NULLUM CRIMEN SINE CAUSA

Il 14 settembre 1941 i Carabinieri di Corigliano Calabro vengono informati che in contrada Feliciosa il diciannovenne Angelo Sabino è stato trovato impiccato ad un albero e che il fratello, credendolo ancora vivo, ha tagliato la corda che lo teneva appeso, ma purtroppo non c’era più niente da fare. Arrivati sul posto, i militari constatano che il cadavere non presenta ferite sul corpo, né tracce di violenza sugli abiti. Senza dubbio si tratta di suicidio e il caso viene archiviato.

Esattamente un mese dopo, però, Francesco Sabino, il padre del povero Angelo, presenta un circostanziato esposto col quale accusa di omicidio il settantasettenne Serafino Cosenza ed i suoi figli Luigi, Leonardo e Alfonso, sostenendo che il movente sia riconducibile all’odio nutrito nei confronti del figlio, ritenuto dai Cosenza il responsabile del danneggiamento di alcune piantine, a cui seguì una denuncia contro i Cosenza quali autori di diversi furti ai danni di molteplici persone di Corigliano, cui era conseguita condanna a pena grave, denuncia che i Cosenza ritenevano fosse stata fatta da Angelo. Secondo la ricostruzione fatta nell’esposto, Angelo sarebbe stato prima ucciso e poi impiccato per simulare il suicidio.

La ricostruzione dei fatti viene ritenuta credibile e il Magistrato ordina la riesumazione del corpo per eseguire gli opportuni accertamenti; nel frattempo i Cosenza vengono arrestati e protestano energicamente la loro innocenza, sostenendo che essi avevano subito la processura per furto, cui era conseguita la condanna, ma che Angelo Sabino non li aveva denunziati.

– È vero che molti anni fa Angelo Sabino aveva prodotto un lieve danno ad alcune piantine di mia proprietà – dice il capofamiglia Serafino Cosenza – ed io me ne risentii, ma poi mi furono risarcite e ci pacificammo.

I risultati dell’autopsia sembrano smentire le accuse contro i Cosenza perché i periti certificano che la morte è avvenuta per asfissia da impiccagione e che questa probabilmente era conseguita a proposito e manifestazione suicida, con la conseguenza che la Procura chiede il proscioglimento degli imputati per insufficienza di prove, ma il Giudice Istruttore presso il Tribunale di Rossano non è completamente d’accordo con la richiesta e decide di rinviare al giudizio della Corte d’Assise il solo Leonardo Cosenza per rispondere di omicidio premeditato, prosciogliendo il padre e gli altri due fratelli.

La causa si discute a Rossano il 14 luglio 1942 e Leonardo continua a proclamarsi innocente. Poi esce fuori dagli archivi la denuncia contro i Cosenza ed è il colpo di grazia alle accuse contro l’imputato perché dagli atti risulta che la denuncia, a suo tempo, fu fatta da due ragazzini, Eugenio Cozzolino e Francesco Paldino e non da Angelo Sabino. Chiamati a deporre, i due testimoni confermano ciò che c’è scritto nel verbale di denuncia:

Dopo aver rinvenuto la refurtiva, denunziammo i Cosenza.

– Quindi confermate che Angelo Sabino non firmò la denunzia?

Quando rinvenimmo la refurtiva e facemmo la denunzia Angelo non era con noi perché si trovava alla marina di Corigliano.

La Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni e le parti, osserva: la perizia esclude l’ipotesi delittuosa prospettata da Francesco Sabino, cioè uccisione prima e impiccagione dopo. Alla descrizione del cadavere risultò assenza completa di lesioni sul corpo e nessuna traccia di violenza sugli abiti della vittima. La morte, dissero i periti, avvenne per asfissia da impiccagione. Dunque non è possibile pensare ad altro genere di morte. Francesco Sabino, in buona fede, incalzò dicendo: “l’assassino strozzò prima con la corda la sua vittima, indi l’appese all’albero onde simulare il suicidio”. La perizia contrasta anche questa ipotesi. Se Angelo Sabino fosse stato strozzato con la corda, così come ipotizza il padre, intorno al collo si sarebbe dovuto trovare un solco circolare senza soluzione di continuo, l’impronta della corda stretta, tirata sul collo della vittima. I periti constatarono che il solco, approfondito, si fermava quasi al centro della nuca, lasciando uno spazio libero di circa sette centimetri, segno evidente, preciso, di impiccagione: il peso del corpo, stirando la corda, fa sì che nel punto di inserzione del nodo, che non era perciò nodo scorsoio, questa non aderisce al collo, donde la rilevata discontinuità. Né può dirsi che Angelo Sabino sia stato impiccato da mano aliena. È un’ipotesi assurda quando si sostiene che ad impiccarlo sia stato il solo Leonardo Cosenza perché da solo non avrebbe potuto compiere la manovra dell’impiccagione, tranne non si pensi che Angelo sabino fosse stato un agnello. Egli aveva venti anni. Una qualsiasi resistenza avrebbe impedito al suo avversario il compimento dello strano modo di uccidere e sugli abiti della vittima nessuna traccia di violenza; nessuno ha detto che ne presentassero gli abiti del suo preteso impiccatore. In pieno accordo, dunque, vittima e carnefice avrebbero operato l’esecuzione della strage, senza lotta, senza strepiti, senza la minima reazione. Quando la situazione processuale volge ad escludere l’omicidio ed a spiegare il suicidio, torna inutile indagare sulle cause che questo avrebbero determinato. Ci sono voci di testimoni affermanti che da un po’ di giorni Angelo Sabino era di umore tetro, preso da malinconia era diventato taciturno. Chi poté leggere nel suo animo onde scoprire le ragioni di qualche pensiero cattivo? Il suicida ha manifestazioni che diversificano da persona a persona. Sorge alle volte improvvisa la determinazione di togliersi la vita, altre volte il proposito si avvia all’epilogo lentamente, quasi facendolo presagire. Sono situazioni imperscrutabili quelle dell’animo del suicida, onde il suo comportamento non può inchiodarsi su singole manifestazioni e dire che, queste mancando, non possa parlarsi di suicidio, che debba parlarsi di delitto, specialmente quando la perizia lo esclude.

Potrebbe bastare, ma la Corte vuole sgombrare il campo da ogni possibile appiglio in favore della parte civile e continua: a completezza di indagine credesi opportuno guardare alla causale, cui accennò la parte civile per sorreggere l’accusa contro l’imputato. La causale: danneggiamento di alcune piantine che riguardava il padre dell’imputato, è pacifico che sia remotissima e assolutamente sproporzionata al delitto. Essa non può funzionare contro l’imputato, così come non funzionò, nel periodo istruttorio, contro il padre di lui. Denunzia che Angelo Sabino fece contro i Cosenza, compreso l’attuale imputato: è inesistente perché fu presentata da Eugenio Cozzolino e Francesco Paldino, sicché nell’animo dei denunziati non poteva sorgere rancore contro Sabino, che in nessun modo, neppure incolpevolmente, aveva contribuito alla loro condanna. Dunque il delitto ascritto a Leonardo Cosenza sarebbe privo di causale. Nullum crimen sine causa.

Adesso è davvero tutto e la Corte conclude con una dura censura: è doveroso dichiarare che Cosenza Leonardo non ha compiuto il fatto addebitatogli. Il Giudice Istruttore, inseguendo ombre, parlò di sospetti contro l’imputato e per sospetto lo rinviò a giudizio. Se avesse considerato che il sospetto non può legittimare nessuna accusa, tanto meno quella grave di omicidio premeditato, si sarebbe evitato questo pubblico dibattimento nel quale le ombre si sono dileguate ed è affiorata la innocenza dell’imputato.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia, sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.