COME UNA MACABRA MATRIOSKA

Il Procuratore della Repubblica di Cosenza gira e rigira tra le mani la piccola busta per lettera che risulta imbucata a Napoli Ferrovia il primo gennaio 1948 alle 12,15. Che sia indirizzata a lui non ci sono dubbi, è scritto a macchina sulla busta: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI COSENZA. È quel “presso” a suggerirgli che la lettera è stata spedita da una persona di cultura, addentrata nel sistema giudiziario.

Ma perché il Magistrato è così attento a scrutare ogni minimo particolare della busta? Perché contiene una denuncia anonima molto grave:

A Praia a Mare giorni sono è morto il marito di Maffeo Trieste perché avvelenato dalla moglie e dalla famiglia di lei. Informatevi che gente sono i Maffeo e convincetevi che un grave delitto è stato commesso, forse impunemente.

Tendenzialmente il Procuratore è sempre stato contrario a prestare fede agli scritti anonimi, ma questa volta è diverso, l’anonimo merita fiducia e così dà disposizioni perché vengano iniziate le indagini per far luce sulla morte del quarantacinquenne  Francesco Cutietta, nato a Carini e residente a Praia a Mare, coniugato con Maffeo Triestina, prostituta di anni 31.

Ad occuparsi della faccenda è il Maresciallo Maggiore Saverio Scaravaglione, comandante la stazione di Praia a Mare. Scopre subito che Francesco e Triestina si erano sposati tre mesi prima, dopo aver vissuto maritalmente diversi anni e dopo avere avuto un figlio che il Cutietta si aveva legittimato all’atto del matrimonio. Detti coniugi pare che andavano d’accordo. Tutto regolare. Poi aggiunge: è inutile dire che la Maffeo, anche quando convivente col Cutietta, coltivava altri illeciti amori e precisamente con certo Faviere Pasquale, col quale ebbe un altro figlio. Un po’ meno regolare.

Ma in quali circostanze è morto Francesco Cutietta? Il Maresciallo Scaravaglione scopre che da più tempo era affetto da asma e pare che di questo male sia morto dopo circa tre giorni di aggravamento della malattia.

Pare? Non c’è un certificato medico che ne attesti la morte e ne chiarisca le cause? Pare proprio di no. Il Maresciallo, a questo proposito, non crede opportuno informarsi su chi fosse stato il medico (o i medici) curante e conclude:

Dopo la morte si è notato un certo interessamento da parte della moglie ed una certa fretta per la sepoltura, tanto che il cadavere, oltre alla regolare cassa di legno, è stato messo anche in una cassa di zinco. Non è stato possibile accertare se il Cutietta è stato effettivamente avvelenato e quindi sarebbe necessario far riesumare la salma per acclarare la verità su quanto è detto nell’anonimo. La Maffeo Trieste e la famiglia di lei sono gente malfamata. È il 9 gennaio 1948.

Il 21 gennaio il Giudice Istruttore ordina la riesumazione della salma per effettuare l’autopsia, che viene eseguita il giorno successivo nel cimitero di Praia a Mare.

Il dottor Luciano Tursi, arrivato dal capoluogo di provincia per effettuare le operazioni richieste dal Magistrato, qualcosa di strano la nota subito: tolta dal loculo la cassa d’abete rudimentale, senza rifiniture con coperchio inchiodato, dentro trova – come aveva già detto il Maresciallo – altra cassa di zinco in perfetto stato di conservazione e ben saldata; dissaldata tale cassa si rileva la presenza di altra cassa di legno di castagno, intarsiata ai bordi e lateralmente, il di cui coperchio è assicurato con delle viti. Perché tutto questo affannarsi ad isolare meglio possibile il cadavere, richiudendolo come in una macabra matrioska? Mistero.

Il cadavere, in incipiente stato di putrefazione, è vestito con un abito bleu, gilet dello stesso colore, camicia bianca con cravatta; altra camicia a righe bianche e marrone, maglia di lana grezza; i pantaloni sono assicurati da un paio di bretelle; mutande bianche lunghe. Calza scarpe in pelle marrone e calze grigie. Sulle ginocchia posa un cappello in feltro di color grigio; intorno alle mani vi è una coroncina da rosario; intorno al collo un fazzoletto di vari colori. Sembra proprio che nel momento del trapasso sia stato amorevolmente preparato.

Ovviamente in questa fase il perito non può esprimere alcun giudizio, il suo compito è quello di prelevare gli organi interni per sottoporli a perizia chimica  e scoprire se ci sono tracce di sostanze venefiche. Ci vorrà del tempo.

Il problema, adesso, è che a Cosenza e provincia non esistono gabinetti chimici sufficientemente attrezzati, né periti idonei per lo espletamento di tale delicato incarico, onde l’accertamento non può essere fatto in questa sede, scrive il Giudice Istruttore al suo omologo del Tribunale di Napoli, con preghiera di voler procedere a perizia tossicologica sui pezzi anatomici prelevati dal cadavere di Cutietta Francesco, al fine di stabilire se lo stesso è deceduto per ingestione di sostanze venefiche. È il 10 febbraio 1948.

La perizia viene affidata ai dottori periti chimico-tossicologi Ada Vigorito e Gennaro Dello Iojo e, nell’attesa dei risultati, il Giudice Istruttore di Cosenza rintraccia i due medici che curarono Francesco Cutietta prima del suo decesso. Il dottor Francesco Giugni di Praia a Mare ricorda:

Ho curato Francesco Cutietta circa quattro o cinque anni fa. Successivamente sono stato chiamato saltuariamente fino a tre o quattro giorni prima del suo decesso. Cutietta aveva un enfisema polmonare ed inoltre aveva delle lesioni specifiche di vecchia data ai polmoni, cicatrizzate. Quanto affermo risultò anche agli esami radiografici a cui Cutietta si sottopose. Tre o quattro giorni prima della sua morte lo visitai e rilevai la solita sindrome respiratoria, senz’altro di nuovo. In quest’ultima visita che feci all’infermo, che peraltro io trovai a letto, non rilevai nulla da cui comunque si fosse potuto pensare ad una prossima fine. Non sono in grado di ricordare, dato il tempo trascorso, se prescrissi all’infermo qualche medicamento.

Il dottor Tommaso Nappi visitò l’infermo a Natale,  il giorno prima della morte:

Nella mattinata del 25 dicembre dell’anno decorso, fui chiamato al capezzale di Francesco Cutietta. Trovai l’infermo in uno stato di collasso: polso aritmico molto frequente, piccolo, con dispnea e respiro molto superficiale. Gli ho praticato allora una iniezione di Digalen e sono rimasto al capezzale fino a quando non ho notato una certa miglioria. L’infermo mi disse che aveva avuto una crisi e che si sentiva come se gli mancasse l’aria, dopo di che sono andato via lasciando ai familiari una seconda fiala di Digalen, che consigliai di praticare nel tardo pomeriggio ove le condizioni dell’infermo lo avessero richiesto. Durante la notte fui una seconda volta chiamato di urgenza, verso le ore ventitre. Accorso, trovai Cutietta già in avanzato stato agonico. Gli praticai una iniezione di Sparteina, andando poi via subito.

Sembrerebbe essersi verificato un aggravamento repentino ed imprevisto. Forse qualcosa nella morte di Francesco Cutietta davvero  non quadra. Ma non quadra, d’altra parte, nemmeno l’assoluta assenza di azione investigativa: nessun testimone ascoltato, ad eccezione dei medici, e nessuno dei sospettati interrogato per cercare di individuare un possibile movente che giustifichi tutta l’indagine.

 I periti Ada Vigorito e Gennaro Dello Iojo, il 18 maggio 1948 consegnano ai Magistrati i risultati della perizia:

Il quesito postoci dalla S.V. non limita il nostro mandato all’accertamento puro e semplice della presenza o meno di sostanze venefiche ma ci richiede, più estensivamente, di stabilire se la loro eventuale presenza ha prodotto la morte del Cutietta.

Per formulare il nostro giudizio avevamo quindi bisogno di tutte quelle notizie, sia di ordine clinico che autoptico, che potessero servire ad integrare, ed eventualmente convalidare, il risultato dell’esame chimico vero e proprio, specie in considerazione del fatto che molte sostanze tossiche, come ad esempio l’arsenico, sono spesso usate come medicamenti ed a dosi anche relativamente elevate. E poiché alligato agli atti non trovammo che uno scarno verbale di autopsia, fummo costretti a pregare la S.V. di voler richiedere le storie cliniche ai medici curanti e maggiori ragguagli al perito settore.

In possesso di questi dati abbiamo constatato che dall’esame chimico-tossicologico dei reperti cadaverici non è risultata la presenza di alcuna sostanza tossica, sia di natura organica che inorganica.

Con tutta coscienza possiamo quindi concludere che la morte di Cutietta Francesco non è avvenuta per ingestione di sostanze venefiche.

Morte naturale.

Le carte vanno e vengono tra le Procure di Napoli,  Cosenza e Catanzaro per qualche settimana, poi il 20 giugno 1948 il Pubblico Ministero a cui è affidato il caso scrive:

Considerato che, in esisto al responso peritale, è venuto meno il sospetto che la morte del Cutietta fosse derivata da azione delittuosa e che, conseguentemente, l’azione penale non può essere iniziata, chiede che il Giudice Istruttore ordini la trasmissione degli atti all’archivio.

Richiesta accolta.

L’anonimo erudito (e apparentemente bene informato) è stato clamorosamente smentito, come quasi sempre accade agli anonimi accusatori.

Francesco Cutietta può riposare in santa pace.[1]


[1] ASCS, Processi definiti in Istruttoria.

Lascia il primo commento

Lascia un commento