TRENTACINQUE COLTELLATE

Rocco Tropea ha 27 anni ed è di Gioiosa Ionica. Invaghitosi della diciannovenne sua compaesana Maria Aquino, la chiede in sposa e, avendone avuta risposta affermativa, fa intendere ai genitori di lei che pretende per dote la somma di dodicimila lire. Apertasi la trattativa, le parti raggiungono l’accordo sulla cifra di diecimila lire, delle quali seimila per acquistare un fonducolo da intestare a Maria, e quattromila per eseguire alcune riparazioni ad una casetta destinata ad abitazione degli sposi, nonché per pagare le spese necessarie alla celebrazione del matrimonio.

Celebrate le nozze, marito e moglie vivono in armonia per cinque mesi, dopo di che Rocco, per trovare un lavoro più remunerativo, emigra a Torino, ma ci resta solo quattro mesi, durante i quali invia a Maria modeste sommette, frutto dei suoi risparmi.

In paese, dopo un lungo e faticoso viaggio, arriva il 4 novembre 1939 e la vita coniugale riprende con l’armonia di sempre, almeno così fa intendere Rocco, senza far minimamente sospettare che i suoi sentimenti verso Maria sono mutati.

Le cose vanno avanti così per tre mesi e mezzo, quando la notte tra il 21 ed il 22 febbraio 1940 Rocco bussa alla caserma dei Carabinieri e, al piantone che gli apre la porta, confessa di avere ucciso Maria!

Prima di interrogarlo lo chiudono in camera di sicurezza e corrono sul posto a vedere cosa è successo.

La casetta è in ordine e quindi non deve esserci stata alcuna lite. Disteso sul letto matrimoniale, completamente rosso di sangue, c’è il corpo di Maria, martoriato da 35 pugnalate: 3 al collo; 3 nella regione sotto clavicolare sinistra; 3 nel cavo ascellare sinistro; 5 sulla mammella sinistra quasi a formare un pentagono; 7 sul margine esterno della stessa mammella, tutte vicinissime tra loro; 6 sotto la mammella sinistra, l’una accanto all’altra; 5 sul fianco sinistro lungo la linea ascellare anteriore sinistra; 2 all’altezza dell’ombelico; 1 all’altezza dell’ala iliaca lungo la linea ascellare posteriore sinistra. Ma l’orrore non è finito: Maria era visibilmente incinta: nella seconda quindicina del nono mese, stima il medico legale, arrivato nel frattempo. Forse è stata aggredita nel sonno, ma sorgono subito dei dubbi perché il medico riscontra una piccola escoriazione sulla regione ioidea, probabilmente il segno di un precedente tentativo di strozzamento e se Rocco non fornirà una versione dei fatti convincente, dovrà essere l’autopsia a chiarire il dubbio, perché non è un particolare di poco conto per qualificare il reato.

L’ho uccisa per vendicare il mio onore, offeso da mia moglie.

– Cosa ha fatto?

L’ho sorpresa mentre, trovandosi in cucina, si bacicchiava col giovane diciottenne Francesco Lo Presti, nostro vicino e non sono pentito di averla uccisa.

– Non è che a determinarti ad ucciderla ha contribuito qualche dissenso avuto con tua moglie o con i suoi parenti per motivi di interesse? – gli chiede il Maresciallo, dubitando del movente addotto.

– No, avevamo discusso della dote prima del matrimonio, ma avevamo trovato un accordo soddisfacente.

Siccome il delitto ha tutte le caratteristiche di un delitto d’impeto, ma non quelle di un delitto per causa d’onore perché non convince affatto la circostanza riferita da Rocco che avrebbe sorpreso la moglie a sbaciucchiarsi con il diciottenne, il reato per cui viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Locri è di uxoricidio.

La causa si discute il 21 novembre 1940 e Rocco viene interrogato in aula:

Sorpresi mia moglie per ben due volte, in cucina, mentre si bacicchiava col giovinetto Franceso Lo Presti. Un’altra volta sorpresi Lo Presti mentre, sotto una volta, attendeva mia moglie. La relazione adulterina tra loro due aveva dovuto essere scoperta dai miei amici giacché questi, dopo il mio ritorno da Torino, mi dileggiavano dicendomi che Lo Presti mi aveva indegnamente offeso ed io mi ero rassegnato

– Come mai siete tornato da Torino dopo pochi mesi? – gli chiede il Presidente.

Ero tornato per legittimare il nascituroavevo portato anche il corredino

– Cosa è successo quella notte?

Appena andato a letto ebbi un congresso carnale con mia moglie. Poi la schiaffeggiai, la costrinsi ad alzarsi nuda, ad inginocchiarsi davanti a me per chiedermi perdono ed infine, ricevutala al letto, l’aggredii col pugnale che tenevo sotto il guanciale e le infersi trentacinque colpi

– I periti che hanno eseguito l’autopsia hanno riscontrato alcune lesioni non lineari come sono le pugnalate, ma tondeggianti. Avete per caso usato un’altra arma?

– No, alcune volte ho fatto roteare la lama del pugnale nella carne viva

Orrore su orrore.

Poi si apre uno scontro durissimo tra la parte civile, che sostiene la tesi dei motivi di interesse, non essendo Rocco rimasto soddisfatto del modo com’era stata costituita la dote, e la difesa che sostiene la tesi della causa d’onore. Su questo contrasto la Corte osserva: delle causali indicate dall’una e dall’altra parte non si è avuto, durante tutto il corso del processo, il più lieve indizio. E si sofferma più a lungo a smontare la tesi della causa d’onore: deve escludersi che egli, almeno sino al suo ritorno da Torino, avesse concepito dubbi sull’onestà della moglie giacché mai di ciò tenne parola con alcuno anzi, quando rientrò in famiglia portò seco il corredino pel figlio nascituro; non può prestarsi fede a quanto egli narra circa le relazioni tra la moglie ed il Lo Presti perché è assurdo che la moglie, giovane di non brutte fattezze e di aitante persona, si facesse baciare da un giovanetto ingenuo e di modeste sembianze com’è Lo Presti e sentisse il bisogno di avere con lui tali contatti, non già durante l’assenza del marito, ma dopo il ritorno di lui da Torino. Oltre a ciò, se veramente le due sorprese fossero avvenute, non si spiegherebbe come l’imputato avrebbe su di esse sorvolato non mostrando alcun risentimento né alla moglie, né al voluto amante di lei e non si spiegherebbe come Maria Aquino, dopo essere stata sorpresa una prima volta, avrebbe commesso la grave imprudenza di farsi sorprendere una seconda volta. La sorpresa di Lo Presti in attesa della Maria Aquino non ha trovato riscontro alcuno, mentre le persone indicate dall’imputato per dimostrare che egli, in loro presenza, veniva dileggiato dagli amici, hanno concordemente escluso siffatta circostanza.

Ma allora, se nessuno dei due possibili moventi è credibile, che cosa lo ha spinto ad uccidere la povera Maria? La Corte persegue una terza via: le condizioni di salute di Rocco e spiega ricostruendo la sua storia familiare costellata dalla sifilide contratta dal padre e poi trasmessa alla madre e ad un fratello, alla poliomielite di un altro fratello ed alla sua linfoadenite acuta che gli costò la riforma dal servizio militare, onde è manifesto lo stato patologico in cui egli versava al momento del fatto. Poi continua: a prescindere da ciò, la nevrastenia da cui egli era affetto nel momento consumativo del delitto risulta, in modo non dubbio, avendo la suocera di lui e qualche altro testimone affermato che egli, la sera del 21 febbraio si mostrò cupo, chiuso, cogitabondo, aveva aspetto da disperato e quantunque la sera fosse rigida appariva scalmanato e sudava. Dal modo stesso in cui si svolse il fatto apparisce che egli non si trovava allora nel pieno possesso delle facoltà mentali giacché, come egli stesso dichiara, appena andato a letto ebbe congresso carnale con la moglie e poi la uccise nel modo che egli raccontò. Dal complesso di tali risultanze, messe in rapporto con lo sviluppo fisiologico e la vita di relazione del giudicabile, apparisce, in modo sicuro, che egli commise il fatto in un momento in cui il suo spirito era turbato da un eccesso di nevrastenia che ne scemava grandemente l’imputabilità senza escluderla, ond’è giusto che a lui si conceda l’attenuante del vizio parziale di mente per infermità.

Ma non è necessaria una perizia psichiatrica per accertare l’infermità mentale? La Corte supera questo problema appigliandosi ad una sentenza della Corte di Cassazione del 3 gennaio 1936: non è di ostacolo a tale decisione la mancanza di una perizia psichiatrica poiché, trattandosi di vizio parziale di mente, il giudice di merito può fare a meno del giudizio dei tecnici e fondare il suo sovrano apprezzamento sulle notizie circa la personalità dell’imputato e circa il grado della sua responsabilità, come appunto avviene nel caso in esame.

Non resta che determinare l’entità della pena e per farlo bisogna aver riguardo all’eccezionale gravità del reato, alle speciali circostanze in cui il fatto si svolse, alla natura dell’arma adoperata, al numero delle lesioni inferte e soprattutto all’elevato grado di pericolosità dimostrato dal giudicabile. Tenendo presenti tali circostanze, la pena viene fissata in anni 25 di reclusione. Trattandosi di pena diminuita pel vizio parziale di mente, deve ad essa aggiungersi il ricovero dell’imputato in una casa di cura e custodia, ricovero che non dovrà durare meno di tre anni e che sarà eseguito prima che egli inizi l’espiazione della pena detentiva, oltre ai danni le spese e le pene accessorie.[1]

Il nascituro ucciso con la mamma per il Codice Penale non conta.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Locri.