IL MIO ONORE PERDUTO

21 febbraio 1950, martedì grasso, ore 18,35. Nella piazza antistante la chiesa di San Nicola a Siderno Superiore, sotto le luci dei lampioni stanno sfilando le maschere che suscitano, tra risa, sberleffi e strombazzamenti, l’ilarità della gente assiepata intorno e sulla gradinata della chiesa, dove ci sono anche Vincenzo Romeo e sua moglie Emilia Audino. Alle loro spalle, spingendo qua e là, arriva e si sistema la trentenne Angela Gimondo. Non ride come tutti gli altri, ma sembra abbastanza nervosa mentre gira lo sguardo intorno per capire se qualcuno si stia interessando a lei. No, sono tutti impegnati a guardare e sfottere quelle che adesso appaiono le maschere più ridicole. Ecco, è questo il momento giusto per tirare fuori dalla borsetta una rivoltella, puntarla in direzione delle spalle di Vincenzo Romeo, circa un metro davanti a lei, e sparargli un colpo che lo centra vicino la scapola sinistra. La gente, pensando che qualche monello ha fatto esplodere un petardo si gira nella sua direzione mentre Romeo barcolla e sua moglie cerca di sorreggerlo, pensando che si stia sentendo male. Angela tira il grilletto una seconda volta proprio mentre Paolo Armocida e Domenico Furfaro, gli unici ad essersi accorti di ciò che sta accadendo veramente, le si lanciano addosso riuscendo prima a deviare il colpo, evitando che vada a segno, e poi a disarmarla e bloccarla. Tra le urla della gente che adesso scappa in tutte le direzioni e le urla del ferito e della moglie finalmente resasi conto dell’accaduto, Armocida e Furfaro trascinano Angela in un vicolo e poi l’affidano ad una Guardia Municipale, che la porta dai Carabinieri. Immediatamente interrogata, racconta:

Circa tre anni fa Vincenzo Romeo mi sedusse e, nonostante ciò, si è successivamente coniugato con la Audino, verso la quale non nutro alcun risentimento, ma Romeo ogni volta che mi vedeva mi picchiava e l’anno scorso mi ha fatto arrestare nella stessa piazza e nella stessa ricorrenza del carnevale. La domenica passata, mentre assistevo alla sfilata delle maschere, mi ha ingiunto di allontanarmi tentando anche di darmi uno schiaffo. Indignata da tali precedenti, ieri ho provato la rivoltella, trovata con quattro cartucce in una borsetta lasciata sul treno, sparando in aria due colpi e stasera, dopo aver caricato l’arma con cinque proiettili blindati, sono uscita e mi sono collocata sulla scalinata della chiesa dietro Romeo e sua moglie e gli ho sparato un colpo e poi uno contro la moglie.

– Da quello che dite si capisce che avete premeditato il delitto…

Sì e non sono affatto pentita perché l’ho fatto per vendicare il mio onore perduto!

Vincenzo Romeo, per fortuna, non è grave. Il proiettile non ha leso organi vitali e, dopo essere stato sottoposto ad intervento chirurgico per l’estrazione della pallottola, guarisce in una decina di giorni. Interrogato, racconta la sua versione dei fatti:

Io non l’ho mai provocata, è stata invece lei ad aggredirmi in precedenza col proposito di uccidermi, tanto che per potere celebrare il mio matrimonio ho dovuto fare intervenire il Vice Brigadiere Salvatore Grimaldi ed un Carabiniere. Per tacitarla le ho versato la somma di duecentomila lire, ma lei andava dicendo che la somma doveva servirle per la propria difesa quando mi avrebbe ucciso!

– Cosa è accaduto domenica scorsa?

Mi sono limitato ad allontanarla dalla piazza perché cercava di avvicinarsi a me e mia moglie.

Quando Angela viene interrogata dal Pretore, pur ammettendo di aver deciso di uccidere Romeo per vendicarsi dell’onta subita, cambia versione:

Gli ho sparato tutti e due i colpi senza intenzione di cagionargli la morte, ma soltanto per intimorirlo

– Ma ai Carabinieri avete dichiarato di aver sparato un colpo a Romeo ed uno alla moglie…

– No, tutti e due contro di lui. Quando feci la dichiarazione ai Carabinieri ero ancora arrabbiata…

Ma vengono alla luce i fatti precedenti tra Vincenzo, la moglie ed Angela e le cose per lei si complicano: il 12 maggio 1948 Angela minacciò Vincenzo con una pistola ed il 6 ottobre successivo il Pretore di Siderno la condannava ad un mese di reclusione; il primo marzo del 1949 Angela minacciò Emila Audino per ostacolarne il matrimonio con Vincenzo ed il 4 maggio successivo il Pretore di Siderno la condannò di nuovo, contestandole anche la recidiva specifica.

Questi precedenti, per gli inquirenti, confermano che il secondo colpo sparato da Angela fosse diretto contro la moglie di Vincenzo Romeo e si procede per tentato omicidio continuato e premeditato, chiedendone il rinvio a giudizio. Il 25 novembre 1950 la Sezione Istruttoria di Catanzaro accoglie la richiesta e ad occuparsi del caso sarà la Corte d’Assise di Locri.

La causa si discute il 4 maggio 1951 e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva: malgrado quanto la Gimondo dichiarò ai Carabinieri, appare pienamente attendibile quanto essa successivamente ebbe ad assumere in periodo istruttorio e in dibattimento e cioè che sparò entrambi i colpi contro Vincenzo Romeo e non già uno contro di lui e l’altro contro Audino Emilia. Il teste Domenico Furfaro, che fu sollecito ad abbassare la mano della Gimondo mentre si apprestava a sparare il secondo colpo deviandone la traiettoria, in dibattimento ha chiarito che l’imputata entrambe le volte prese di mira il Romeo. Ne deriva che va eliminata dal delitto di tentato omicidio la continuazione e che entrambi i colpi vanno ritenuti esplosi contro il Romeo. Malgrado la tenuità della lesione riportata da quest’ultimo, chiara ed indiscutibile appare, invece, la volontà omicida della Gimondo, non solo pel rammarico espresso subito dopo il fatto di non essere riuscita ad uccidere il suo seduttore, ma anche per l’arma adoperata, per la reiterazione dei colpi sino a quando non venne afferrata dai presenti e per la regione presa di mira, nonché per la causale che la determinò al delitto e cioè pel suo proposito di vendicare il suo onore, proposito che da tempo aveva cercato di porre in attuazione con una costanza ed una preparazione che fanno apparire sussistente l’aggravante della premeditazione. Sempre ferma nel suo proposito, essa cercò avvicinarsi al Romeo, nella stessa piazza, la domenica precedente e forse l’avrebbe attinto quel giorno se egli non se ne fosse accorto e non le avesse ingiunto di allontanarsi.

Guai in vista, ma la Corte aggiunge: tuttavia non si può disconoscere che la Gimondo agì spinta dall’ira, mai sopita in lei, per essere stata sedotta da Romeo e da motivi di particolare valore morale per non aver il suo seduttore riparato al disonore arrecatole e per avere, anzi, reso impossibile ciò sposando un’altra donna. Pur non essendo rimasto provato in alcun modo che essa sia stata alcuna volta malmenata, la Corte ritiene che la Gimondo abbia diritto alle relative attenuanti, dato che nelle contrade meridionali una giovane sedotta non ha più speranza di sistemarsi. È vero che Romeo le corrispose la somma di circa lire 200.000, ma ciò non esclude la concessione delle attenuanti perché essa mai si ritenne soddisfatta della riparazione pecuniaria, anzi non esitò a far conoscere che la somma le sarebbe servita per pagare gli avvocati che l’avrebbero difesa in sede penale. Tenuto conto della condotta dell’imputata, esemplare sotto tutti gli aspetti, meno che per la sua reazione violenta a quanto le è accaduto ad opera del Romeo, riferendosi soltanto a ciò i suoi precedenti penali pei quali le è stata contestata la recidiva specifica reiterata, e considerata da una parte la gravità della pena pel delitto commesso e dall’altra la tenuità della lesione riportata dal Romeo, la Corte ritiene il caso di concedere all’imputata pure le attenuanti generiche.

È il momento di quantificare la pena da infliggere ad Angela: la pena dell’ergastolo stabilita per l’omicidio premeditato va ridotta ad anni 12 di reclusione essendosi trattato di un tentativo e per effetto delle diminuzioni di un terzo per ciascuna delle tre attenuanti, la pena viene stabilita in anni 3, mesi 7 e giorni 20, che con l’aumento della metà per l’aggravante della recidiva specifica reiterata, si elevano ad anni 5, mesi 5 e giorni 15 di reclusione, a cui vanno aggiunti mesi 2 di reclusione per il porto abusivo di rivoltella, oltre alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Locri.