MEGLIO MORIRE CHE FUGGIRE

Nel pomeriggio del 15 agosto 1896 Nicola Magnolo, minatore da Gerace Marina che lavora alla costruzione del ponte sul Crati nelle vicinanze di Castiglione Cosentino, dopo aver passato il giorno di festa a Sant’Ippolito torna a Castiglione dove, insieme ad altri operai, ha preso in affitto una casa e si mette a chiacchierare con i colleghi, tutti provenienti dalla provincia di Reggio Calabria.

Sarà stato il vino, fatto sta che Magnolo inizia a rivelare, vantandosene, tra lo stupore dei presenti:

– Vi dico che ho sedotto e forse resa incinta Ernestina, la sorella di Girolamo Limido –. Un’offesa mortale, questa, fatta all’onore della famiglia Limido. Ma il problema non è, anzi i problemi non sono, però, solo questo perché Girolamo Limido è un suo compaesano che divide con lui la stessa stanza, è amico intimo di Carlo, il fratello di Girolamo, ed è stato ospitato per un paio di anni in casa dei Limido con benevolenza e colmato di cortesie. Poi continua – pochi giorni addietro ho indirizzato, a mezzo di una donna, una lettera d’insolenze a Girolamo, avvertendolo che già da tempo possedevo la sorella!

Adesso sui volti dei presenti non c’è più lo stupore, ma lo sconcerto e poi il terrore perché tutti vedono tornare Girolamo Limido accompagnato dal fratello Carlo e questo è un pessimo segnale per Nicola Magnolo.

Cumpari Nicola, vi conviene scappare per sottrarvi all’ira loro! – gli suggeriscono tutti.

È meglio morire che fuggire perché muoio dalle loro mani e non mi dispiace, basta che non mi tocchi altra persona. Io ho fatto loro una grave offesa! – termina teatralmente.

Sono ormai le nove di sera e, incredibilmente, sembra che il sangue non debba più scorrere. Magnolo e i fratelli Limido sono nella bettola tenuta dalla moglie di un loro compagno di lavoro, Francesco Fortugno, dove si discute pacificamente, mentre Magnolo, vergognosamente, non prende parte alla chiacchierata. Dopo un paio di ore tutti salutano e tornano al loro dormitorio. Entrati, Carlo Limido, l’unico che non abita nella casa, esce mentre gli altri incominciano a svestirsi per coricarsi. Quando, dopo cinque minuti, Carlo rientra, qualcuno è già a letto e altri, come Magnolo, stanno ancora accomodando il proprio letto.

Compà, chi disonora una famiglia cosa si meriterebbe? – fa Carlo rivolto a Nicola Magnolo.

Si meriterebbe la morte!!! – risponde.

Allora Carlo, senz’altro, estratta dalle vesti una rivoltella, gli fa:

Quando tu dici che si meriterebbe la morte, allora tè, compare! – e gli spara tre colpi quasi a bruciapelo, uno dei quali lo centra alla testa facendolo stramazzare al suolo privo di sensi.

Dopo circa mezz’ora di atroce agonia, Magnolo muore, mentre Carlo Limido scappa, dopo aver detto ai presenti esterrefatti:

Vedeste ciò che feci e sapete che sono stato io!

Dietro di lui scappa anche il fratello Girolamo ed entrambi svaniscono nel nulla, tanto che tutte le ricerche fatte dai Carabinieri di San Pietro in Guarano, competenti per territorio, non danno esito, nemmeno dopo l’intervento diretto del Comando di Tenenza di Cosenza.

Ma dopo due giorni arriva la soffiata giusta alla Pubblica Sicurezza: i due latitanti sono nascosti a Cosenza in casa di tale Gabriele De Fazio in Via San Giovanni numero 20. Gli Agenti irrompono nella casa, però ci trovano solo Carlo e lo arrestano, poi lo portano in Questura e lo interrogano:

La mia famiglia, composta dai genitori, una sorella di nome Ernesta e d’altri due fratellini, dimorava da cinque anni in una casa campestre posta nella contrada Pantanello in territorio di Pietrafitta, mentre l’altro mio fratello Girolamo, dal 24 giugno ultimo, trovavasi in Castiglione Cosentino per ragioni di lavoro. Il giorno 15 volgente, essendomi ritirato a casa perché giorno festivo, lessi sul viso miei familiari un profondo dispiacere ed avendone chiesta la ragione, mia sorella Ernesta mi manifestò come nel giorno 31 luglio ultimo si fosse presentato in casa Magnolo Nicola, armato di rasoio a manico fisso, l’aveva ghermita e con violenza e minaccia costretta a congiunzione carnale. Immaginatevi il mio dolore per tale spiacevole annunzio e per un fatto che disonorava la mia famiglia. Senza neppure mangiare uscii e mi recai a Pietrafitta, donde venni a Cosenza e partii per Castiglione Cosentino dove, come ho detto, trovavasi mio fratello e vi andai in cerca di lavoro, non essendoci altro da fare a Pietrafitta. Arrivato verso le ore sei e mezzo e trovato mio fratello, insieme ci recammo alla cantina di Francesco Fortugno, dove trovammo altri amici, meno del Magnolo Nicola. Verso le ore otto mi ritirai insieme a mio fratello, ma costui mi precedeva e andava a coricarsi. Arrivato alla sua casa lo trovai coricato, così come Bruno Morabito e Rocco Vita, mentre Magnolo stava per svestirsi e prendere il letto. Lo domandai: “uno che disonora la sorella d’un altro che cosa si merita?” e quegli mi rispose: “Ammazzato”. Io mi acciecai, tirai dalla fondina la mia rivoltella ed alla distanza di circa tre metri gli scaricai contro quattro colpi e lo vidi cadere a terra.

– Quindi sarebbe stata una cosa improvvisa e non premeditata, noi invece pensiamo che tu sia andato a Castiglione per ammazzarlo perché sapevi che Magnolo abitava lì.

– Si, lo sapevo, ma non mi vi recai per ucciderlo ma, come ho detto, per trovare da occuparmi.

– Abbiamo saputo che prima di andare nella casa dove poi hai ucciso Magnolo, quando eravate tutti nella cantina di Francesco Fortugno e sua moglie Antonina Nucara ti sei appartato con Carlo Limido per trattare il matrimonio tra lui e tua sorella e che già lì avevi intenzione di ucciderlo…

Non è vero, invece si discorse di cose puramente estranee. Io non uccisi Magnolo in casa di Fortugno perché, trovandosi altra gente, temetti di colpire qualche innocente.

Ma c’è qualcosa che ancora non sappiamo, che nemmeno Carlo ha rivelato, ma che potrebbe avere molta importanza nel contesto sociale dei protagonisti: Carlo Limido e Nicola Magnolo avevano contratto un legame di comparaggio. Allora la confessione fatta ai compagni di lavoro, la lettera fatta recapitare ai Limido e la risposta data a Carlo Limido assumono un altro significato e cioè non quello di sbeffeggiarli, ma quello di ammettere il tradimento del sangiovanni, il legame di comparaggio, e di essere pronto a pagarne le conseguenze secondo le consuetudini ed il codice (presunto) d’onore. E c’è anche un’altra cosa che Carlo ha taciuto: letta la lettera lasciatagli da Nicola Magnolo, rientrò a casa con l’intenzione di uccidere la sorella Ernesta, che picchiò per tutta la notte alla presenza dei genitori senza che questi intervenissero, finché Ernesta non si decise a raccontargli le circostanze in cui avvenne la congiunzione carnale:

Magnolo, da solo, tornò da noi il trentuno luglio e mi trovò da sola. Mi chiese dell’acqua e, dopo avutala, lo invitai ad andarsene facendogli notare che ero sola e non conveniva intrattenermi con lui. Mi rispose “faccio i miei comodi” e poscia manifestò il desiderio di voler giacere con me; mi opposi recisamente ed egli allora prese un rasoio ammanicato e mi minacciò di morte ove avessi continuato nel rifiuto. Opposi una certa resistenza e rimasi ferita al polso della mano sinistra – infatti ha una pezzuola che le benda la mano – ma non potetti difendermi più oltre perché… perché non lo sapete forse che sono senza un piede? – urla singhiozzando ed imprecando alla propria sventura –. E così brutalmente si precipitò su di me e mi deflorò dopo avermi tappata la bocca con un fazzoletto. Tornò il tredici agosto ed ebbe la sfrontatezza di chiedere di nuovo di giacersi con me; io resistetti e feci a lui capire che se più avesse insistito per perdermi del tutto ne avrei fatto consapevole te – continua rivolta a Carlo –. Allora rispose: “glielo dirò io a tuo fratello perché ci ho il coraggio!”, ma siccome si accorse che veniva mamma, andò via. La sera poi fu insieme a te… mai, mai espresse a me alcun desiderio di matrimonio ed io tampoco avrei potuto accettarlo, sia per la sua cattiva condotta, sia a causa del piede che mi manca

Il nove settembre si presenta Girolamo Limido, denunciato a piede libero, e racconta la sua versione:

Sono irresponsabile del reato di correità nell’omicidio commesso da mio fratello Carlo.

– E perché non sei intervenuto per evitarlo?

Se non mi interposi quando intesi il primo colpo di rivoltella esploso da Carlo, fu perché rimasi spaventato da quel triste fatto.

– Però lo hai accompagnato da Cosenza a Castiglione e quindi dovevi conoscere le sue intenzioni e non hai fatto niente!

È vero che lo accompagnai da Cosenza a Castiglione, ma ci incontrammo per caso perché io venivo da Pedace e lui da Pietrafitta. Ricordo che lo vidi tutto irato e preoccupato, tanto che gliene domandai il motivo, ma non me lo spiegò.

– Vorresti darci ad intendere che non sapevi niente del fatto di tua sorella?

– No, non sapevo niente, lo appresi dopo l’omicidio da Carlo stesso.

Chiusa l’istruttoria, la Procura proscioglie Girolamo Limido per insufficienza di prove e chiede il rinvio a giudizio solo per Carlo Limido con l’accusa di omicidio volontario, esclusa l’aggravante della premeditazione. La Sezione d’Accusa il 27 novembre 1896 accoglie la richiesta e ad occuparsi del caso sarà la Corte d’Assise di Cosenza il 17 dicembre successivo.

Il giorno dopo, 18 dicembre, la Corte emette la sentenza con la quale assolve Carlo Limido.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.