IL FALSARIO

La mattina del 23 giugno 1935 i Carabinieri di Rogliano sono di servizio al mercato del paese, quando notano il pericoloso vigilato speciale Alfredo Ambrogio, condannato ben 13 volte per delitti contro la persona e contro il patrimonio, e ritengono opportuno fermarlo per perquisirlo. Il provvedimento adottato è davvero saggio perché gli trovano, tra le 117, 95 lire in varie monete metalliche che ha addosso, due monete da 10 lire false e lo portano in Caserma per interrogarlo:

Ignoravo che tra le monete buone che avevo ve ne fossero due false e non sono in grado di dire da chi le ho ricevute

– Davvero? – gli fa, ironicamente, il Maresciallo – Adesso andiamo a dare un’occhiata a casa tua e vediamo se c’è qualche sorpresa!

Il problema è che Ambrogio abita a Cosenza e bisogna allertare i Carabinieri del capoluogo per eseguire la perquisizione. A casa c’è la moglie che sembra innervosirsi alla vista dei Carabinieri e li segue passo passo e poi, approfittando di un momento di distrazione dei Militari, riesce a cavare da una cassa un involto di carta e a nasconderlo nel suo seno. Quando i Carabinieri aprono la cassa, la donna ne approfitta per togliere l’involto dal seno e gettarlo per terra in un angolo già perquisito, ma per sua sfortuna viene notata e l’involto viene sequestrato, portato nella caserma dei Carabinieri di Cosenza, aperto ed ecco la sorpresa auspicata dal Maresciallo: due calchi in gesso per uso conio di monete false da lire dieci!

– E questi? – dice il Maresciallo ad Ambrogio, mostrandogli i calchi. Lui ci pensa un po’ su e poi, senza rispondere alla domanda, dice:

Le due monete me le ha date certo Antonio Pezzullo dietro minaccia di sfregiarmi se non avessi acconsentito a prenderle e spenderle…

– E scommetto che hai avuto paura! Dai, raccontane un’altra!

– La verità è che me le ha date in pagamento di due polli.

– Diciamo che va bene, e i calchi che ci facevano a casa tua? – insiste il Maresciallo e a questo punto Ambrogio, che nel frattempo ha pensato a ciò che può dire, risponde:

Pezzullo, dopo la vendita dei polli, mi consegnò l’involto di carta con l’incarico di conservarglielo per alcuni giorni. Io, credendo che non ci fosse niente di male, non gli ho negato questo piccolo favore e portai a casa l’involto, riponendolo in un bauletto dentro l’armadio.

– E scommetto che non sapevi nemmeno cosa c’era dentro l’involto!

– Sì, non ho avuto la curiosità di accertarmi cosa contenesse l’involto

In seguito alle dichiarazioni contro Pezzullo, i Carabinieri di Pedace, dove risiede, lo arrestano e arrestano anche due suoi fratelli, in considerazione del fatto che l’anno prima tutti e tre avevano riportato una condanna per spendita di monete false, seppure dalle perquisizioni nelle abitazioni dei fratelli Pezzullo non viene trovato niente che li ricolleghi ad Ambrogio.

– Io ad Ambrogio non ho mai consegnato niente e non ho mai comprato da lui due polli! – protesta Antonio Pezzullo e questa versione ripete anche nel confronto a cui viene sottoposto col suo accusatore.

In questo frattempo i due calchi e le due monete vengono spediti alla Zecca dello Stato per effettuare una perizia ed il risultato è inequivocabile: le due monete false da 10 lire sono state coniate con i calchi sequestrati ad Ambrogio e per lui i guai aumentano.

Adesso che tutto è chiaro, la Procura chiede il rinvio a giudizio di Alfredo Ambrogio per contraffazione di monete nazionali, il proscioglimento di Antonio Pezzullo per insufficienza di prove e quello dei suoi due fratelli per non aver commesso il fatto. Il Giudice Istruttore accoglie la richiesta e ad occuparsi del caso sarà la Corte d’Assise di Cosenza.

La causa si discute il 14 luglio 1936 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva: il rinvenimento prima sulla persona dell’Ambrogio dei due pezzi da lire 10 falsi e poscia in casa sua dei due calchi in gesso – che, secondo gli accertamenti categorici della perizia, servirono appunto per coniare le due monete suddette – basterebbe già da solo a fornire la prova certa e sicura della reità del giudicabile in ordine all’imputazione ascrittagli, ove soltanto si ponga mente a precedenti penali di lui, che lo indicano come particolarmente capace di commettere delitti del genere, avendo riportato più e più volte condanne per furto, rapina e ricettazione. Se poi a tutto ciò si aggiunge, in primo luogo il fatto che circa il rinvenimento delle monete e dei calchi l’Ambrogio diede spiegazioni contraddittorie ed in secondo luogo il contegno tenuto dalla di lui moglie durante la perquisizione domiciliare, allora si può bene escludere ogni dubbio che la detenzione, sia delle due monete false che dei due calchi sui quali furono coniate, possa avere avuto una genesi innocente. Mentre tutti gli elementi di fatto ora ricordati valgono invece a fornire in modo univoco la prova certa che, se anche l’autore materiale della contraffazione delle monete non fu proprio l’imputato, come lascia ragionevolmente supporre il fatto che egli conservava in sua casa anche i calchi che servirono a coniarle, egli tuttavia non poteva non essere d’accordo con chi la contraffazione delle monete ebbe ad eseguire, o quanto meno con un suo intermediario, per il raggiungimento del comune scopo delittuoso di metterle in commercio, il che basta, secondo la norma del nuovo Codice Penale – che equipara al falsario l’importatore, lo spenditore e il detentore perché i suddetti soggetti costituiscono una catena i cui membri sono intimamente collegati nello scopo delittuoso – a configurare il delitto ascritto all’imputato.

Accertata la responsabilità di Alfredo Ambrogio, per la Corte è il momento di quantificare la pena: malgrado i cattivi precedenti dell’imputato, con riguardo al valore lieve delle monete false trovategli addosso e della facile riconoscibilità delle stesse, la Corte ritiene giusto ed equo partire dal minimo stabilito dalla legge e cioè da anni 3 di reclusione e da lire 5.000 di multa, con l’aumento della metà per l’aggravante della recidiva reiterata, ben fissando la pena stessa ad anni 4 e mesi 6 di reclusione ed in lire 7.500 di multa. Oltre, ovviamente, alle spese ed alle pene accessorie.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.