Soveria Simeri, provincia di Catanzaro, notte tra il 5 e il 6 marzo 1950. Prima una detonazione e poi le urla disperate di una donna affacciata sulla soglia della porta di casa scuotono la tranquillità del paese.
– Gregorio s’è ammazzato! Correte! Aiuto! – a chiamare al soccorso è la ventiduenne Antonietta Severelli.
Gregorio Costantino, il marito della giovane, ha una ferita da arma da fuoco all’orecchio destro, ma non è morto e, nonostante la gravità delle sue condizioni, riesce a rispondere al Maresciallo dei Carabinieri, nel frattempo arrivato sul posto.
– Che vi è saltato in mente? Perché volevate uccidervi?
– È stata mia moglie a spararmi mentre dormivo… – è la sconcertante risposta.
Antonietta viene portata in caserma e insiste a dire che il marito si è sparato, ma dopo qualche ora in camera di sicurezza ammette:
– Sì, gli ho sparato io al fine di ucciderlo, perché stanca dei continui maltrattamenti di cui ero vittima ad opera sua…
– E la rivoltella, chi ve l’ha data?
– È di mio marito…
– Adesso raccontate come avete fatto.
– Dopo averla caricata con quattro colpi mi sono avvicinata a lui e ho fatto fuoco… poi ho rivolto contro me stessa l’arma per ammazzarmi, ma ha fatto cilecca…
– Ci pensavate da tempo?
– Qualche giorno fa avevo pensato di ucciderlo e poi di uccidermi per porre fine al mio calvario, ma ho deciso di farlo all’ultimo momento…
Tentato uxoricidio premeditato è l’accusa che per il momento viene formalizzata e potrebbe diventare uxoricidio se il marito, viste le gravi condizioni in cui versa, dovesse morire.
Il proiettile che ha colpito Gregorio, penetrando dalla conca auricolare destra è andato a finire la sua corsa nei tessuti molli sottoioidei della regione anteriore sinistra del collo, all’altezza dello spazio fra la quinta e la sesta vertebra cervicale, sembra non aver leso organi vitali ed il ferito viene portato all’ospedale di Catanzaro, viene immediatamente sottoposto ad un delicatissimo intervento chirurgico. Incredibilmente si salva, ma gli resterà una notevole limitazione dei movimenti del collo.
Non c’è bisogno di approfondire tanto le indagini: c’è la confessione di Antonietta, l’accusa del marito e ci sono anche i maltrattamenti, a conoscenza di tutti. Il 15 luglio 1950 la Sezione Istruttoria rinvia Antonietta al giudizio della Corte d’Assise di Catanzaro per rispondere di tentato uxoricidio premeditato.
La causa si discute l’8 febbraio 1951 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva: la prova della colpevolezza della Severelli appare pacifica, confermata dalla confessione, spontanea e reiterata, che del delitto fece l’imputata sia davanti agli organi di polizia, sia avanti al magistrato e, da ultimo, in pubblico dibattimento. Non è da dubitarsi della volontà omicida, sia per la natura micidiale dell’arma impiegata e dalla zona vitalissima presa di mira, sia dalla parola della stessa Severelli che esplicitamente ammette di avere agito allo scopo preciso di sopprimere il marito.
Se sulla responsabilità di Antonietta e sulla sua volontà omicida la Corte non ha alcun dubbio, il discorso cambia per quanto riguarda l’aggravante della premeditazione contestatale: non ravvisa, la Corte, la sussistenza della premeditazione. Vero è che la prevenuta ebbe ad affermare di avere, quella notte, tentato di uccidere lo sposo per effetto di un piano prestabilito, tanto che si era premurata di impossessarsi dell’arma del marito, caricandola opportunamente. Non risulta, però, che la Severelli avesse concepito il piano delittuoso a notevole distanza di tempo prima della notte fatale, con decisione definitiva ed irrevocabile, in esso insistendo malgrado ogni controspinta della sua coscienza, sì da rendere il proposito sempre più fermo ed incrollabile, il che caratterizza, come è noto, il particolare dolo della premeditazione. Ritiene la Corte, piuttosto, che la Severelli avesse, sì, alcuni giorni prima del delitto pensato di por fine alle sue persecuzioni ad opera del marito, sopprimendo costui e togliendosi, quindi, essa stessa la vita; ma ritiene che questa non fosse stata che una mera idea balenata alla mente esasperata della Severelli e che solo all’ultimo momento – e precisamente la notte del misfatto – avesse veramente deciso di dar vita a quell’idea, così come ha precisato nei suoi interrogatori. Una decisione dell’ultimo momento, dunque, dalla quale esula, evidentemente, l’aggravante della premeditazione che va, pertanto, eliminata. Antonietta può tirare un sospiro di sollievo, l’ergastolo è scongiurato.
Ma la Corte non ha finito e continua: alla prevenuta va, poi, concessa l’attenuante della provocazione, equivalente all’aggravante dell’arma, e vanno concesse le attenuanti generiche. Quanto alla pena, la Corte, tenuto conto della personalità della colpevole, della condotta della stessa prima e dopo del reato, stima equo fissarla ad anni 4 e mesi 8 di reclusione, che si ottengono partendo dalla pena base di anni 24 di reclusione per il reato di omicidio volontario, ridotti ad anni 8 per il tentativo, ridotti ad anni 6 per la provocazione e poi ad anni 4 e mesi 8 per le attenuanti generiche. Oltre alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.
La Corte di Appello di Catanzaro, il 10 luglio 1954, applicando il D.P 19 dicembre 1953, N. 922, dichiara condonata ad Antonietta Severelli la pena residua di mesi 10 e giorni 11 di reclusione.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Catanzaro.