Verso metà mattinata del 9 settembre 1946, l’Appuntato Paolo Carucci, in servizio nella stazione di San Roberto in provincia di Reggio Calabria, viene informato dalla voce pubblica che in contrada Aspromonte, e precisamente in località Canale della Corte, nell’abitazione di Maria Romeo la di lei sorella a nome Vincenzina – rapita sin dal 6 settembre dal giovane Francesco D’Agostino in unione ad altre otto persone – ad ora imprecisata della notte appena passata aveva ucciso il suo rapitore a mezzo di un coltello.
Qualcosa non quadra: il rapitore ucciso in casa della sorella della rapita?
L’Appuntato corre in caserma ad avvisare il comandante, Maresciallo Antonio D’Ambrosio, il quale va di corsa sul posto, accompagnato dall’Appuntato Paolo Carucci, dalla Guardia Forestale Calogero Callari e dalla Guardia Comunale Pietro Catalano.
Nei pressi del fabbricato, seduta all’ombra di alcuni pioppi il Maresciallo nota una donna, con accanto due bambini, che sta piangendo e che, non appena vede gli uomini in divisa accentua il pianto e comincia a cantilenare:
– Disgraziata, disgraziata… l’ha ammazzato…
La donna è Maria Romeo, la sorella della presunta omicida, che ha una macchia di sangue sul vestito e viene subito interrogata.
– Chi ha ammazzato chi?
– Mia sorella Vincenzina… ha ammazzato Francesco D’Agostino… è lì dentro – fa, indicando la casa.
In una stanza con annesso un cucinino c’è, disteso alla supina sul letto matrimoniale e con addosso solo le mutande, il cadavere di Francesco D’Agostino con la faccia quasi piena di sangue provocato da una ferita alla gola ed altra alla tempia sinistra. Su questa ferita era stata messa una veste, ormai quasi tutta intrisa di sangue, e sul polso del braccio destro, rimasto teso in alto, tra il sangue rappreso il Maresciallo nota l’impronta di una stretta con la mano. Sul letto, a pochissima distanza del cadavere, c’è un coltello a serramanico con la lama lunga circa sei centimetri, ancora intriso di sangue alquanto seccato. Osservandone attentamente la posizione, il Maresciallo ha l’impressione che il coltello sia stato messo vicino al cadavere perché non è nella posizione naturale di chi commette un simile gesto.
– Chi lo ha messo qui? – chiede a Maria Romeo indicando il coltello.
– Non lo so… mia sorella, dopo l’omicidio l’aveva nascosto sotto il cuscino…
– E Vincenzina dov’è?
– Stamattina verso le otto, in compagnia di nostro cugino Rocco Romeo, si è portata al suo domicilio in contrada Piani, per poi costituirsi a San Roberto nella vostra caserma.
Lasciata la Guardia Municipale a piantonare il cadavere, il Maresciallo e gli altri due tornano in caserma, ma non trovano la ventiquattrenne Vincenzina, che però si presenta la sera stessa accompagnata da suo padre e viene subito interrogata:
– Durante il mese di maggio certo Francesco D’Agostino mi chiedeva in sposa tramite i miei genitori, ma io non ho accondisceso al volere dei miei poiché non ero intenzionata a prendere marito. Durante il mese di giugno, e precisamente il 25, il giovane Antonio Cotroneo, tramite mia sorella Paola, mi chiedeva in sposa. Io risposi a mia sorella che se era contento mio padre accondiscendevo. Successivamente informai mio padre e lui mi rispose che non era di suo gradimento il matrimonio. In seguito a tale decisione di mio padre, egli provvedeva ad informare i pretendenti che io non ero affatto intenzionata a fare tale passo e con ciò i due potevano essere liberi di scegliere qualche altra giovane. Nel pomeriggio del giorno 6 mi recai da mia sorella Maria per portare da mangiare ai miei tre fratelli, che fanno i pastori in contrada Piani, e tornai subito a casa in compagnia di mia zia Rosina Romeo, ma nel far ritorno, in contrada Aquila, dai cespugli sono saltate fuori circa otto persone armate di fucili, fra i quali ho potuto riconoscere Vincenzo Olivieri, Domenico Baggiani, Filippo Busceti soprannominato Coddruzzu, Giovanni Laganà, Giuseppe Morena, Giuseppe Musolino, Carmelo Laganà e Antonio Catalano, i quali, senza dir parola, e dopo aver provveduto all’allontanamento di mia zia, mi conducevano in direzione della contrada San Giorgio e dopo circa mezz’ora di cammino, da un cespuglio veniva fuori il giovane Francesco D’Agostino, il quale mi disse che dovevo andare con lui. Mi condussero in una casa disabitata e prima di far notte, per espressa mia volontà ed insistenza, mi condussero a casa di mia sorella Maria. Colà, dopo aver cenato, i rapitori attesero fuori di casa per tutta la notte, mentre io e D’Agostino fummo chiusi a chiave nella stanza da letto da Giuseppe Musolino, alla presenza anche di mia sorella, la quale era contentissima che io andassi in sposa a D’Agostino. Costui mi invogliava a coricarmi, ma io non ho aderito ai suoi ripetuti inviti e rimasi per tutta la notte seduta su un cassettone. Fatto giorno, Musolino aprì la porta ed io uscii. I rapitori erano in giro in quei pressi, in attesa di una eventuale aggressione da parte dei miei. Durante il giorno mia sorella mi ha più volte consigliato di unirmi a D’Agostino, ma io le risposi che non ero affatto propensa a fare tale passo. Durante la seconda notte, malgrado l’insistenza continuata dell’ucciso di costringermi a mettermi a letto con lui, io opposi una viva resistenza, senza che D’Agostino riuscisse a contaminarmi. La mattina seguente mia sorella mi faceva ancora pressioni affinché mi decidessi una buona volta ad unirmi col D’Agostino, ma a nulla valsero le sue insistenze. Poi venne la madre di D’Agostino con un canestro contenente viveri, una bottiglia di vermouth e delle paste. La stessa, appena mi avvistò è corsa ad abbracciarmi ed a baciarmi; successivamente D’Agostino distribuì il vermouth e le paste a tutti i presenti. La madre di D’Agostino mi chiamò in disparte e benevolmente mi consigliava di decidermi a passare a nozze col figlio. Io le risposi che ero desiderosa, innanzi tutto, di recarmi a casa mia con lei e col figlio. Lei, di rimando, mi rispose che per ora non era possibile aderire alla mia richiesta. Verso le quattro del pomeriggio la madre di D’Agostino si congedava da me dopo avermi abbracciata e baciata. La sera, dopo aver cenato con mia sorella, Giuseppe Musolino e mio cognato Francesco Morena, questi se ne uscivano e non so chi di essi abbia chiuso a chiave la porta della stanzetta dove io e D’Agostino dimoravamo – adesso il racconto si fa veramente drammatico –. La notte dall’otto al nove D’Agostino insisteva continuamente a svestirmi e passare a letto con lui, ma io gli resistetti, soggiungendogli che io, se prima non vedevo i documenti fatti per il matrimonio e se non andavo in chiesa con lui per passare a nozze, non sarebbe riuscito a contaminarmi. Malgrado ciò insisteva ancora, ma poiché io gli resistevo con energia, egli mi disse che mi avrebbe accoltellata ed effettivamente prese un coltello che teneva in tasca. A ciò io, a viva forza e sul letto, riuscii a togliergli l’arma e mi avventai su di lui e mentre con la mano sinistra l’avevo inchiodato sul letto, con la destra, con violenza, gli diedi un colpo di coltello alla gola e lui, appena prima di essere colpito riuscì appena a pronunciare la seguente parola: “Disgraziata!”. Siccome dava ancora segni di vita, gli conficcai a viva forza il coltello nell’orecchio sinistro, indi posai il coltello sul letto e, intervenuta subito mia sorella dietro mia chiamata, le confidai di avere ucciso D’Agostino poiché egli stava per uccidere me e, buttandomi tra le braccia della mia parente Francesca Morena, la imploravo che mi conducesse da voi. Mia sorella e la Morena, alla vista del morto si misero a piangere. Poi sono arrivati mio cognato e Giuseppe Musolino il quale, dopo poco, scomparve. Appena fatto giorno informai mia sorella di volermi recare a costituirmi, invece presi la via di casa e colà trovai mio padre al quale confessai di aver, io sola, ucciso D’Agostino. Mio padre mi rispose che non dovevo farlo e poscia si metteva a piangere…
– Ma benedetta ragazza, visto che le cose ormai erano a quel punto, non potevi sposartelo?
– No, sin dal primo giorno che vidi D’Agostino non mi ha fatto alcuna simpatia, per cui non ero affatto intenzionata a passare a nozze, nonostante i miei genitori, come pure quasi tutti i parenti, erano contenti che accettassi D’Agostino come sposo.
– E se non sposavi lui o un altro, che avresti fatto? Volevi restare zitella?
– La mia intenzione era quella di recarmi in America con mio fratello, esclusivamente per non sentire più delle chiacchiere che si accentuavano sul mio conto poiché avevo avuto diverse richieste di matrimonio.
– Eri a casa di tua sorella, perché non sei scappata?
– Ero abbastanza sorvegliata e quindi ogni mio tentativo di fuga mi è stato vano.
– È strano però come D’Agostino non sia riuscito, come dici, a farti sua…
– Io mi sono sempre difesa e, dato il suo debole fisico, riuscivo sempre a sopraffarlo.
– Qualcuno ti ha consigliato di disfarti di D’Agostino? Magari un altro pretendente… dì la verità… chi ti ha aiutato ad ucciderlo?
– Sono stata da sola ad uccidere D’Agostino e non in compagnia di alcuna persona, né tampoco ho agito per timore o pressione o consigli di persona alcuna.
Quindi Vincenzina sottoscrive una querela contro i suoi rapitori. Accompagnata in camera di sicurezza, viene chiamata Maria Romeo, che contraddice il racconto fatto dalla sorella Vincenza:
– Mia sorella in un primo momento aveva aderito alla proposta di matrimonio fatta da D’Agostino nel mese di maggio, mentre in un secondo tempo ebbe ad esprimersi di non accettare il fidanzamento poiché amava un altro giovanotto a nome Antonino Cotroneo. Il mattino del giorno sette corrente mi alzai ed aprii l’uscio della stanzetta ove Vincenza e D’Agostino dimoravano e ho potuto notare che mia sorella appariva sorridente, come pure D’Agostino. Durante il giorno ho potuto notare che qualche volta mia sorella ha baciato di sua spontanea volontà D’Agostino e, stante ciò, in un certo qual modo mi tranquillizzai avendo notato che fra loro correvano buoni rapporti di amicizia ed amore. Dopo poco mia sorella mi confidava di essere stata deflorata da D’Agostino, che si era rassegnata a passare a nozze con lui e che mi premurassi per i voluti documenti perché era dispostissima a tutto. Quando venne la madre di D’Agostino, mia sorella l’abbracciò chiedendole perdono di ciò che aveva commesso e che il di lei figlio le apparteneva, considerandolo come marito. Prima che la madre di D’Agostino si allontanasse dal mio stabile sopraggiunsero tre ragazze ed una di queste avvicinava mia sorella e le suggeriva qualcosa all’orecchio. Ciò è stato notato dalla madre di D’Agostino ed io ho subito notato che mia sorella non era più sorridente e tranquilla come prima, ma bensì si dimostrava preoccupata e col pensiero lontano. Tale contegno fu mantenuto fino a sera e, prima di chiudere l’uscio della loro stanza, lei mi comunicava che aveva un forte mal di testa, soggiungendo inoltre di avere un brutto presentimento perché aveva udito il canto della civetta. Durante la notte ho udito che D’Agostino invitava mia sorella a mettersi a letto e lei gli rispondeva che doveva smorzare la luce altrimenti non sarebbe andata a letto. Dopo poco ho udito che si baciucchiavano e quindi mi addormentai alquanto tranquilla. Nelle prime ore del giorno nove, prima ancora che facesse giorno, ho udito mia sorella che chiedeva con insistenza il mio intervento ed io, con mia cugina Francesca Morena, mi sono precipitata nella stanza. Appena aprii la porta mia sorella mi abbracciava dicendomi: “mi sciarriai cu me maritu picchì mi voliva mmazzari e jeu ci tirai u cuteddu d’i mani e ci tiraia du corpa. Levami ‘nda caserma ca, jeu u mmazzai e jeu u pagu, non ci diri nenti a to maritu, sellura mindi vaju e u pagati vuatri”. Io invece andai a chiamarlo mentre dormiva per terra sotto gli alberi poco distanti da casa, unitamente a Giuseppe Musolino, e mia sorella, alla sua vista, è scappata fuori di casa, ma fu subito raggiunta da mio marito, che la riconduceva nuovamente a casa. Lei riferiva di lasciarla fuori, differentemente sarebbe morta e noi altri dovevamo scontare tale colpa.
– La porta era aperta?
– No, ho dovuto aprirla girando la chiave che trovavasi nella serratura e che io stessa avevo chiuso la sera prima, come di consueto.
– Vincenza sostiene che la porta veniva chiusa ed aperta da Giuseppe Musolino…
– No, chiudevo ed aprivo io, come ho detto.
– Come mai avete quella macchia di sangue sul petto?
– Salii sul letto ove giaceva il cadavere per prendere il mio portafoglio, contenente sessantamila lire, che era custodito dentro un materasso, all’altezza delle spalle di D’Agostino, ed evidentemente la mia veste ha toccato la parte insanguinata del cadavere.
– L’avete aiutata voi ad ucciderlo?
– No! ma penso che mia sorella, da sola, non ha potuto commettere tale omicidio e che qualcuno si sia introdotto dalla finestra posta dall’altro lato della porta di ingresso del mio stabile, sita alla stanza attigua a quella dove dimoravano mia sorella e D’Agostino.
– E chi potrebbe essere?
– È di mia conoscenza che certa Anna Musolino e Paolo Barillà spesso durante il fidanzamento, di nascosto avevano contatto con mia sorella ed evidentemente le portavano delle notizie sul conto del fidanzato di mia sorella, a nome Antonino Cotroneo. Tramite la madre di D’Agostino sono venuta a conoscenza che Cotroneo si era espresso con persone che avrebbe sposato mia sorella anche se avesse dato alla luce un bambino mediante l’unione col defunto D’Agostino.
– Vincenza però assicura di essere riuscita sempre a respingere D’Agostino e di essere intatta.
– In verità, prima di andarsene a casa sua, mia sorella disse a nostro cugino Rocco Romeo, che era sopraggiunto, che lei conservava tuttora la sua verginità e che era riuscita a prendere in giro un po’ tutti.
– Confessate, l’avete aiutata voi?
– Io sono innocente, ma insisto nel dire che mia sorella, da sola, non poteva commettere tale omicidio.
– Lei invece dice di aver fatto tutto da sola perché più forte di D’Agostino…
– Certamente mia sorella, prima di costituirsi si è portata da qualche avvocato per consigliarsi circa il modo di rispondere al suo interrogatorio…
Interrogata nuovamente il giorno dopo, Maria aggiunge qualcosa e si contraddice:
– Chi c’era con vostra sorella e D’Agostino quando vennero a casa vostra?
– C’erano Vincenzo Olivieri, Giuseppe Musolino, Giuseppe Morena, Domenico Calabrese, Giovanni Laganà, Carmelo Laganà e Antonio Catalano, i quali rapirono mia sorella… no, mi correggo… appena giunta a casa mia sorella con D’Agostino, sono comparsi, fuori dall’abitato, Giovanni Laganà, Giuseppe Musolino, mio fratello Antonino e mio marito Francesco Morena. Gli stessi sono rimasti fuori perché temevano che, venendo a conoscenza, mio padre sarebbe venuto con altre persone e potevano succedere guai maggiori.
– E che facevano?
– Sorvegliavano l’abitato, ma senza fucile. Però la sera dell’otto, mentre accompagnavo fuori mia sorella che doveva orinare, ho potuto notare la presenza di mio marito, mio fratello e Giuseppe Musolino armati di fucile da caccia, mentre D’Agostino controllava mia sorella affinché non scappasse.
– Che ruolo ha avuto vostro fratello Antonino?
– Era in pieno accordo con D’Agostino poiché era contentissimo che passasse a nozze con Vincenzina.
– Parlatemi di questo Paolo Barillà che avrebbe avuto contatti con Vincenza durante la permanenza a casa vostra.
– Paolo Barillà è un nostro cugino e tra lui e D’Agostino non correvano buoni rapporti. Mio cugino lottò sempre affinché Vincenzina passasse a matrimonio con Antonino Cotroneo.
– Guardate bene questo coltello e ditemi se sapete a chi appartiene – le chiede il Maresciallo mostrandole il coltello trovato accanto al cadavere.
– Il coltello intriso di sangue che mi presentate è in modo non dubbio quello di mio fratello, che lo aveva acquistato o a Reggio Calabria o durante la festa della Madonna della Montagna, dove era andato con D’Alessandro e che è servito a mia sorella per uccidere il fidanzato.
– Ne siete sicura?
– Si, se ne è servito mio fratello quando ha mangiato a casa mia per tagliare il pane, il formaggio e dei fichidindia.
– E vostra sorella come ne sarebbe venuta in possesso?
– Penso che, dopo i pranzi e le cene dei giorni sette e otto passati durante i quali lo adoperò, lo abbia dimenticato sul tavolo e Vincenzina l’abbia nascosto e durante la notte dall’otto al nove lo abbia usato per commettere l’omicidio.
Ma a qualcuno viene in mente che esiste la possibilità che Francesco Romeo abbia dato il coltello a D’Agostino per minacciare sua sorella Vincenzina e farla cedere una buona volta? Invece l’impressione è che Maria stia cercando in tutti i modi di aggravare la posizione di Vincenzina. Certamente per sviare da sé i sospetti di una eventuale, possibile correità, ma forse per coprire qualcosa o qualcuno. Vedremo, ma il caso è molto ingarbugliato.
Interrogato, Antonino Romeo, il fratello di Vincenzina, conferma di aver dimenticato il coltello sul tavolo e di non essere andato a riprenderlo perché se ne accorse quando era già notte. Ma quando glielo mostrano non lo riconosce come suo, affermando che il coltello somiglia molto al suo. Poi smentisce Maria e afferma di essere sicuro che Vincenzina era capace di commettere l’omicidio da sola perché è stata sempre una ragazza coraggiosa e non aveva mai provato paura da chicchessia.
Carmine Romeo, il padre di Vincenzina, interrogato, svela un retroscena:
– Mia figlia Vincenzina non era propensa al matrimonio con D’Agostino sia perché ancora sprovvista di corredo, sia perché ad essa D’Agostino non piaceva. Nel mentre si presentò nell’ombra altro pretendente che io sconoscevo, perché mai presentatosi a me per chiedere mia figlia in sposa, e precisamente certo Antonino Cotroneo, verso il quale mi risulta che mia figlia aveva simpatia. E poiché, a quanto ho potuto discernere anche per detta della madre dell’ucciso, si progettava che mia figlia scappasse col Cotroneo, cosa che fu sventata dalla madre di D’Agostino, anche quest’ultimo si adoperò per rapire mia figlia prima che se ne andasse col Cotroneo. È chiaro, pertanto, che i due pretendenti facevano a gara a chi doveva rapire mia figlia. Vi riuscì D’Agostino, che non era gradito a mia figlia…
Antonino Cotroneo nega ogni coinvolgimento nel brutto affare e, dopo aver dettagliatamente descritto i suoi movimenti tra l’otto ed il nove settembre 1946 e nominato le persone che ha incontrato, spiega:
– Dopo di essere stato congedato dalla famiglia della giovane Vincenza Romeo che non era possibile un matrimonio con quest’ultima, io non mi sono più occupato di lei, né ho interessato alcuna persona affinché riuscisse a distogliere detta giovane per un eventuale matrimonio.
Ma i Carabinieri, cedendo alla voce pubblica, lo mettono in stato di fermo insieme a Paolo Barillà allo scopo di indagare se quanto veniva riferito risultava a verità o meno. Ma poiché nessuna responsabilità è emersa a carico degli stessi, venivano posti in libertà.
C’è un solo modo per stabilire se ha detto la verità Vincenzina o se l’ha detta sua sorella Maria: una visita ginecologica: fattala adagiare su un tavolo e messa a gambe divaricate, ho potuto notare che l’organo genitale è perfettamente integro e non ho trovato nessuna traccia di violenza nelle parti circostanti. Sul resto del corpo esistono delle lievi contusioni.
Ma per una buona notizia ce n’è una cattiva per Vincenzina. I risultati dell’autopsia smentiscono la sua ricostruzione dell’omicidio: la situazione e direzione dello squarcio al collo smentiscono categoricamente le modalità di esecuzione del delitto date dalla Romeo. Con la mano sinistra impegnata a tener ferma la vittima per il petto e a rovesciarla sul letto, non poteva con la destra colpirla al lato destro del collo in modo da approfondire il coltello nei tessuti profondi e da allungare la ferita sino alla fossa sopraclavicolare. Il più provetto macellaio non riesce a scannare il più timido agnello in tal modo. La profondità e vastità dello squarcio indicano la immobilità del bersaglio e la nessuna resistenza della vittima, possibile solo nel sonno e non in una colluttazione durante la quale testa, braccia e gambe sono libere nei loro totali movimenti. Si potrebbe chiedere conto ai periti dell’impronta di una stretta con la mano sul polso destro della vittima, che è, al contrario, l’indizio di una colluttazione, ma nessuno se ne preoccupa e questo dà modo al Pubblico Ministero di affermare l’inesistenza dell’aggressione da parte di D’Alessandro a Vincenzina. E la mancata aggressione non può essere sostituita da altra temuta o prossima per fondarvi le basi dell’autotutela perché l’imputata restò tutti e tre i giorni trascorsi con D’Agostino perfettamente libera nei suoi movimenti e in grado, quindi, di ricorrere al padre, a lei favorevole, o alle Autorità. È la sorella Maria che lo dice e perciò persona attendibile. Vero è che la notte la chiudevano a chiave, ma senza alcuna opposizione di lei. Per la verità Maria Romeo ha detto anche che suo marito, suo fratello e Giuseppe Musolino giravano armati di fucile nei dintorni della casa durante tutti e tre i giorni, quindi si dovrebbe desumere che la libertà di movimento di cui avrebbe goduto Vincenzina era pressoché inesistente e vero è anche che la perizia medica ha riscontrato su tutto il corpo di Vincenzina la presenza di contusioni, il che significa che se non un’aggressione, almeno una colluttazione tra i due ci fu. Il Pubblico Ministero continua spiegando che l’idea omicida sorse in Vincenzina nel pomeriggio dell’otto settembre, quando riuscì ad impossessarsi del coltello dimenticato dal fratello. Lo rivelano il cambiamento improvviso d’umore e i presentimenti lugubri confidati alla sorella. Anche qui ci sarebbe da obiettare che il cambiamento improvviso d’umore e i presentimenti lugubri di Vincenzina furono fatti risalire da Maria alla visita delle due giovanette che le sembrò avessero detto qualcosa all’orecchio di Vincenzina. La conclusione è che il Pubblico Ministero chiede il rinvio a giudizio di Vincenza Romeo per rispondere di omicidio volontario. Nello stesso tempo chiede il rinvio a giudizio degli otto rapitori per avere in concorso tra loro e l’ucciso D’Agostino, sottratto e ritenuta con violenza e minacce a fine di matrimonio con esso D’Agostino, Romeo Vincenza, maggiore degli anni 18.
La Sezione Istruttoria, il 30 ottobre 1947, accoglie la richiesta e ad occuparsi del caso sarà la Corte d’Assise di Reggio Calabria.
La causa si discute il 22 giugno 1948 e c’è subito battaglia sulla presenza o meno di lividi ed altro sul corpo di Vincenzina. Il Pubblico Ministero e la parte civile si aggrappano ad un verbale dei Carabinieri nel quale, riportandosi ad una visita medica effettuata dal dottor Marcianò senza fare svestire l’imputata, non c’è traccia di lesioni, la difesa chiama a deporre il secondo perito, dottor Sorgonà, che dice di aver riscontrato sul corpo di Vincenzina, durante la visita effettuata l’11 settembre 1946 nella caserma dei Carabinieri di San Roberto, alla presenza del Giudice Istruttore, escoriazioni, unghiature, ecchimosi e lesioni lineari alla mano destra prodotte da corpo tagliente, risalenti a quattro o cinque giorni prima, che elencò nella sua relazione.
Il primo luglio 1948 la Corte emette la sentenza e dichiara Romeo Vincenza responsabile del delitto di omicidio volontario in persona di D’Agostino Francesco con le attenuanti di avere agito per motivi di particolare valore morale e sociale, di avere agito in stato d’ira determinato da fatto ingiusto della vittima e con attenuanti generiche, la condanna ad anni 6, mesi 2 e giorni 20 di reclusione, oltra alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.
Dichiara, inoltre, Musolino Giuseppe, Morena Giuseppe, Calabrese Domenico, Laganà Giovanni, Laganà Carmelo Catalano Antonio, Olivieri Vincenzo, Busceti Filippo responsabili del delitto di ratto a fine di matrimonio e condanna: Musolino Giuseppe, con l’aggravante della recidiva generica, ad anni 2 e mesi 6 di reclusione; gli altri sette ad anni 2 e mesi 2 di reclusione ciascuno, oltre alle spese, ai danni e alle pene accessorie.
Il 28 marzo 1952 la Suprema Corte di Cassazione rigetta i ricorsi di tutti gli imputati.[1]
[1] ASRC, Atti della Corte d’Assise di Reggio Calabria