appuntato Raffaele Maruca in merito sono confermate da molti testimoni.

Luigi si costituisce dopo cinquantuno giorni di latitanza e, interrogato, fornisce la sua versione dei fatti:

Il primo agosto scorso venni a conoscenza della relazione illecita tra mia moglie e Alfonso Capalbo, ma lo stesso la pregai una prima volta di ritornare con me e lei rifiutò. Le rinnovai la preghiera e lei insistette nel suo rifiuto rispondendomi: “Non voglio più tornare con te perché ho un altro amante!”. Avuta da lei stessa la conferma del tradimento, ferii mia moglie per motivi d’onore!

Maria Teresa e sua sorella, unica testimone presente al ferimento, smentiscono categoricamente l’ultima parte della risposta che Luigi le ha attribuito: “perché ho un altro amante” e anche le indagini dell’Appuntato Maruca lo smentiscono: Luigi era a conoscenza della relazione illecita ben prima del primo agosto, come affermano anche i figli di Alfonso Capalbo:

Avevamo sollecitato nostro padre a rompere la tresca e avevamo reso consapevole Luigi Pacello, prima del primo agosto, dell’infedeltà della moglie.

La conseguenza di ciò è che Luigi non può invocare il motivo d’onore a giustificazione del reato. L’Appuntato Maruca però, quando scopre che Luigi sapeva già da tempo della relazione illecita della moglie, scopre anche che Maria Teresa è notoriamente conosciuta in Grisolia Cipollina come una prostituta e questo fatto potrebbe incidere molto sugli esiti del processo.

Luigi Pacello viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di lesioni personali gravi, aggravate dall’arma.

La causa si discute il 25 gennaio 1946 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva: il Pacello sostenne che cagionò le lesioni alla moglie a causa d’onore, ma è da opporre che da tempo aveva acquistato certa notizia della illecita relazione carnale tra lei e Capalbo e, di vero, la moglie era conosciuta come una prostituta. Ritiene la Corte, invece, che Pacello agì per motivi di particolare valore morale e sociale, che reagì in stato d’ira determinato dal fatto ingiusto della moglie e che gli si possono concedere, anche, le attenuanti generiche. Difatti la moglie lo abbandonò, portando seco i due figlioletti avuti dai loro rapporti legittimi, per continuare liberamente la illecita relazione carnale con Capalbo, mentre virtù e dovere di madre e di sposa le imponevano di fare altrimenti e, certo, il fatto di lei non si ispirò alla coscienza sociale. Inoltre, Maria Teresa Forte, rifiutandosi reiteratamente di ritornare con il marito onde coltivare meglio la tresca, determinò nell’imputato, con tale ingiusto procedere, stato d’ira e, per la qual cosa, egli reagì. Infine, sono attenuanti generiche a favore dell’imputato le circostanze che non ha riportato alcuna precedente condanna e che la moglie, abbandonandolo, portò seco non solo il loro due figlioletti, ma pure la roba che era nella casa coniugale.

Poi affronta l’aggravante dell’arma usata contro il coniuge e afferma: valutati integralmente l’episodio delittuoso e la personalità dell’imputato, le attenuanti dei motivi di particolare valore morale e sociale, della provocazione e delle attenuanti generiche sono prevalenti sulle aggravanti onde, non tenendosi conto degli aumenti di pena stabiliti, egli va condannato ad anni 1 e mesi 10 di reclusione. L’imputato dev’essere condannato altresì alla pena di mesi 3 di arresti per il porto ingiustificato di rasoio, alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.[1]

Maria Teresa, invece, la condanna se la porterà sul viso, ricucito alla meno peggio.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.