IL MAFIOSO PEPPE MUSOLINO – PARTE 2

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“IO TENTAI DI DISTRUGGERLI”

Giuseppe Musolino e suo cugino Antonino Filastò, dopo la condanna per i tentati omicidi dei quali sono stati ritenuti responsabili e dopo aver tentato di evadere dal carcere di Reggio Calabria vengono trasferiti nel carcere di Locri, ritenuto più sicuro di quello del capoluogo e qui, dopo essersi assicurati, picchiando sulle pareti, che il muro della cella presentava dei vuoti corrispondenti ai punti di appoggio delle travi durante i lavori di costruzione del carcere, i prigionieri, che si erano provvisti all’uopo di un pezzo di ferro, cominciarono a praticare un buco in prossimità del pavimento. I calcinacci che via via toglievano venivano nascosti dentro il pagliericcio del letto e per evitare che questo venisse dalle guardie rovistato e allontanato dalla parete, il che avrebbe tradito l’iniziato lavoro, i detenuti si fingevano a vicenda malati. La notte del 9 gennaio 1899 avviene ciò che non sarebbe dovuto avvenire: Musolino, Filastò e i due loro compagni di cella, Giuseppe Surace e Antonio Saraceno, praticato un buco irregolare, largo a sufficienza per farci passare una persona, aggrappandosi ad una corda formata di strisce di lenzuoli intrecciate e raccomandata ad uno dei ferri della finestra sovrastante, calaronsi giù fin presso il pianterreno del cortile di passeggio, spiccando un salto di pochi centimetri. Superarono prima il muro di cinta del cortile e poscia l’altro dell’area carceraria, ambedue dell’altezza di metri 3,95, servendosi di un ordigno costituito da delle assicelle di legno dei letti legate l’una sull’altra per un certo tratto con strisce di lenzuolo e riunite trasversalmente da altre strisce di lenzuolo e di coperta, come a formare una scala ed evadono. [Biografia di un bandito – Giuseppe Musolino di fronte alla psichiatria ed alla sociologia – Studio medico – legale e considerazioni dei Professori E. Morselli e S. De Santis, Milano 1903, p. 28],.

Due giorni dopo l’evasione, l’11 gennaio 1899, la Suprema Corte di Cassazione rigetta i ricorsi dei due mafiosi.

E adesso comincia il delirio di vendetta di Peppe Musolino, il periodo sul quale si è soffermata l’attenzione dei giornali delle riviste che divulgando ovunque le gesta criminose, ingrandendo le sue gesta con la fantasia, spandendo intorno al suo nome quasi un superstizioso terrore, e nello stesso tempo, per uno stravolgimento curioso del senso morale, gli hanno guadagnato un’aureola di simpatia popolare. Si è voluto infatti vedere impersonata nel bandito, e non brigante, Musolino la rivolta contro la ingiustizia, la lotta del debole contro i forti. No, Musolino non è un brigante… Musolino è un volgare omicida, assetato di sangue quanto volete, ma che trova la sua ragione di essere nel terrore dei suoi compaesani, nella inettitudine della Pubblica Sicurezza, nella pigrizia della Benemerita, e nell’insipienza del prefetto di Reggio [Corriere di Napoli del 1º aprile 1901].

Ma questa è un’altra storia, molto controversa e distorta da molte bugie e leggende, di cui vi racconteremo solo due tragici capitoli che hanno ancora come vittima la famiglia Zoccali.

Musolino comincia a spargere piombo e sangue per vendicarsi di coloro i quali hanno testimoniato contro di lui. La notte tra il 28 ed il 29 gennaio 1899, in territorio di San Luca, spara contro Stefano Crea, uno dei testi più gravi a suo carico, ma uccide per errore Francesca Sidari, moglie (o concubina) del Crea, scambiandola a suo dire pel marito, quindi ricarica il fucile e ferisce gravemente Crea. Poi, il 10 febbraio, uccide Carmine D’Agostino.

È ora venuto il momento di “dedicarsi” allo sterminio della famiglia Zoccali.

Nella notte del 15 al 16 maggio 1899, ritornato Musolino in Santo Stefano di Aspromonte, con due mine praticate nel muro, dove introduce dinamite inabilmente chiusa entro una specie di fodero di legno, tenta di far saltare in aria la casa dove dormono tranquillamente Carmine Zoccali, la moglie, e i due figli Vincenzo e Romeo. L’ordigno esplode senza procurare danni significativi per essere le mine male intassate, ma lo spavento è tanto.

Grandissima puttana! Tu credevi che io me ne andassi in America, ma io allora me ne andrò quando avrò visto la fine della tua famiglia! – si sente urlare dalla strada e la voce è quelle di Peppe Musolino, che immediatamente torna ed essere un fantasma.

Dopo il fallito attentato, la famiglia Zoccali, non vedendosi sicura nelle persone ed anche negli averi, lascia Santo Stefano d’Aspromonte e si trasferisce a Gerocarne, località molto distante, nella provincia di Catanzaro, dove trova da occuparsi in lavori da carbonaio. Ma ecco Musolino apparire anche in Gerocarne. [Biografia di un bandito – Giuseppe Musolino di fronte alla psichiatria ed alla sociologia – Studio medico – legale e considerazioni dei Professori E. Morselli e S. De Santis, Milano 1903, pp. 23 – 26].

È mezzogiorno e mezzo del 7 agosto 1899 quando Stefano Zoccali sta conducendo due muli carichi di carbone dal bosco Morano a Gerocarne. Appena attraversato il torrente Monaco, due sconosciuti usciti dalle falde del bosco ove trovavansi in agguato, gli sparano diversi colpi di fucile che lo attingono in varie parti del corpo, uccidendolo all’istante. Quindi gli sconosciuti prendono i muli, li portano poco distante, ne liberano uno dal basto recidendo le cinghie e poi sparano sugli animali ferendone mortalmente uno e meno gravemente l’altro. Fatto ciò per sfregio, i due assassini si avvicinano a Stefano, ne constatano la morte, gli frugano nelle tasche e infine si allontanano portandogli via il portafoglio ed un piccolo coltello a serramanico.

Quando i Carabinieri di Gerocarne, accompagnati dal Pretore e dal dottor Giuseppe Lopreiato, arrivano sul posto trovano il cadavere, giacente in mezzo al proprio sangue, circondato da un gruppo di persone tra cui la madre, le sorelle ed altri parenti che si disperano. Il medico, dopo aver osservato attentamente il cadavere, fa verbalizzare: camicia bianca intrisa di sangue, gilè e calzoni nerastri, anche macchiati di sangue, scarpe allacciate; trovasi di traverso sul sentiero, adagiato sul lato sinistro in posizione come di riposo con la testa poggiata contro la spalliera della via e proprio su di una sporgenza pietrosa; intorno e sotto il corpo chiazze di sangue fuoriuscito da parecchie ferite, alcune delle quali evidenti, altre che si suppongono sul corpo. sotto il fianco sinistro si trova un fazzoletto rosso. Al momento non è possibile stabilire altro, bisogna effettuare l’esame autoptico. Nel frattempo viene svolto una ispezione sui luoghi: nel tratto che dal luogo ove giace il cadavere sale al monte abbiamo rinvenuto in diversi punti tracce di sangue, oltre a tracce di carbone. Attraversato il ponticello, dopo breve tratto ci siamo trovati su di un luogo spianato ed ivi abbiamo notato un basto di mulo, un carico di carbone per terra ed una giacca da uomo appartenente al morto, contenente un mozzicone di corda; le corregge del basto si presentano tagliate e spezzate violentemente di recente. Il suolo offre parecchie e larghe chiazze di sangue e tracce se ne vedono anche sul basto e sui carboni sparsi per terra. Da questo luogo a procedere oltre verso il monte cessano le macchie di sangue. Nessun segno di lotta, nessun indizio oggettivo delle circostanze dell’avvenimento, nessuna traccia del passaggio degli autori del delitto, nessun altro oggetto rinvenuto, meno che il fondello di una cartuccia sparata. Le tracce di sangue incontrate sono provenienti sia dal passaggio evidente dell’uomo trovato morto, sia da quello dei due muli, che gli astanti assicurano essersi trasportati feriti in Gerocarne.

Sebbene in un primo momento i Carabinieri abbiano verbalizzato che gli assassini hanno portato via il portafoglio di Stefano Zoccali per simulare una rapina, dalle prime indagini effettuate escludono che la vittima avesse addosso il portafoglio e che, quindi, non c’è stata alcun depistaggio, ma dopo avere raccolto le deposizioni di Bruno Menasi, che dichiara di aver consegnato alla vittima lire 108 e centesimi, che depose nel portafoglio, per aver trasportato carbone dal bosco a Gerocarne, e di Tommaso Pelaia il quale dichiara che il defunto Stefano Zoccali in sua casa gli aveva mostrato un biglietto di lire 50 per farli un tomolo di grano che aveva da egli acquistato, i militari tornano sui propri passi e verbalizzano che il reato in parola fu certamente perpetrato allo scopo di vendetta e col proponimento di uccidere il fratello dell’ucciso a nome Vincenzo, col quale gli odi erano più accentuati. Il furto del portamonete fu una conseguenza del primo reato commesso, credendo con ciò sviare le indagini e procedono per omicidio qualificato con rapina.

Ma Musolino, venuto immediatamente a sapere che gli è stata imputata anche la rapina, non ci sta e scrive un biglietto a Rocco Zoccali, spedito da Catanzaro e arrivato a Gerocarne il 13 agosto, così concepito: “Fate che tornassero i danari presi a Stefano perché io non sono un ladro si no ci penso io stesso. M”. È la conferma che uno dei due assassini è lui, ma nello stesso tempo la dichiarazione di essere un uomo d’onore che non delinque per denaro ma semmai, come accadrà nella sua latitanza, chiede una limosina (così Musolino definisce quella che per il Codice Penale si chiama estorsione) ai ricchi.

Proseguendo le indagini, i Carabinieri riescono ad aggiungere particolari alla dinamica dell’omicidio. Rosa Candiloro da Gerocarne, racconta:

Verso mezzogiorno del 7 agosto, dal castagneto Iannocello dove mi trovavo, udii nel sottostante vallone Morano diverse grida di più persone e poscia le detonazioni di dieci o dodici colpi di fucile consecutivi

Francesco Morabito da Molochio e Antonino Mammoliti da Cittanova, ricordano:

Verso le cinque del sette agosto, a distanza di quaranta metri dal bosco Morano abbiamo visto due individui dai connotati seguenti: il primo statura alta, esile, vestito di abito nero, cappello morbido; il secondo di statura media, corporatura tarchiata con pantaloni corti color nero. I due, quando si accorsero di esser stati visti da noi, ci voltarono le spalle per non farsi conoscere, prendendo altra direzione e mentre percorrevano quest’altra strada furono visti anche dai nostri compagni di lavoro Vincenzo Gambareri da Solano e Girolamo Ruggiero da Cittanova.

Interrogati anche questi due, confermano tutto e aggiungono:

– Camminavano in atteggiamento sospetto e uno di essi portava ad un bastone, che poggiava alla spalla, un fazzoletto rosso, mentre l’altro portava sulle spalle un sacco con certi oggetti lunghi, come se fossero stati tanti manici di scure.

I Carabinieri si mettono sulle tracce dei due sconosciuti, ma senza risultati.

A denunciare i nomi dei due assassini è Mariangela Priolo, la madre della vittima:

Noi abbiamo la profonda convinzione che a commettere il delitto sia stato Giuseppe Musolino, latitante evaso dalle carceri di Gerace, con la complicità dei due suoi cugini Filastò Francesco e Filastò Michele, fratelli di Filastò Antonino, pure evaso ma poi catturato, condannato con Musolino per il tentato omicidio di mio figlio Vincenzo. Dopo l’evasione di Musolino grande è stato lo spavento di tutta la mia famiglia, tanto più che ad opera sua e degli altri evasi erano stati uccisi tre dei testimoni che avevano deposto contro di lui. Epperò i miei figli e tutta la famiglia ci siamo guardati per alcun tempo dalle continue minacce che ci giungevano da Musolino. Fu dopo che egli tentò di fare esplodere la nostra casa che ci ricoverammo prima a Laureana di Borrello e poi a Gerocarne, sperando che il nemico avesse sperdute le nostre tracce o perlomeno non ci avesse inseguiti fin qui. Invece siamo convinti che Musolino, persistendo nei suoi propositi di vendetta, avendo appreso essere noi a Gerocarne, è passato da Guardavalle dove trovansi a lavorare i suoi cugini Filastò e con essi è qui venuto a compiere l’assassinio di mio figlio, a cui se si fosse accompagnato anche l’altro mio figlio Vincenzo, sarebbe stato ammazzato anche costui. Mio figlio Vincenzo mi dice che suo fratello aveva nel portafoglio lire centocinquanta, di modo che gli assassini si saranno anche appropriati di detto danaro. E così si è compiuta la vendetta minacciataci da Musolino da molto tempo

Poi arrivano, impietosi, i risultati dell’autopsia, che raccontano la ferocia degli assassini: 1) ferita d’arma da fuoco alla guancia destra con distruzione di tutte le parti molli, la lingua lacerata, restando semplicemente degli avanzi verso la parte sinistra. Il mascellare superiore e l’inferiore in massima parte distrutti con la caduta dei denti molari e premolari, rinvenuti nella cavità della bocca insieme con lo stoppaccio della cartuccia. Seguendo il tragitto della ferita, il medesimo si interna dal basso in alto, da destra a sinistra, distruggendo una parte dell’osso zigomatico destro, dell’etmoide e dello sfenoide, arrivando fino alla base del cervello. Lungo il tragitto si nota una quantità di proiettili della grossezza di un pisello. Aperta la cavità cranica e distaccata dal sito la massa cerebrale, spappolata, nel lobo sinistro si è riscontrata una quantità di proiettili come sopra e schegge ossee. Dalla quantità di proiettili e dalla forte distruzione delle parti molli e delle ossa, giudichiamo che il colpo sia stato tirato a breve distanza. 2) Altra ferita d’arma da fuoco alla regione posteriore del torace, discendente fino alla cresta iliaca. Senza contare le ustioni prodotte dalla polvere e le molte lesioni non penetranti in cavità, esaminiamo solo le seguenti: a) ferita al quinto spazio intercostale con lesione al polmone destro, distruzione del tessuto e doppio forame di entrata e di uscita; b) altra ferita al settimo spazio intercostale con lesione del diaframma e del lobo destro del fegato; c) altra ferita penetrante in cavità lungo il margine superiore dell’ottava costola producente altra lesione al fegato con forame di entrata e di uscita; d) altra ferita alla decima costola con frattura della medesima. Seguendo il tragitto della ferita si nota una leggera lesione del fegato e distruzione della parte superiore del rene destro. Tanto sul peritoneo che sullo stomaco e pacchetto intestinale si notano delle leggere soluzioni di continuità causate dai proiettili. Lungo le dette ferite si sono trovati dei proiettili come sopra descritti, come se ne sono trovati altri liberi nella cavità toracica e addominale; fra detti proiettili se n’è trovato uno nella cavità addominale di calibro maggiore. 3) Altre ferite di minore importanza, sempre prodotte da arma da fuoco, si sono riscontrate sulla regione addominale destra. 4) Altra ferita da arma da fuoco al braccio destro con entrata ed uscita del proiettile. Sulla regione scapolare destra e deltoidea si notano delle leggere abrasioni dell’epidermide e delle ustioni prodotte dalla polvere. Giudichiamo che la morte sia avvenuta quasi istantanea.

Musolino è sempre più un fantasma che appare all’improvviso e uccide, ma i suoi cugini Michele e Francesco Filastò, il 20 agosto vengono arrestati a Guardavalle in provincia di Catanzaro. I due, interrogati, dichiarano:

Mi dichiaro completamente innocente del delitto che mi si addebita, essendo falso che io abbia concorso nell’assassinio commesso da Musolino Giuseppe in persona di Stefano Zoccali. Non ebbi mai a che fare col Musolino e da circa undici anni sono ritirato ed ammogliato a Guardavalle, da dove non mi sono mai mosso – giura il trentaduenne Francesco.

Sono innocente del reato che mi si ascrive, cioè di avere concorso nell’omicidio commesso da Giuseppe Musolino in persona di Stefano Zoccali. Sebbene parente del Musolino, io con lui non mi vedo da tre anni e ho fatto vita sempre ritirata dedicandomi sempre al lavoro e serbando buona condotta. Del resto, nel tempo in cui si vuole che il Musolino abbia commesso il delitto, io mi trovavo a Bivongi – giura il trentenne Michele.

In effetti contro i fratelli Filastò non c’è niente e vengono prosciolti in istruttoria.

Ma a contorno di tutto questo c’è il verbale dei Carabinieri di Santo Stefano d’Aspromonte, redatto il primo gennaio 1900 in una delle tante visite che fanno ai familiari del ricercato. Scrive il Brigadiere Osvaldo Boeri: recatici in casa del padre del latitante Musolino Giuseppe, trovammo sedute al focolare le sorelle di questo Vincenza di anni 29 ed Ippolita di anni 20, ambedue donne di casa, ed indagando per far luce sull’omicidio avvenuto in quel di Gerocarne il 6 agosto 1899 in persona di Zoccali Stefano, l’Ippolita Musolino così rispondeva alle nostre domande: “lui è capitato e lui ha ucciso ed ha fatto bene perché anch’egli aveva la sua parte di colpa nella disgrazia di mio fratello e fu lui che gli diede la rasoiata nella mano la sera che avvenne la rissa”. Dà maggior colore di verità all’asserzione il fatto che l’Ippolita è in continui rapporti col fratello ed è valido sostegno della di lui latitanza, com’ella stessa ebbe replicate volte a dichiararci, esternando il proprio carattere tanto forte, per quanto immorale ed antigiuridico.[1]

L’omicidio premeditato di Stefano Zoccali costituisce il VI capo d’accusa al processo contro Giuseppe Musolino davanti la Corte d’Assise di Lucca cominciato il 14 aprile 1902 e conclusosi l’11 luglio successivo con la lettura della sentenza di condanna all’ergastolo.

Delitti commessi da Giuseppe Musolino dopo l’evasione:

Francesca Sidari – omicidio per errore.

Stefano Crea – tentato omicidio.

Carmine D’Agostino – omicidio.

Stefano Zirilli – lesioni.

Pasquale Saraceno – omicidio.

Stefano Romeo – tentato omicidio.

Stefano Zoccali – omicidio.

Alessio Chirico – omicidio.

Pasquale Sinicropi – tentato omicidio per errore.

Giuseppe Angelone – tentato omicidio.

Antonio Princi – tentato omicidio.

Carabiniere Pietro Ritrovato – omicidio.

Francesco Marte – omicidio.

Stefano Zirilli – tentato omicidio.

Giuseppe Musolino sconta circa 48 anni di carcere, poi nel 1946 gli viene riconosciuta l’infermità totale di mente e viene internato nel manicomio di Reggio Calabria, dove morirà il 22 gennaio 1956.

[1] ASRC, Atti della Corte d’Assise di Reggio Calabria