I POMODORI DELL’ORTO

Sono le dieci e mezzo di sera dell’otto settembre 1920 quando il ventiduenne Giuseppe Marra si presenta al Vice Brigadiere Giovanni Bramanti, comandante la stazione dei Carabinieri di Ortì, frazione di Reggio Calabria, e, in modo concitato, gli dice:

Venite subito con me in contrada Pantano e precisamente nell’aperta campagna di proprietà del signor Alfredo Rositano, di cui noi siamo coloni, perché qualche ora fa, mentre facevo cena in casa coi miei genitori, intesi la detonazione di un colpo di fucile avvenuto poco distante

– E quindi? – gli fa Bramanti.

Uscii subito fuori, ascoltai un po’, e poi corsi alla volta ove sentivo parlare ed ove trovai mio fratello Antonio col fucile in mano ed un uomo lì vicino, disteso a terra. Mio fratello mi disse: “Vai a chiamare subito i Carabinieri e gli dirai che ho tirato un colpo di fucile a Rocco Neri, ferendolo alle gambe, e che io sto qui a guardare, perché da me colpito in flagranza mentre raccoglieva pomidori dalle piante nel nostro giardino” – poi si ferma e tira un lungo respiro.

Bramanti e due Carabinieri si precipitano sul posto con Giuseppe Marra e trovano Rocco Neri disteso supino che dà deboli segni di vita ed un paio di vicini accorsi allo sparo, ma non Antonio Marra, evidentemente datosi alla fuga. Bramanti dispone subito di trasportare il ferito a casa per farlo medicare dal locale farmacista Demetrio Chiantella per mancanza di medici ad Ortì. La cosa strana è che Neri non è ferito alle gambe come sostenuto da Giuseppe Marra, ma alla regione infrascapolare sinistra ed è molto grave. Nonostante ciò Neri, con un filo di voce, riesce a raccontare la sua versione dei fatti:

Verso le nove e mezzo, mentre tornavo dalla mia campagna e transitavo per quella di Alfredo Rositano, custodita da Antonio Marra, ad un tratto Marra mi gridò “Chivalà” ed io risposi “Gente” e subito mi tirò un colpo di fucile alla distanza di otto metri circa, ferendomi gravemente alle spalle. Rimasi disteso a terra immobile e Marra si avvicinò ancora di più a me, riconoscendomi. Caricò di nuovo il fucile e dopo avermi contemplato per la durata di un dieci minuti circa e riconoscendo il mio grave pericolo di vita, se ne fuggì. Faccio presente pure che tra me e Antonio Marra non esisteva alcun rancore, anzi eravamo amici

Poi non riesce più a parlare e dopo una notte di agonia, la mattina muore. Omicidio volontario. Subito viene emesso un mandato di cattura nei confronti di Antonio Marra, ma le ricerche non danno esito.

Mio marito non era andato nel giardino tenuto a colonia da Antonio Marra per rubare pomodori. Nella nostra vigna c’è una lenza di piante di pomodori e ce ne sono maturi. Ritengo che mio marito si sia recato nel fondo di Marra per bere come era solito fare, perché nel nostro fondo non vi è acqua – sostiene Caterina D’Agostino, la vedova e questa convinzione è espressa anche da numerosi testimoni.

Ma questi benedetti pomodori sono stati rubati o no? Come fare per stabilire la verità? Il Vice Brigadiere Bramanti è scrupoloso e previdente, così, mentre aveva incaricato i vicini di andare a prendere una scala per adagiarvi il ferito e portarlo a casa, ha avuto cura di constatare che alcune piante di pomodori erano maltrattate e di raccogliere da terra un po’ di pomodori. In più, nella perquisizione effettuata a casa di Antonio Marra per arrestarlo, oltre al fucile presumibilmente usato per sparare a Neri e ad una piccola scure appartenuta alla vittima, ha sequestrato anche una bisaccia contenente alcune pere e alcuni pomodori, poi la mattina dopo è andato nell’orto di Neri e ha raccolto dei pomodori per farli esaminare da esperti contadini confrontarli con quelli trovati a terra e quelli nella bisaccia.

Sono convinto che i pomodori nella bisaccia del Neri erano proprio quelli del fondo del Marra e ciò sia per la qualità dei pomodori, per la forma, la grandezza e per la maturazione. Ho visto i pomodori di Neri e sono molto più piccoli e ancora non giunti a maturazione – assicura il sessantenne Antonino Moscato.

A questo punto Bramanti, sebbene sia in attesa dei risultati dell’autopsia e, soprattutto, di arrestare e interrogare Antonio Marra, ricostruisce la possibile dinamica del fatto: è nostra precisa convinzione che il Neri passò appositamente ed in quell’ora tarda dalla proprietà del Marra per rubare pomodori ed è stato sparato dal Marra sul luogo e poscia andò a cadere alla distanza di 20 metri circa e che dopo di ciò Marra si avvicinò al Neri credendolo forse morto e per vedere chi era. Poscia caricò di nuovo il fucile e se ne andiede portando seco la bertola del ferito col contenuto che andò a depositare nella sua casa, poco distante dall’accaduto, non che il fucile carico, che venne tutto ciò da noi sequestrato. Si fa presente pure che il Marra è stato altre volte rubato nella predetta proprietà ed è perciò che stava in vedetta giorno e notte per colpire da un momento all’altro qualcuno.

E se così sarà dimostrato con le prove, la posizione processuale di Antonio Marra sarebbe molto più leggera. Vedremo.

Siamo ormai ai primi di novembre, due mesi dopo il fatto, e del ricercato non ci sono ancora notizie. Poi, la sera del sette novembre, Antonio Marra bussa alla porta della caserma dei Carabinieri di Ortì e si costituisce.

Non ebbi intenzione di uccidere Rocco Neri – esordisce appena viene interrogato, poi continua –. Il fatto avvenne così: la sera dell’otto settembre verso l’avemaria andai a far visita a mia cugina Maria Moscato, che abita un chilometro distante dalla mia casa. Passando necessariamente dal fondo Pantano da me tenuto in colonia, ho portato con me il fucile per servirmene in caso avessi trovato qualcuno. Verso le ore ventidue ritornai a casa ripassando per lo stesso fondo, quando ad un certo punto sentivo rumore, detti il chivalà e nessuno rispose, così credetti che si trattasse di una bestia e non di un uomo. Mi avvicinai verso il luogo ove avevo sentito il rumore e nel frattempo sentii come un colpo di fucile passarmi per la testa. Continuai ad avanzarmi tenendo il fucile colla bocca della canna rivolta a terra e col grilletto alzato. Erano piantati i fagioli e urtando contro un palo col grilletto, il fucile esplose. Sentii che un uomo nelle vicinanze si lamentava dicendo che l’avevo ferito alle gambe e cercava aiuto. Mi disse che era Rocco Neri, che io conoscevo e col quale ero buon amico. Non ebbi il coraggio di avvicinarmi ed aiutarlo ed egli stesso, sebbene ferito, si spostò di alcuni passi, lasciando al posto in cui era una bisaccia ed una scure. Presi tali oggetti e li tenni presso di me ed intanto sopraggiunse mio fratello Giuseppe e non seppi far di meglio che fare avvisare con lui i Carabinieri e mi allontanai. Portai con me a casa la bisaccia nella quale v’erano dei pomodori, che certamente erano stati raccolti nel mio fondo, e la scure e detti ordine ai miei parenti di consegnare tutto ai Carabinieri. Stando così i fatti, io non cagionali volontariamente la morte di Rocco.

– Però vostro fratello Giuseppe ci ha dichiarato che voi gli diceste di aver sparato volontariamente perché stava rubando i pomodori, come la mettiamo?

Non è vero che io abbia detto a mio fratello di aver tirato volontariamente un colpo a Neri per averlo colto a cogliere pomodori nel mio fondo.

– Visto che avevate già subito altri furti, non è che sospettavate di Neri e lo avete appostato?

Non avevo sospetti che lui mi rubasse e ripeto che con lui eravamo buoni amici.

– Se le cose sono andate così, perché non vi siete costituito subito?

Non mi costituii subito perché ammalato di malaria

Lo sparo accidentale del fucile tenuto nella posizione descritta da Marra ed il conseguente ferimento non sembra probabile, ma sarà il risultato della perizia autoptica a fare luce: dai caratteri della ferita si desume che il colpo incontrò il bersaglio nel primo tratto della traiettoria in quanto che la breccia fatta dai pallini ha un’estensione moderata in modo che la distanza di chi esplose il colpo non poteva essere superiore ai cinque metri. Dai dati anatomopatologici abbiamo rilevato che i pallini, penetrando in cavità, ferirono il lobo superiore del pulmone sinistro producendo lenta emorragia interna, in guisa che il ferito poté ancora vivere diverse ore, estinguendosi lentamente. Dalla direzione della ferita dallo indietro in avanti in direzione quasi perpendicolare all’asse del corpo, deduciamo che il ferito doveva volgere le spalle al feritore, il quale era sullo stesso piano ed in linea retta. Conseguentemente possiamo, con scienza e coscienza, stabilire che causa unica della morte di Neri Rocco fu la ferita di fucile riportata alla regione infrascapolare penetrante in cavità e che nessuna altra causa preesistente, concomitante o susseguente abbia potuto contribuire a determinarla.

Sembra proprio che Antonio Marra sparò volontariamente dopo aver preso la mira. Dello stesso avviso è la Procura di Reggio Calabria, che chiede il rinvio a giudizio dell’imputato per omicidio volontario. La Sezione d’Accusa, da parte sua, mediando tra la versione dei fatti fornita da Rocco Neri prima di morire e quella di Antonio Marra nei suoi interrogatori, ritiene che Marra, temendo che qualcuno andasse a rubare nel suo fondo, la sera dell’8 settembre 1929, armato di fucile carico a minuto piombo, si pose a guardia del fondo. I suoi timori non erano infondati giacché verso le 22 sentì il rumore di una persona che passava nella piantata di pomodori ed avendo gridato “chivalà” e avuta la risposta “gente”, vide nell’oscurità una persona che cercava di allontanarsi e allora esplose contro la stessa il fucile, ferendola gravemente alle spalle e facendola cadere a terra. Si, per la Sezione d’Accusa Marra ha sparato volontariamente, ma senza il fine di uccidere, volendo commettere una lesione personale mercé un colpo di fucile carico a minuto piombo, cagionando la morte di Neri Rocco. Rimanendo così modificata la rubrica e per rispondere davanti alla Corte d’Assise di Reggio Calabria di omicidio preterintenzionale.

La causa si discute il 13 agosto 1931 e la Corte, letti gli atti, ascoltati i testimoni e le richieste delle parti, si ritira in Camera di Consiglio con i giurati. Alla fine della discussione, messe ai voti le questioni concordate tra le parti, la Giuria, al quesito “È l’imputato Marra Antonio colpevole per aver commesso il fatto volontariamente, senza il fine di uccidere ma con atti diretti a commettere una lesione personale a Neri Rocco?”, a maggioranza risponde NO e quindi assolve Antonio Marra.

Ma Marra deteneva abusivamente il fucile e, abusivamente, lo ha portato fuori dalla propria abitazione e di questi reati è responsabile e va condannato. La pena che la Corte ritiene equa ammonta a giorni 25 di arresti e lire 157 di pena pecuniaria.[1]

[1] ASRC, Atti della Corte d’Assise di Reggio Calabria.