NON DIRE NIENTE A MAMMA

È il 21 agosto 1895 ed il sole sta tramontando. Cenzino, 7 anni, è seduto per terra davanti casa, in contrada Moschera di Fuscaldo, e sta aspettando il suo tata, come chiama il papà, che deve rientrare dal lavoro e la sua mamma, che è andata a riempire un orciuolo alla fontana.

Cenzo, vieni con me a u fiume Lavandaia per pigliare angille – gli fa il diciannovenne Francesco Luca, che abita lì vicino. Il bambino vorrebbe andare, ma sa che la mamma si arrabbierebbe se non lo trovasse a casa e tentenna – e jamu! – insiste Francesco porgendogli la mano e il bambino lo segue.

Michelina Basile e sua sorella Rosina stanno rincasando e sulla stradina che scende al fiume incontrano Francesco e Cenzino che si divertono a scaraventare dei ciottoli e Rosina li rimprovera:

Non lanciate pietre che potete offendere qualcuno! – alle risate divertite dei due, le sorelle fanno spallucce e continuano per la loro strada.

Francesco e Cenzino continuano a scendere verso il fiume quando, all’improvviso, il giovanotto afferra il bambino e lo butta a terra bocconi tenendolo fermo con una mano, mentre con l’altra prima gli cala i calzoni e poi si sbottona i suoi mettendo fuori il suo membro eccitato. Cenzino cerca di scalciare per liberarsi dalla morsa, ma Francesco è troppo più forte e con violenza inaudita lo stupra. Il bambino sbarra gli occhi per il dolore e quando il bruto finisce con un grugnito di piacere, si rialza e lascia a terra Cenzino che piange a dirotto, poi, non contento, con gli occhi ancora bramosi di piacere e la voce rauca, gli dice:

Facimmu ‘nantra vota

Cenzino, piangendo e sanguinando, urla:

None! None!

Il bruto sta per afferrarlo di nuovo quando sente qualcuno che si avvicina e va a nascondersi dietro un cespuglio dalla parte superiore della stradina. Dopo pochi secondi arriva Antonio Lanzillotti che sta tornando a casa e vede Cenzino a terra con le mani sul viso. Non vede il sangue sui calzoni, non può immaginare ciò che è appena accaduto, e pensa che il bambino non voglia tornare a casa perché ha combinato qualche marachella e la mamma lo ha battuto. In questo momento Francesco Luca esce dal dietro il cespuglio e dice a Cenzino:

Birbantello, perché non te ne vuoi andare a casa?

Si, vai subito a casa! – lo ammonisce anche Lanzillotti, che poi continua il suo cammino e si ferma poco più avanti dove c’è la casetta di un suo amico.

A questo punto Francesco, sollevato per lo scampato pericolo, ma tuttavia temendo di essere scoperto, rinuncia all’idea di violentare di nuovo Cenzino e lo prende per un braccio tirandolo in piedi. Il bambino cammina a fatica continuando a piangere e sanguinare, così l’orco gli mette un braccio sotto l’ascella e lo trascina verso casa.

Non dire niente a mamma ca pù sani – perché poi guarisci. È una minaccia o un tentativo di calmarlo?

Antonio Lanzillotti li vede passare e si compiace perché il giovanotto sta riportando a casa il bambino monello. Dopo un po’ Francesco Luca torna indietro e si ferma a chiacchierare con Lanzillotti e l’amico di questi come se niente fosse e nessuno gli chiede del bambino, sicuri della sua buona azione.

Intanto la mamma di Cenzino, Filomena D’Andrea, è tornata a casa, non ha trovato il figlio e si è messa a cercarlo nelle vicinanze senza trovarlo. Preoccupata, urla il nome del bambino con tutte le forze che ha e poi, all’improvviso, la voce di un uomo, di quella specie di uomo, che viene dal buio:

Mo’ viene, mo’ viene

Filomena corre in direzione della voce e, alla debolissima luce del primo spicchio di luna nuova, vede la sagoma di Cenzino che si trascina a fatica e urla:

Figlio, figlio, come ti hanno ridotto!

Lo prende in braccio e corre verso casa e ancora non si è accorta del rivolo di sangue che le scorre lungo un braccio e gocciola sulla strada. A casa c’è il lume acceso, Filomena mette il bambino sul letto e solo adesso nota con orrore il sangue sul suo braccio, sulle gambette di Cenzino e, ormai, anche sul letto. Capisce tutto e urla disperata; accorrono i vicini e dopo che il bambino racconta ai presenti con un filo di voce la violenza che ha subito, constatano anche loro, guardandogli tra le natiche, ciò che è accaduto e, preoccupati per il sangue che scorre ancora abbondantemente, vanno a chiamare i Carabinieri ed il dottor Giuseppe Molinari.

Come vedete – fa osservare il medico al Maresciallo – alla ispezione nella regione anale il bambino presenta varie lividure, anzi in taluni punti queste mostrano la forma di ecchimosi… tutto lo sfintere anale è infiammato e dolentissimo al tatto. Divaricato lo sfintere si vedono molte lacerature che si allungano fino alla parte inferiore del retto, il quale è prolassato ed in preda ad accentuata flogosi. Le lacerature sono più a sinistra e proprio in numero… in numero di tre, a destra… una. tutte sono lunghe un centimetro e mezzo, larghe… mezzo centimetro e profonde… direi un tre millimetri. Le lesioni sono state prodotte da corpo contundente come pene o altro simile, ma con certezza per congiunzione carnale fatta da persona adulta con violenza sulla vittima. Giudico che porterà malattia ed incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per giorni trenta e con riserva.

La mattina dopo, avvisato il Pretore, viene emesso un mandato di cattura a carico del mostro, del quale, però, non c’è notizia. Intanto Cenzino si è un po’ calmato e, nonostante il dolore nel corpo e nell’animo, racconta con l’innocenza di bambino come è stato adescato e soprattutto il momento più terribile:

Mi pose con la faccia ’nterra, con una mano mi teneva e con l’altra calandomi i calzoni e poi si sbottonò i suoi e mi pose nel culillo la sua pisciuola ed intesi dolore e mi uscì molto sangue, mi misi a piangere ed egli insisteva ed io gridando e piangendo “None! None!”

Verso un’ora di notte del 21 agosto, abitando vicino di casa di Cenzino – racconta Rosaria Seta al Pretore di Fuscaldo che conduce le indagini – ho inteso che la madre di lui si conquestava dicendo “figlio, figlio come ti hanno ridotto!”. Io sono accorsa e trovai giacente a letto il bambino e richiesto loro cosa ha sofferto, Cenzino, quasi moribondo, diceva che Francesco Luca, nel sottostante fiume detto della Lavandaia lo pose bocconi a terra e gl’introdusse nell’ano il membro e non contento della prima volta voleva di nuovo ripetere l’atto libidinoso

Quando vidi Luca Francesco che conduceva per un braccio il bambino era già tramontato il sole ed eravamo nella contrada Scala della guardia, distante dalla casa dei Cesario circa un quarto d’ora di cammino – depone Antonio Lanzillotti –. Non avendo io neppure sospettato che il Luca avesse violentato il bambino, non posi attenzione se costui piangesse, osservai però che non camminava volentieri, tanto che io stesso lo ammonii di camminare per la casa.

– Il luogo dove erano il Luca ed il bambino è un luogo pubblico o esposto al pubblico? – gli chiede il Pretore perché tra le due possibilità, secondo il Codice Penale, c’è una sostanziale differenza nella determinazione della pena.

Il luogo dove, per come si dice, avvenne la congiunzione carnale è prossimo alla strada e perciò esposto al pubblico perché dai passanti si vede benissimo.

Intanto l’estate è passata e l’autunno è ormai inoltrato, ma del bruto non ci sono ancora notizie.

Il 23 novembre 1895 i Carabinieri Benvenuto Boggian e Giuseppe Leardini sono comandati di servizio per andare a dare la solita occhiata a casa del latitante. Sono le nove di mattina quando bussano alla porta ed entrano. La sorpresa è grande quando vedono il giovanotto seduto su una seggiola davanti al fuoco. Francesco Luca non oppone resistenza e, ricevuta la sua copia del mandato di cattura, si fa mettere i ferri ai polsi e, tenuto per la catenella, li segue docilmente in caserma, accompagnato dagli insulti della gente.

È vero che, preso da una brutta tentazione, la sera del 21 agosto, vedendo il giovinetto compaesano Cenzino Cesario lo condussi nel vicino vallone del fiume Lavandaia e colà, mettendolo a boccone, mi ho unito carnalmente. Ho fatto quest’atto turpe ignorando le conseguenze che potevano succedere e prego la giustizia, come prego al Signore Iddio che mi perdoni

– E l’atto turpe volevi ripeterlo subito dopo nonostante il bambino sanguinasse molto!

Non è vero che dopo consumato l’atto turpe, di cui io stesso mi vergogno, volevo ripeterlo altra volta e non ho visto, in quel momento, che il bambino mandava sangue dalle parti anali

– Tu sapevi che stavi facendo qualcosa di male perché ti sei andato a nascondere su un’altura quando hai sentito che arrivava gente.

Non è vero che io me ne sono fuggito e mi ho nascosto sopra un’altura. Io non ho fatto altro che rincasarmi e Cenzino si ritirò da sé nella vicina sua casa!

– Almeno il tuo compaesano Antonio Lanzillotti lo hai visto quando è passato da lì e tu incoraggiavi il bambino a tornare a casa?

Ho visto, è vero, Lanzillotti, ma io niente ho detto perché niente avevo ancora in quell’istante commesso! Avendo confessato la verità non ho altro che il pentimento, muovendo a compassione la giustizia

Il 24 gennaio 1896 la Sezione d’Accusa accoglie la richiesta della Procura e rinvia Francesco Luca al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di violenta congiunzione carnale, commessa in luogo esposto al pubblico, in offesa del giovanetto Vincenzo Cesario, minore degli anni dodici, cui produsse malattia di corpo per giorni trenta.

La causa si discute giovedì 9 aprile 1896 e già nel pomeriggio la Corte emette la sentenza con la quale, affermatane la responsabilità penale, condanna Francesco Luca ad anni 12 e mesi 6 di reclusione, oltre ai danni, le spese e le pene accessorie.

Il 3 giugno 1896 la Suprema Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso dell’imputato.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.