LO STRANO CASO DI MERCURIO TURCO

Il 18 agosto 1885 arriva al Comando Provinciale dei Carabinieri di Cosenza un verbale della stazione di Lago, a firma del Brigadiere Gioachino Piccinin, che denuncia:

Nell’anno 1880 Cicerelli Domenico, il di costui fratello Ferdinando, Mazzotta Andrea e Turco Mercurio, tutti contadini del luogo, si trovarono uniti a lavorare nel comune di Scalea e nel mese di aprile di detto anno i tre primi fecero ritorno alla loro residenza di Lago, dichiarando di nulla sapere del loro compagno Turco Mercurio e per quante ricerche non fu possibile aver notizie circa l’esistenza del ripetuto Turco, di guisa che tali indagini rimasero qualche tempo troncate. Il sottoscritto, venuto alla conoscenza di detto fatto solo il 23 luglio ultimo scorso, riprese dette investigazioni onde poter assodare la fine di Turco, risultandoci dover essere stato assassinato dai fratelli Cicerelli e dal Mazzotta ed ecco i motivi che inducono a tale credenza: 1) Il Cicerelli Ferdinando, essendo venuto a questioni con certa Cicerelli Angela nell’anno 1883, seconda quindicina del mese di giugno, gl’intimava di andarsene o far silenzio, che in caso diverso le avrebbe fatto, disse, una fossa come gliela aveva fatta a Mercurio Turco. La Cicerelli Angela dichiarava ciò in questo Ufficio di Stazione alla presenza del sottoscritto e dei Carabinieri Baroni Battista e Vero Vincenzo. 2)  In un giorno dello scorso luglio, certa Mazzotta Michelina, incontrandosi con Cicerelli Domenico gli disse “Ora ci sei ingarrato, Mercurio Turco te lo fanno pagare” ed egli ci rispose “A me hanno a che farmi pagare perché io non c’entro pe nulla, è mio fratello che se la deve vedere”. Il Ferdinando Cicerelli, il quale dev’essere l’autore principale di tal misfatto, da che è venuto a conoscenza del processo che si sta istruendo a di lui carico, serba un contegno da quasi alienato perciò bisogna ritenere che se netta fosse la di costui coscienza, l’aver saputo ciò non avrebbe in egli generato tale impressione, la quale al sottoscritto non rappresenta altro che la macchia del suo fallo. Tanto perché non si dovessero mettere in fuga, il sottoscritto non ha creduto opportuno interrogare niuno dei ritenuti autori di tal misfatto. Intanto entrambi, con analogo verbale, vennero denunciati al Sig. Pretore di Amantea.

Una traccia incerta su cui lavorare, ma Piccinin non demorde e investe del caso la Pretura ed i Carabinieri di Scalea, sperando che riescano, dopo cinque anni, a ricostruire eventi e trovare testimoni utili alle indagini. Intanto – finora nessuno ci ha pensato – bisogna controllare il registro dei decessi per capire se della morte di Mercurio Turco c’è traccia o se, al contrario, per quanto tempo è stato visto a Scalea e poi accertare quale proprietario o pubblico appaltatore eseguì lavori di campagna durante il 1880 nel Comune di Scalea per appurare se le persone coinvolte nell’indagine prestarono, quando e per conto di chi, la propria opera.

Ormai la macchina giudiziaria si è messa in moto e il primo settembre 1885 Pasquale Turco, il fratello dello scomparso, si presenta al Pretore di Amantea e fa una dichiarazione sconcertante:

Quando mio fratello e gli altri tre erano a Scalea, io ero in Sicilia per motivi di lavoro da diversi mesi e ricevetti un telegramma da mia moglie che mi annunziava la morte dell’infelice mio fratello Mercurio. Tornai subito in paese e trovai colà i suoi tre compagni che erano ritornati da Scalea e ciò avveniva nel mese di aprile del 1880. Io volevo recarmi a Scalea per prendere notizie, ma il Brigadiere dei Carabinieri mi sconsigliò, perché riteneva che l’uccisione di mio fratello fosse avvenuta per parte di qualcuno di quel paese e temeva che la mia vita fosse in pericolo andando colà e mi disse che egli si sarebbe incaricato di scrivere al Brigadiere di Scalea e nessuna notizia se ne poté avere. Io stesso, oltre ad aver scritto a tutte le stazioni dei Carabinieri vicine a quel paese senza risultato, mi sono rivolto al fattore del padrone ove lavoravano i quattro laghitani, il quale rispose nel seguente tenore: “Avendo terminato un lavoro, io l’ho accompagnato fuori il paese verso due ore di giorno e gli ho detto che la mattina seguente gli avrei assegnato altro lavoro; in effetti la mattina appresso sono andato in campagna per assegnargli il lavoro e ho trovato colà i tre suoi compagni e non a lui ed avendo domandato ad essi la mancanza di Turco Mercurio, mi risposero che egli ieri sera non si è ritirato affatto”. Questo è quanto veniva riferito dal fattore Sollazzo. Io sospetto che mio fratello è stato assassinato da quei tre compagni per essere spogliato del lavoro che aveva oppure è stato ammazzato da essi per qualche alterco che ha potuto succedere fra di loro.

Possibile che nessuno si è preso la briga di indagare a fondo, se le cose nel 1880 stavano così?

Intanto i fratelli Cicerelli, ormai pubblicamente sospettati di essere i principali responsabili di un omicidio che ancora non si è nemmeno certi che sia mai avvenuto, pensano bene di presentare un esposto al Procuratore del re di Cosenza per spiegare le loro ragioni:

Ferdinando e Domenico Cicerelli da Lago espongono a V.S. che, or sono quattro anni, nel mentre lavoravano nella proprietà del Deputato Fazio, un loro compagno a nome Mercurio Turco si partì da loro e recossi a Diamante onde parlare ad oggetto di lavoro col guardiano del signor Capobianco, che ivi ritrovò. La sera, né dopo, fece più ritorno in Scalea, tanto che gli esponenti, allarmati della sua assenza, ne fecero ricerca per tre giorni di seguito, partecipando ogni cosa al Pretore di quel Mandamento, che li rinviò a quel Brigadiere dei Carabinieri con cui seguitarono a farne ricerca, sempre infruttuosamente. Seppero soltanto dal guardiano del signor Pasquale Capobianco, chiamato Luigi Sollazzo, ch’egli e Mercurio Turco si portarono assieme in Cirella, ove Turco si ubbriacò all’eccesso giuocando in una bettola, dopo di che si partì per Scalea e non fu più visto. Or, dopo quattro anni, gli esponenti, essendo venuti a a contrasto di limiti con una loro nipote, Angela Cicerelli, che voleva arbitrariamente impadronirsi dei fondi di Ferdinando, per vendicarsi della di costui resistenza e per avere, forse, agio di eseguire le sue ambiziose mire, ha ordito una nera tela denunziando il Ferdinando come autore della presunta morte dell’irreperibile Mercurio Turco, vantando fatti del tutto inesistenti ed inverosimili, vantandosi poscia che l’avrebbe mandato in carcere, per quindi impadronirsi dei suoi fondi. E citano dieci testimoni, in maggioranza di Scalea e dintorni, pronti a confermare il loro racconto.

Quasi contemporaneamente arriva in Procura anche il verbale del Brigadiere Michelangelo Mele, comandante la stazione di Scalea, che conferma il contenuto dell’esposto. Precisa che la scomparsa di Mercurio Turco sarebbe da farsi risalire al 2 gennaio 1880 e aggiunge di avere indagato anche per verificare se e chi dei tre sospettati avesse eventualmente seguito Turco quando si recò a Diamante, risultandogli che nessuno dei tre si mosse da Scalea.

Ma secondo le indagini fatte dal Tenente Pietro Marchio, comandante la Tenenza di Paola, le cose non stanno così: intanto i tre avrebbero lavorato a Paola fino alla fine del mese di dicembre 1879, restando nei dintorni perché disoccupati. La mattina del 2 gennaio 1880 Domenico Cicerelli partì per Scalea e Mercurio Turco per Cirella in cerca di lavoro, mentre Ferdinando Cicerelli e Andrea Mazzotta, ammalato, restarono a casa. Ferdinando Cicerelli, però, partiti il fratello e Turco, si allontanò per ignota destinazione, ritornando sul far della sera. Appena fatta notte rientrò pure Domenico Cicerelli il quale, non vedendo tornare Turco, ne prese conto e guardando il fratello Ferdinando si mostrò agitato, ma tanto l’assenza di Ferdinando, quanto l’agitazione del fratello di lui furono osservate solo da Andrea Mazzotta, il quale capì fin d’allora che Ferdinando Cicerelli aveva dovuto assassinare l’infelice Turco durante quell’assenza non giustificata di circa mezza giornata ma, temendo d’essere ucciso anche lui, si guardò bene dal manifestare quei sospetti a chicchessia. La mattina successiva Mazzotta e Domenico Cicerelli andarono in cerca di Turco, credendo di trovarlo morto in quelle vicinanze, ma Ferdinando non volle andarvi e i primi due, senza manifestarsi i loro sospetti, andavano guardando nei fossi ed arrivarono sino a Cirella, ma Mazzotta era più che mai preso da paura poiché, sebbene capiva che Turco doveva essere stato ucciso dal solo Ferdinando, pure s’era persuaso che questi aveva dovuto manifestare antecedentemente al fratello il proposito di commettere tale misfatto. Ci è riuscito stabilire pure che l’infelice Turco fino alle ore 3 pomeridiane del 2 gennaio 1880 fu nella borgata Cirella e dopo aver pranzato in casa di Sollazzo Luigi, assieme a costui andò a bere vino nella cantina di Teresa Zaccaro e quindi ripartì per ritornare alla contrada Brusca di Paola, per cui dev’essere stato ucciso nelle ultime ore di quel giorno nelle vicinanze della contrada suddetta. Ora, però, bisognerebbe capire se Ferdinando seguì Mercurio fino a Cirella e poi anche al ritorno per ucciderlo nelle vicinanze della contrada Brusca o se lo aspettò pazientemente per tutto il giorno fino al suo ritorno, senza averne alcuna certezza. Bisognerebbe capire che senso avrebbe avuto un comportamento del genere da parte di Ferdinando Cicerelli. Bisognerebbe capire come mai ai Carabinieri di Scalea risulta che i quattro laghitani alloggiavano in una casa rurale della signora Maddalena De Fazio e ci sono decine di testimoni che lo confermano. Ma bisognerebbe soprattutto chiarire se davvero la scomparsa di Mercurio Turco avvenne il 2 gennaio 1880 o qualche tempo dopo perché ci sono troppe circostanze discordanti su questo punto.

Poi arriva una lettera del Sindaco di Scalea che smentisce e fa crollare miseramente la ricostruzione fatta dal Tenente Marchio:

Nel dare riscontro alla nota di V.S., le manifesto che effettivamente i nominati Cicerelli Domenico e Ferdinando, fratelli, furono in questo paese nel 1880 in compagnia di altri due compaesani, dove eseguirono lavori di vanga presso i proprietari Filardi Filippo, Giugno Luigi, per conto della Principessa di Scalea e Fazio Luigi, nonché per conto di questo Comune. E siccome dalla contabilità e bilancio comunale di quell’anno mi risulta che i lavori furono presi in appalto dai fratelli Cicerelli, agli stessi si unirono altri tre compaesani dei Cicerelli, che furono Mazzotta Andrea, Turco Mercurio e Matteo Bloise da Fiumefreddo Bruzio ed altri di qui, Montuori Francesco e Chilelli Nicola. Si fa osservare, poi, che i mandati di pagamento per l’espurgo del fosso comunale Pantano, furono rilasciati a favore dei fratelli Cicerelli e di Aloise Matteo.

Generalmente si asserisce che i sopradetti individui furono sempre uniti in questo Comune e territorio e fino al febbraio di quell’anno quando ai Cicerelli fu rilasciato l’ultimo mandato di pagamento. Partiti da qui non si seppe più nulla di loro perché passati al di là del fiume Mercuri, dove presero ad eseguire lavori col proprietario Fazio Luigi.

Sui registri dello stato civile ed in quello dei decessi di quell’anno non si riscontra il nome del Turco, né di altri forestieri.

Un pasticcio che diventa ancora più pasticcio quando viene ritrovato un esposto della vedova del povero Mercurio, Angela Maria Giordano, datato 23 ottobre 1881, nel quale sostiene di avere dei sospetti sul conto del fattore Luigi Sollazzo e dalla proprietaria della cantina di Cirella dove il marito si ubriacò il 2 gennaio 1880, Teresa Zaccaro.

A prescindere se i sospetti della vedova siano giustificati, da tutti gli atti sembra che Luigi Sollazzo e Teresa Zaccaro siano state le ultime persone (eventuale assassino o assassini a parte) ad aver visto vivo Mercurio Turco e quindi è arrivato il momento di sentirli e Luigi Sollazzo e Teresa Zaccaro forniscono una nuova chiave di lettura per dirimere la matassa:

– Il 2 gennaio 1880 sono stato in compagnia del contadino Mercurio Turco perché era venuto dal mio padrone in cerca di lavoro. Alla sera, verso due ore prima del tramonto del sole, dopo essere stato con me nella cantina di Teresa Zaccaro a Cirella, volle partire alla volta del fondo della sua padrona sebbene che lo avessimo sconsigliato dall’intraprendere quel viaggio pericoloso pel fiume Abatemarco. Credo che la sua perdita sia stata causata dall’imperversare dell’acqua di quel fiume impetuoso, essendo Turco una persona beneamata da tutti.

Non valsero le esortazioni degli amici a far trattenere il foresto fino alla mattina successiva a motivo che le acque cadute nel giorno innanzi avrebbero reso pericoloso il fiume che avrebbe dovuto guadare per portarsi al luogo prefisso. In seguito seppi che non fu possibile più rintracciare questo giovane per cui fu creduto che avesse dovuto perire nel transitare il fiume Abatemarco in allora pericolosissimo.

E se fosse andata davvero così? È possibile che qualcuno lo abbia visto? Seguendo questa ipotesi, i Carabinieri di Verbicaro rintracciano i coniugi Antonio Rinaldi e Teresa Magurno che abitano in una casa rurale vicino la riva del mare a circa 300 metri dall’Abatemarco. Interrogati, dicono di aver visto, un’ora e mezza prima del tramonto del primo gennaio 1880 (si tratta sicuramente di una svista nel ricordare con esattezza il giorno) Mercurio Turco, alquanto brillo, passare proprio davanti la loro abitazione mentre si dirigeva verso il fiume nella direzione che portava al fondo dove gli altri lo aspettavano, ma di non aver visto se guadò il fiume.

Adesso le carte processuali passano nelle mani della Procura, che continua a ricevere verbali dei Carabinieri contenenti indizi, meglio dire voci e indiscrezioni, sulla responsabilità dei fratelli Cicerelli e di Andrea Mazzotta nell’omicidio, presunto, di Mercurio Turco, ma di prove concrete nemmeno l’ombra. A questo punto gli inquirenti si pongono alcune ovvie domande per cercare di capire se quei flebilissimi indizi, quelle voci e indiscrezioni che finora sono stati raccolti, messi insieme possano arrivare a formare una prova: è certo che Mercurio Turco sia stato ucciso? E se è stato ucciso, come, dove e quando è stato ucciso? Non c’è alcuna carta negli atti che contenga una risposta positiva.

A questo punto la Procura chiude l’istruttoria e chiede al Giudice Istruttore del Tribunale Correzionale di Cosenza di dichiarare il non luogo a procedere nei confronti dei tre imputati.

Il 9 novembre 1886 il Giudice Istruttore emette la sua sentenza, che termina con queste parole: per altra consimile denunzia degli agenti di polizia si riaprì il procedimento, ma i risultati furono identici ai primi, cioè inscienza assoluta della fine toccata a Mercurio Turco e mancanza di qualsiasi indizio di reità a carico dei fratelli Cicerelli e Mazzotta. Ragione consiglia a desistere dal riaperto procedimento e a procedere anche questa volta secondo le norme del Codice di Procedura Penale.

Per questi motivi, uniformandosi alle conclusioni prese dal Pubblico Ministero, dichiara non esser luogo a procedere contro i summenzionati Cicerelli Domenico, Cicerelli Ferdinando e Mazzotta Andrea per difetto di sufficienti indizi di reità.[1]

Ma la domanda è sempre la stessa: che fine ha fatto Mercurio Turco?

[1] ASCS, Processi Penali.