CUMU N’AGGRIZZUNI

Domenica 8 settembre 1946, ore 19,00. In casa di Angelo Greco a Cosenza, contrada Muoio Grande, si stanno mettendo a punto le ultime cose per il matrimonio tra Emilia Greco e il suo fidanzato Eugenio De Lia, che si celebrerà esattamente tra una settimana.

Francesco, il fratello della sposa, non partecipa all’organizzazione, è sempre stato contrario al fidanzamento e, anzi, nemmeno parla con il futuro cognato. Pare che i due non vadano d’accordo già da una decina di anni, da quando, secondo il racconto di Francesco, Eugenio e suo padre gli avevano promesso una solenne bastonatura per una banale discussione. Secondo Eugenio, invece, l’inimicizia sarebbe dovuta al fatto che Francesco avrebbe voluto far sposare sua sorella ad un suo cognato. Il risultato, quale che sia il motivo, è che i due si guardano male.

Francesco, non appena si comincia a parlare del matrimonio in un clima di cordialità, esce di casa e si siede fuori dalla porta a prendere il fresco, tirando qualche boccata di fumo da un mezzo sigaro. Poco prima delle 20,00, Francesco sente che dentro casa il prossimo, sgradito, cognato sta salutando per tornare a casa. Dopo un paio di minuti sua sorella Emilia esce di casa e si mette a sistemare il fuoco sul quale c’è una pentola, poi esce Eugenio che passa accanto al futuro, anche per lui sgradito, cognato.

All’improvviso la tranquillità della sera viene squarciata da tre colpi di rivoltella sparati in rapida successione e dalle urla di Emilia. Poi un altro colpo di rivoltella e Francesco si allontana in fretta.

Emilia si precipita a soccorrere il fidanzato caduto a terra bocconi, lo gira, gli solleva il capo dal quale perde sangue, lo bacia e gli bagna il viso di lacrime. Eugenio respira ma è incosciente: ha tre pallottole nel torace e un buco in testa; non c’è tempo da perdere, bisogna chiamare un medico. No, meglio cercare un mezzo di trasporto e portare immediatamente il ferito alla clinica del professor Giuseppe Santoro, l’unico in grado di poter fare un miracolo e salvargli la vita.

Cosenza, caserma dei Carabinieri, ore 22,00. Un uomo, visibilmente agitato, si presenta al piantone chiedendo di parlare con il comandante. Lo portano dal Vicebrigadiere Edoardo Sferrazza, che lo invita a spiegargli il motivo della richiesta:

Verso l’imbrunire, in contrada Muoio Grande, ho sparato tre o quattro colpi di rivoltella contro Eugenio De Lia, fidanzato di mia sorella

– Il motivo?

– Perché, come al suo solito, mi aveva insultato… io ero seduto su una pietra e lui, passandomi vicino, mi ha urtato in segno di sfida con un braccio alla testa e, mentre mi urtava, teneva le dita a segno di corna e cioè l’indice ed il mignolo aperti e gli altri chiusi. Io, perduta la ragione, ho estratto dalla tasca posteriore del pantalone una pistola a rotazione, che portavo sempre con me, e gli ho esploso contro tre o quattro colpi che non so dove lo attinsero.

– E perché vi ha fatto le corna?

Siccome mi si era reso nemico, io avevo proibito pure a mia moglie che lo parlasse, ma lui per mio dispetto la continuava a parlare e quando ero io in posti di potere assistere al loro discorso, questi attaccava sempre discorsi lunghi. Mia moglie, pur proibita di parlargli, lo parlava lo stesso e spesse volte li ho visti parlare assieme di nascosto nella campagna, tanto che in me è nato il dubbio che mia moglie con De Lia mi tradisse, però nulla ho visto di positivo

– E l’arma?

– L’ho persa lungo la strada…

A questo punto il Brigadiere chiama un suo sottoposto per organizzare un sopralluogo, ma alcuni Carabinieri di ritorno dalla libera uscita bloccano tutto perché gli riferiscono di aver sentito che nella clinica del professor Santoro era stato ricoverato un individuo ferito da arma da fuoco. Sospettando che si tratti di Eugenio De Lia, creduto invece morto, Sferrazza decide di andare in clinica a verificare di chi si tratti.

Si, il ferito è proprio Eugenio De Lia e al suo capezzale ci sono il futuro suocero in lacrime e altri individui. Sferrazza chiede al professor Santoro di potere interrogare il ferito, ma il medico oppone un cortese rifiuto: bisogna attendere qualche momento in quanto Eugenio si trova nella sala operatoria e gli si sta praticando il primo intervento. Nell’attesa, il Vicebrigadiere interroga Angelo Greco:

– Eugenio ha salutato ed è uscito per ritirarsi a casa e non appena si è trovato fuori ho sentito esplodere contemporaneamente tre o quattro colpi di arma da fuoco. Accorsi immediatamente e trovai Eugenio per terra abbracciato a mia figlia Emilia… c’era anche la sorella di Eugenio. Ho domandato cosa era successo e mi risposero che era stato sparato da mio figlio Francesco

– Vostro figlio era sul posto?

– No, non l’ho visto…

Poi torna il professor Santoro con un foglio di carta contenente l’elenco delle ferite riportate da Eugenio ed una bustina che al tatto sembra contenere un proiettile: due lesioni di arma da fuoco con solo forame di entrata all’emitorace sinistro, regione dorsale, con probabile penetrazione in cavità; una lesione da arma da fuoco all’emitorace destro, regione dorsale con solo forame d’entrata; una lesione da arma da fuoco alla volta cranica in corrispondenza del brugno, in cui il proiettile è penetrato fino all’osso su cui si è schiacciato. Il proiettile è stato estratto e repertato. Per le lesioni suddette si riserva il giudizio, dichiarando il De Lia in pericolo di vita.

Colpito alle spalle. Un miracolo che il colpo alla testa si sia fermato sull’osso e non l’abbia ammazzato all’istante.

Adesso si può andare a Contrada Muoio Grande per sentire ciò che ha da dire Emilia Greco.

– Mio fratello e il mio fidanzato erano nemici da prima del fidanzamento. Successivamente erano rimasti amici, ma poi siccome mio fratello si era convinto che il mio fidanzato lo pigliava in giro, si è reso nuovamente nemico.

– Francesco è geloso della moglie? Forse Eugenio gli ha dato da sospettare qualcosa? – insinua il Vicebrigadiere.

So che mio fratello era geloso della moglie e del mio fidanzato e forse perché lui le aveva imposto di non parlarlo e lei lo continuava a parlare. Questa gelosia in mio fratello è venuta circa un mese addietro ed io lo so perché statomi detto da mio fratello stesso

– Come si sono svolti i fatti?

Ero andata alla fontana e al ritorno ho trovato mio fratello seduto sopra una pietra avanti la porta di casa. Dopo poco il mio fidanzato, dovendosi ritirare a casa, è venuto a salutare a me che mi trovavo al focolare, fuori, che stavo bollendo un poco di acqua. Salutatami, il mio fidanzato ha cercato di allontanarsi per recarsi a casa sua ed io sono tornata ad assistere il fuoco, ma immediatamente dopo ho sentito tre colpi di arma da fuoco, esplosi proprio dove si trovavano mio fratello Francesco ed il mio fidanzato. Sono accorsa subito e ho visto il mio fidanzato a terra e mio fratello abbassato vicino a lui sparargli un altro colpo alla testa… poi è scappato mentre io mi sono affrettata a soccorrere Eugenio che mi chiedeva aiuto… – poi scoppia a piangere. Inutile insistere, meglio tornare in caserma.

La mattina del 9 settembre il professor Santoro fa recapitare in caserma un secondo, scarno referto medico con la situazione aggiornata: si è accertato con l’esame radiologico che la lesione da arma da fuoco all’emitorace destro, regione dorsale, ha interessato la colonna vertebrale, in cui il proiettile è penetrato. Da ciò la paralisi.

Non è tutto. Con più calma, il professor Giuseppe Santoro redige una relazione meglio dettagliata e la situazione appare peggiore di quanto già non fosse: la lesione al midollo spinale non solo ha causato la paralisi degli arti inferiori, ma anche la paralisi intestinale e vescicale. Nonostante ciò si riscontrano lievissimi miglioramenti, ma il proiettile non può essere estratto a causa di un vasto decubito sacrale di origine trofica. Inoltre, lo stesso proiettile ha provocato anche una pleurite siero-fibrinosa con tendenza alla purulenza, fortunatamente guarita con la cura penicillinica locale e generale. Non c’è pericolo di vita, ma Eugenio resterà invalido a vita.

Poi Angelo Greco, il padre di Francesco, fa delle dichiarazioni che gettano una luce nuova e sinistra su tutta la faccenda:

Mio figlio mi riferì di avere sorpreso Eugenio mentre parlava di nascosto con la propria moglie e mi disse queste parole: “Papà, costui ci fa le corna!”. Io, però, posso dichiarare che Eugenio è stato sempre educato verso tutti i membri della mia famiglia. Francesco è sempre stato un tipo un po’ strambo; una volta, circa nove anni fa, ebbe alcune parole di matrimonio con una certa signorina Mazzei di Rende ed in tale occasione mio figlio prese la Mazzei per la via e la baciò improvvisamente. Fu denunziato e si fece regolare processo. Sono sicuro che gli abbia dato di volta il cervello perché nella mia famiglia vi sono stati casi di pazzia e precisamente una figlia di mio fratello Domenico è morta pazza nel manicomio di Nocera ed una sorella di mio padre è morta pazza diversi anni fa in casa, dopo essere stata chiusa per due anni.

Dai fatti sono passati quasi tre mesi e Francesco Greco ancora non ha un difensore. In suo favore interviene l’avvocato Luigi Gullo che scrive un’accorata richiesta al Giudice Istruttore:

In difesa di Greco Francesco, imputato di tentato omicidio, fino ad oggi non assistito da nessun difensore. Lancio un grido di allarme per additare alla S.V.Ill.ma il grave stato mentale del Greco stesso: egli è un pazzo che va curato e non va crudelmente tenuto in galera.

Vi prego di disporre tutti gli accertamenti del caso.

È il 26 novembre 1946. Il giorno dopo Gullo scrive ancora per far presente che Francesco Greco, in passato, è stato curato dal professor Fortunato Broccolo  per grave malattia nervosa, da cui sarebbe ancora affetto.

Ma non succede niente e il 16 gennaio 1947, Gullo reitera la richiesta di perizia psichiatrica e questa volta ottiene di far testimoniare il professor Broccolo:

Come risulta dalla sua cartella clinica, il Greco si è presentato per la prima volta al mio studio per visita medica il 21/6/1946 sotto il nome di La Marcia Francesco. Accusava debolezza generale e disturbi nervosi vari che non ha saputo meglio definire che con una espressione dialettale “cumu n’aggrizzuni”. Disse pure che abusava della sua donna. Lo ritenni uno dei soliti ammalati con fobie, idee fisse eccetera, neuropatico, nevrastenico o, forse meglio, psiconevrastenico. Feci le prescrizioni del caso e lo licenziai. Il giorno 11 luglio ritornò dicendo che si sentiva sempre lo stesso e, di più, accusava dolori ai lombi. L’8 agosto lo visitai per l’ultima volta e mi lasciò sempre la convinzione che si trattava di un malato di nervi.

La testimonianza di Broccolo è decisiva e il Giudice Istruttore dispone che Francesco Greco sia sottoposto a perizia psichiatrica. Il Ministero di Grazia e Giustizia lo destina al manicomio giudiziario di Napoli dove si prenderà cura di lui il professor Giovan Battista Cacciapuoti.

Ci corre l’obbligo di riconoscere che la sindrome clinica da lui rivelata è nettissimamente quella di un delirio sensoriale geloso nel quale, se pure vi furono manifestazioni coattive in una fase di interna resistenza e di lotta contro l’accettazione delle ipotesi disonorevoli per la moglie e per lui, il posto essenziale nel determinismo delittuoso si deve dare al fatto sensoriale. La documentazione di una particolare disposizione alla deformazione del mondo esterno ed alla attesa di danni fisici misteriosi la abbiamo avuta nell’episodio del martellino da riflessi che egli ghermì e lanciò lontano come un ordigno misterioso e pericoloso che potesse agire su di lui.

La discontinuità degli atti e del contegno, l’isolamento di alcune frazioni della sua personalità da parte di altre che potrebbero agire da controllo e da freno per il mantenimento di un ordine interno e di una armonia esteriore ci fa riconoscere nel Greco la esistenza di un processo dissociativo per il quale la sua personalità lavora a mezzo di automatismi, a mezzo di centrali isolate, l’una ignara dell’altra, donde la capricciosità del contegno, gli atti bizzarri, le parole allusive ed il covare di propositi e di progetti quasi di nascosto a sé stesso ed ai quali, nei momenti di calma l’Io volta quasi volontariamente le spalle, sperando di ignorarli.

Perciò la nostra diagnosi clinica deve essere questa: Francesco Greco è ammalato di mente, colpito da una sindrome paranoide gelosa a base allucinatoria. Egli deve ritenersi, nel momento in cui commetteva il reato di cui è imputato, completamente privo della capacità di intendere e di volere.

Per tale condizione morbosa egli deve intendersi pericoloso per sé e per gli altri e deve essere chiuso in una casa di cura e custodia per malati di mente.

Napoli, 21 luglio 1947.

Il 3 aprile 1948 la Sezione Istruttoria presso la Corte d’Appello di Catanzaro chiude l’istruttoria dichiarando non doversi procedere contro Greco Francesco perché non imputabile per aver commesso i fatti in stato di completa incapacità di intendere e di volere. Ordina il ricovero del Greco in un manicomio giudiziario per un tempo non inferiore a due anni.[1]

Eugenio De Lia, intanto, è sempre paralizzato.


[1] ASCS, Processi definiti in istruttoria.

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