VIGLIACCO, TI AMMAZZO!

Nel 1930, a Verbicaro, il venticinquenne contadino Biase Cirelli, contro il volere dei suoi genitori, diventa l’amante dalla già matura prostituta, trentacinquenne circa, Angelina Dignamerita Zito e ne prende in colonia il fondo agricolo con casetta colonica in contrada Iannuzzella.

Siamo nel 1945 e la tresca tra i due va avanti da ormai quindici anni, nonostante Angelina non si sia mai trattenuta dal concedere i suoi favori ad altri giovani verbicaresi.  Ma alla soglia dei cinquant’anni è stanca di questa sua condizione e chiede a Biase di regolarizzare la loro relazione col matrimonio. Lui, ormai più amoroso della terra che coltiva, che non delle carni ormai vizze dell’amante, per sposarla pone la condizione di avere in donazione il fondo di contrada Iannuzzella.

Ad Angelina l’affare non pare conveniente e quindi rompe la relazione e lascia Biase come colono, ma non abbandona gli illeciti amori e contrae una nuova relazione con il trentunenne Pietro Corbelli.

La nuova relazione di Angelina va avanti ormai da cinque mesi senza problemi, quando nel pomeriggio del 15 maggio 1945 Biase Cirelli va nella casa colonica del fondo di contrada Iannuzzella e scopre che dal pagliericcio del letto, dove le teneva nascoste, gli sono state portate via sedicimila lire. Siccome nella casa ha trovato il desinare che è solita portargli Angelina, pensa subito che sia stata lei a rubarglieli e corre in paese a casa della ex amante per accertarsene. Arriva verso le 22,45 e trova la porta d’ingresso chiusa; bussa a lungo insistentemente, ma nessuno apre, così, con una poderosa spallata, butta giù la porta ed entra. Trova Pietro Corbelli nudo, appena uscito da una caldaia dove stava a fare il bagno e va su tutte le furie; arriva anche Angelina che cerca di calmarlo, ma Biase la spinge di lato e, presa dalla cintola la sua scure, si lancia su Corbelli urlando:

Vigliacco, ti ammazzo!

Gli assesta due colpi che lo feriscono alla guancia destra, aprendogliela in due, e alla regione posteriore del collo, poi alza di nuovo la scure per finirlo, ma colpisce la lampadina elettrica appesa al soffitto e il colpo, fortunatamente, va a vuoto. In questo momento entrano due vicini, che abitano al piano inferiore del fabbricato e che hanno sentito tutto, e nel buio riescono a bloccarlo e disarmarlo. Poi arrivano anche i Carabinieri e lo arrestano.

Per fortuna le ferite non sono gravi e Pietro se la caverà in una ventina di giorni, ma il suo viso resterà indelebilmente deturpato dalla cicatrice che parte dal lobo dell’orecchio destro e si allunga sulla guancia per otto centimetri.

Il 14 settembre 1945 il Giudice Istruttore rinvia Biase Cirelli al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di tentato omicidio.

La causa si discute il 29 gennaio 1946 e la difesa, in pieno contrasto con l’accusa privata e pubblica, chiede di derubricare il reato da quello di tentato omicidio a quello di lesioni semplici in concorso delle circostanze attenuanti generiche e della provocazione.

La Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, osserva: l’assunto e le richieste difensive non possono essere accolti perché non sorrette dalle risultanze del dibattimento. E spiega: non può negarsi che la porzione della lunga cicatrice, residua della ferita inferta dall’imputato a Pietro Corbelli, che dal lobulo dell’orecchio raggiunge l’angolo del mascellare, costituita da un solco profondo ed evidentissimo nella regione in cui è compresa la guancia, così come è stata constatata anche dalla Corte, costituisce sfregio permanente del viso in quanto altera sensibilmente l’armonia del giovane volto del Corbelli. Ma non può escludersi nemmeno la volontà omicida nel Cirelli, fatta palese dalla causale, dall’arma idonea a produrre la morte, dalla parte del corpo presa di mira, dalla reiterazione dei colpi, accertata dalle persone accorse, e dalle stesse parole dell’imputato, pronunciate durante l’esecuzione del delitto.

Già, la causale, il movente del delitto. Da quanto ha raccontato Biase Cirelli nei suoi interrogatori non è chiaro se sia stato spinto dal furto subito e attribuito prima ad Angelina e poi a Corbelli o ad un impeto di gelosia quando si trovò davanti Corbelli, nudo in casa di Angelina. La Corte ritiene che nessuno di questi due possibili moventi – o addirittura tutti e due insieme – sia quello vero che ha spinto Cirelli a delinquere e ne descrive un terzo, quello che ritiene il vero e unico: per la nuova relazione contratta con il giovane Corbelli, il sogno carezzato per tanti anni di raggiungere la proprietà del fondo Iannuzzella come compenso del consentito matrimonio con la vecchia baldracca, si dileguava e quindi la soppressione del nuovo amante poteva riaccendere le deluse speranze e ricompariva all’orizzonte il vagheggiato miraggio d’abbandonare le umili spoglie di colono per indossare le vistose vesti del proprietario. A questo vagheggiato miraggio al quale il colpevole, contro la volontà dei genitori, aveva sacrificato la sua giovinezza e la sua dignità di uomo aggrappandosi all’indurita, malfamata esercente la prostituzione clandestina, ben poteva e doveva nella mente avida ed esose del Cirelli essere immolata la giovinezza del temuto concorrente.

Compresa l’aria che tira, la difesa mira a limitare i danni e insiste sulla concessione delle attenuanti generiche e dell’attenuante della provocazione, motivata dal furto subito, certamente ad opera di Corbelli, e dalla relazione illecita con la sua ex amante. La Corte smonta anche questa richiesta: le risultanze processuali non consentono l’affermazione della sussistenza dell’invocata attenuante della provocazione, la quale non è fondata soltanto sullo stato d’ira che innegabilmente travagliava il colpevole, ma pure nel nesso causale tra lo stato d’ira ed il fatto ingiusto altrui. Nel caso in esame nessun fatto ingiusto può addebitarsi alla vittima. Non le relazioni illecite con la Zito, perché costei era libera di disporre del suo corpo a suo libito non essendo legata ad alcuno da qualsiasi vincolo legittimo ed infatti si dava a chiunque piacesse prenderla a titolo oneroso od a titolo gratuito. Non il furto delle sedicimila lire perché manca del tutto la prova che Corbelli l’abbia commesso e, in rapporto alle circostanze attenuanti, il ritenuto non vale il reale.

Dopo il durissimo giudizio su Biase Cirelli, adesso la Corte spende qualche parola più benevola nei suoi riguardi: la Corte ritiene di poter concedere soltanto le circostanze attenuanti generiche per lo stato d’ira che lo travagliò, e che per difetto dell’ingiustizia del fatto che la determinò non può assurgere a provocazione, e per la sua buona condotta precedente al fatto.

Quindi si può passare a determinare la pena, la Corte giudica di irrogargli la pena della reclusione per anni 4 e mesi 8, con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni 5, oltre alle spese e ai danni, liquidati (ironia della sorte) in lire 16.000.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.