MAMMA… M’AMMAZZÒ

È il 21 maggio 1926 a Laganadi, poco lontano da Reggio Calabria, ed il sole è ormai quasi tramontato. Alcuni bambini e adolescenti stanno giocando sulla piazzetta della chiesa, quando sopraggiunge il tredicenne Antonio Nunnari che trasporta pietre per conto del parroco ed il suo coetaneo Francesco Serra comincia a prenderlo in giro e addirittura gli molla sul viso due ceffoni. Antonio reagisce tirando alcuni sassi contro Francesco, che li raccatta e glieli tira a sua volta. In questo frattempo passa dalla piazzetta il ventiduenne Domenico Romeo, reduce dalla casa di Maria Iatì alla quale ha restituito un piccone preso in prestito dal padre, e viene colpito ad una gamba da un sasso tirato da Francesco Serra.

Ti piglierei a schiaffi! – gli dice Domenico.

Tu menavi a me! – gli risponde il ragazzino.

Non lo faccio per rispetto di tuo padre! – replica Domenico, visti i rapporti di amicizia tra le due famiglie.

– Tu non sei capace!

Farai la stessa morte di tuo fratello! – continua Domenico, riferendosi al fatto che un fratello di Francesco l’anno prima era stato assassinato in America. Poi fa qualche passo verso Francesco, che a questo punto mette una mano nella tasca dei pantaloni, tira fuori una rivoltella e, a non più di un metro di distanza, spara colpendo Domenico al petto, poi scappa mentre il ferito tenta di inseguirlo, ma dopo qualche metro si accascia a terra soccorso dalla gente presente, ancora incredula della tragedia.

Mamma… m’ammazzò! – sono le ultime parole urlate da Domenico, che ormai sta morendo col cuore spaccato in due da un proiettile.

In questi stessi istanti Francesco Romeo, il padre di Domenico, sta tornando dalla campagna. Sente la detonazione e pensa che qualche monello abbia fatto esplodere un petardo, ma quando sente l’esclamazione del figlio capisce che è successa qualcosa di grave, così affretta il passo e si trova davanti Francesco Serra che, conscio del male fatto, per farsi largo, gli punta contro la rivoltella e poi si dilegua nel castagneto vicino.

Domenico è agonizzante e viene portato a casa, ma appena varcatane la soglia muore. Qualcuno, intanto, è andato ad avvisare dell’accaduto il Sindaco, che scrive in fretta a furia un biglietto e lo manda di corsa ai Carabinieri di Calanna. I militari arrivano quasi subito e si mettono sulle tracce del fuggitivo, senza però riuscire a trovarlo, mentre il Maresciallo Salvatore Aloise va a casa sei Serra per accertarsi che il ragazzino non si sia nascosto lì, ma non trova né lui, né il padre.

È andato a cercare nostro figlio… – gli dice la madre, distrutta per la disgrazia.

Francesco Serra non si trova e non si capisce come possa essere sparito un ragazzino tredicenne.

Intanto ci sono dei problemi procedurali perché non si può emettere un mandato di cattura contro l’uccisore che non ha ancora 14 anni e il Pretore di Calanna, per aggirare l’ostacolo, dopo aver chiesto un parere al Giudice Istruttore, il 2 giugno emette un’ordinanza con la quale dispone che il ragazzino sia ricoverato nel Riformatorio di Napoli.

Il giorno dopo Francesco Romeo, il padre di Domenico, sporge querela anche contro il padre di Francesco Serra, ritenuto civilmente responsabile del reato commesso dal figlio.

L’ordinanza del Pretore, vuoi perché mal formulata, vuoi perché il ragazzino è sempre uccel di bosco, non va a buon fine e Francesco può stare tranquillo, ma poi si costituisce spontaneamente il 5 giugno e la domanda, che resta senza risposta, è sempre la stessa: come ha fatto ad eludere le ricerche dei Carabinieri per due settimane? Chi lo ha nascosto?

Interrogato, racconta la sua versione dei fatti con tono e atteggiamento da malandrino:

Mi trovavo a giocare nella piazza della chiesa con alcuni miei coetanei e sorse tra me e Antonio Nunnari un diverbio perché io gli dissi per scherzo che faceva il servo al Parroco per un bicchierino di rosolio. Risentito per tale fatto, Antonio mi diede uno schiaffo, al quale risposi con due pugni. Allora Antonio mi lanciò un sasso ed io a lui un altro sasso, che accidentalmente andò a colpire alla gamba Domenico Romeo, che di lì si trovava a passare. Risentito di tale fatto, Romeo mi disse “ti farò fare la morte di tuo fratello” e così dicendo si avvicinò a me, colpendomi con due o tre calci e contemporaneamente fece atto di estrarre di tasca un’arma contro di me. Allora io scappai per non essere da lui colpito e nel fuggire estrassi di tasca una rivoltella e sparai contro di lui tre colpi, di cui due inesplosi, mentre il terzo lo attinse, procurandone la morte.

– Chi ti ha dato la rivoltella? L’hai presa a casa tua?

La rivoltella non la presi in casa, ma l’avevo rinvenuta cinque o sei giorni prima con cinque cartucce in un casaleno nei pressi della chiesa vecchia del paese. Dopo compiuto il fatto buttai l’arma lungo la via in un prato vicino la vigna del professore Mottareale.

No, non è credibile. Non è credibile per almeno due ragioni. La prima è che nessuno dei testimoni oculari, tranne un paio di suoi amici, ha visto Domenico Romeo tirare calci o fare il gesto di prendere un’arma in tasca o di aver tenuto un comportamento aggressivo. La seconda sono i risultati dell’autopsia che ha certificato come il colpo fatale sia stato esploso direttamente ed a meno di un metro di distanza perché i margini della ferita erano fortemente ustionati e che il colpo fu tirato a pié fermo e non fuggendo.

Passata la pratica nelle mani del Giudice Istruttore, il 27 giugno 1926 questi riformula l’ordinanza per il ricovero di Francesco Serra in un riformatorio indirizzandola al competente Ministero della Giustizia e degli Affari di Culto che, il 10 agosto successivo, risponde piccato al Procuratore del re:

Il minorenne di cui alla lettera sopra distinta, fin dal 1/7/1926 è stato assegnato al Riformatorio di Santa Maria Capua Vetere e con lettera del 12/7/926 si pregò la S.V. perché si fosse compiaciuta di provvedere al relativo accompagnamento del giovanetto al detto Istituto.

Evidentemente un difetto di comunicazione tra vari uffici.

Ovviamente deve essere interrogato anche il padre di Francesco, Michele Serra:

Io nulla sapevo che mio figlio avesse una rivoltella, nemmeno posso essere incolpato di non aver badato alla sua educazione perché lo mandavo a scuola. Io, nell’atto compiuto da mio figlio in danno di Francesco Romeo, non ho nessunissima responsabilità in quanto per ragioni di umanità e di generosità ò corrisposto al padre la somma di lire cinquemila, che fu accettata con atto notarile, che esibirò in copia alla giustizia. In tale atto notarile Francesco Romeo à riconosciuto la nessuna responsabilità da parte mia e à percepito la somma con rinunzia piena alla costituzione di parte civile e a qualunque altro diritto proveniente dalla morte del di lui figlio Domenico per risarcimento di danni o responsabilità civile.

È il momento di chiudere l’istruttoria e nella richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Francesco Serra e suo padre Michele, l’Avvocato Generale scrive un duro atto d’accusa contro l’adolescente, arrivando a descriverlo, per come ha commesso il reato, per la latitanza nella quale si è mantenuto e per l’atteggiamento spavaldo tenuto dopo la costituzione, come un delinquente precoce ed accorto.

La Sezione d’Accusa, il 14 aprile 1927, accogliendo parzialmente le richieste della Procura proscioglie Michele Serra e rinvia Francesco al giudizio della Corte d’Assise di Reggio Calabria per rispondere di omicidio volontario e porto d’arma abusivo.

La causa si discute il 27 ottobre 1927 e nel frattempo Francesco ha compiuto 14 anni nel riformatorio di Santa Maria Capua Vetere.

Il processo subisce una svolta quando viene chiamato a deporre l’insegnante Giovanni Polimeni, che dice:

Per me l’imputato deve ritenersi di intelligenza non svegliata, anzi arretrata perché un giorno, circa due anni e mezzo dietro, il padre venne da me per dirmi che aveva intenzione di presentare il figlio al primo ginnasio o primo tecnico ed io, per non fare sprecare denaro, su preghiera del padre esaminai il figliuolo e giudicai il compito non idoneo ed anche dalle risposte che egli mi dette sulla storia, geografia ed altre materie, ritenni che fosse un confusionario.

Ritenete che il ragazzo comprendeva che con la rivoltella potesse uccidere un uomo?

Non mi posso pronunciare né pro, né contro

Può bastare, la Giuria si ritira per emettere il verdetto e, a maggioranza, ritiene che Francesco commise il fatto senza rendersi conto di ciò che stava facendo, quindi va assolto per il reato di omicidio volontario, ma deve pagare 600 lire di multa per il porto abusivo di rivoltella.[1]

Si è fatto inutilmente tutto e il contrario di tutto perché il Codice Penale vigente all’epoca del fatto, il cosiddetto Codice Zanardelli, all’articolo 97, stabiliva che “non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni”.

Resta, però, lo sconcerto per questo fatto assurdo e restano, immutate, le domande: come ha fatto un tredicenne ad eludere le ricerche dei Carabinieri per due settimane? Chi lo ha nascosto?

[1] ASRC, Atti della Corte d’Assise di Reggio Calabria.