IMPICCATA

Sono le sei di mattina dell’11 giugno 1944 quando Giuseppe Lenti bussa alla caserma dei Carabinieri di Fiumefreddo Bruzio e chiede, concitatamente, di parlare col Maresciallo Maggiore Sebastiano Lizio:

– In contrada Dirroiti… correte…

– Calmatevi! Cosa è successo?

– Mi ero appena alzato e ho sentito piangere i bambini di Luigi Perri e Angelina Aloe, sono uscito per vedere cosa avessero e… – si interrompe, sbarra gli occhi e comincia a tremare.

– E…

– L’ho vista appiccata ad un ramo di olivo sottostante alla casa di abitazione!

– Ma chi?

– Angelina!

Il Maresciallo ordina di andare a chiamare – che venisse immediatamente, raccomanda al sottoposto – il dottor Raffaele Mazzarone e si precipita sul posto.

In attesa del dottore, Lizio, in mezzo ai familiari che si disperano, inizia a prendere nota della scena: Angelina Aloe ha al collo una doppia ansa di fune, mentre l’altro capo di questa è annodata ad un ramo distante circa due metri e settanta centimetri dal suolo, da cui i piedi del cadavere distano circa trenta centimetri; la fune compresa tra il ramo ed il collo è lunga circa ottanta centimetri. Sicuramente si è suicidata, ma un particolare è strano: sotto i piedi di Angelina non c’è niente su cui è potuta salire per mettersi la corda al collo e poi lasciarsi andare.

Intanto il dottor Mazzarone è arrivato e, fatto deporre a terra il cadavere, si può procedere a descriverne le condizioni esterne: le dita delle mani, specie quelle della destra, sono alquanto flesse; gli occhi sono chiusi, la lingua leggermente protrusa è stretta tra i mascellari e si nota una macchia ecchimotica in corrispondenza della regione mastoidea destra, che appare tumefatta; una macchia di sangue è disposta longitudinalmente e lunga circa due o tre centimetri in corrispondenza della estremità inferiore della gamba destra e del collo del piede.

La morte è avvenuta per appiccamento e sul corpo non si riscontrano segni di violenza – conclude il medico. Si, si tratta di un suicidio e questa tesi è confermata dai due figli grandicelli della morta, dal patrigno e dalla madre. Ma perché Angelina è arrivata a questa estrema decisione? Sia i figli che il patrigno, la madre ed altri testimoni raccontano che la donna era in continuo dissidio con il marito a causa di relazione adulterina che egli aveva con Rosina Mannarino e che, perciò, Luigi Perri maltrattava la moglie, anche bastonandola, ed i loro cinque, teneri figli, spesso lasciando privi del necessario l’una e gli altri. Qualcuno racconta che, disperata, qualche volta aveva espresso il proposito di farla finita: “Vado a buttarmi a mare”.

Ma qualcun altro racconta che, il giorno prima della sua morte, Angelina, lamentandosi dei maltrattamenti del marito, e consigliata per questo di rivolgersi ai Carabinieri, aveva detto che non osava denunziarlo perché era sicura che l’avrebbe, in tal caso, uccisa, essendosi accorta della mala intenzione di lui. Qualcun altro ancora racconta che il marito, che non era in casa, ha appreso la notizia dell’appiccamento senza alcun atto di sorpresa, ma che poi piangeva come un bambino. Secondo tutti i testimoni un’altra prova che Angelina era ormai arrivata al punto di non ritorno consiste nel fatto che, nella seconda quindicina di maggio, Luigi aveva condotto l’amante nella casa coniugale, facendola dormire con lui e Angelina nello stesso letto, e poi l’aveva riportata di nuovo, il 3 giugno, in compagnia di Nicola Petrungaro, onde ne era successa questione tra la moglie e l’amante e Angelina, temendo di essere bastonata dal marito, si era rifugiata in casa della vicina Rosaria.

Dovrebbe essere un campanello d’allarme, ma tutti continuano a sostenere che si è suicidata e magari è il caso di approfondire per capire se c’è stata istigazione al suicidio.

Quando il Maresciallo Lizio interroga la vicina Rosaria ed altri due testimoni, la brutta faccenda potrebbe prendere una piega diversa perché tutti e tre sostengono che Angelina non si è suicidata, ma che è stata ammazzata dal marito col concorso di Rosina e forse di altri. No. I due figli grandicelli insistono: la mamma era addolorata per il fatto che il padre, adirato che lei gli voleva impedire di andare a trovare Rosina Mannarino, aveva minacciato di vendere la casa lasciandola sul lastrico. Poi i due bambini si contraddicono: Gemma dice che la mamma uscì di casa verso le undici di sera del 10 giugno e non tornò più, Ninnuzzu dice che la mamma non uscì di casa. Qui gatta ci cova.

Lizio interroga anche Rosina Mannarino:

Dal 17 aprile 1944 ero la concubina di Luigi Perri, al quale mi detti perché mi aveva detto che era scapolo e mi avrebbe sposata

– È vero che avete dormito nello stesso letto con lui e la moglie, con la quale avete litigato?

Si, e ci sono tornata il 3 giugno, ma non è vero che abbiamo litigato.

E poi anche il vedovo:

– Si, l’ho fatta dormire con me e mia moglie e poi il 3 giugno Rosina e Angelina hanno litigato – ahi! Brutta contraddizione.

– Il 3 giugno vostra moglie se ne andò in casa della vicina perché temeva la vostra bastonatura per la lite con Rosina… sappiamo che la maltrattavate e con lei anche i vostri figli…

– Non li ho mai maltrattati e non è vero che Angelina si rifugiò in casa della vicina!

Sospetti, voci, ma niente di concreto. Angelina si è suicidata. Poi il 14 giugno in caserma si presenta, inaspettato e da solo, Ninnuzzu:

Mamma è stata ammazzata da papà, da Rosina Mannarino, dai genitori di costei, dalla nonna, nonché da Nicola Petrungaro! – il Maresciallo è incredulo, vuole spiegazioni.

– Come fai a dirlo? E perché quando ti ho interrogato non me lo hai detto subito?

– Perché, quando mi avete interrogato e mio padre era chiuso in camera di sicurezza, mi avete detto che lo avreste rilasciato subito e io ho avuto paura, ma adesso devo dirvi tutto! – e il racconto del bambino è veramente drammatico – Quella notte papà, verso le due, bussò alla porta e mamma si alzò e in camicia andò ad aprirgli; papà entrò e mentre mamma stava per accendere un fiammifero, le mise una mano alla gola; subito dopo entrò Rosina, la quale le mise la mano destra alla bocca e con la sinistra l’abbracciò. Poi, dopo che la adagiarono a terra entrò Petrungaro e papà afferrò mamma per i piedi e Rosina per le ascelle; la portarono fuori di casa, dove Rosina le mise la camicetta e la sottana; papà rientrò e, presa una corda da un armadio, uscì di nuovo

– Era notte, come hai fatto a vedere tutto questo?

La luna illuminava la stanza

– E loro non hanno capito che assistevi alla scena?

Avevo paura di essere ucciso quale testimone incomodo e ho fatto finta di dormireho raccontato tutto a Rosaria, ad Angelo Saporito, a Rosa Aloe e a mia zia Rosaria Perri, che mi ha mandato da voi per dire tutto – poi, piangendo, aggiunge – papà, alla presenza del cadavere di mamma, ha finto profondo dolore

Un bambino coraggioso, un eroe! Ma c’è bisogno di riscontri e intanto arrivano le conferme da parte delle persone citate da Ninnuzzu. A questo punto il Maresciallo interroga di nuovo Rosina Mannarino:

Luigi aveva progettato di uccidere la moglie e all’uopo aveva preso accordi in San Lucido con Petrungaro il quale mi aveva prima sedotto e poi invogliata a divenire l’amante di Luigi e aveva interesse che costui mi sposasse. Luigi, la sera del dieci giugno, verso le undici, mi lasciò a Paola in una camera datagli in fitto dal ferroviere Leopoldo Solone e uscì per andare ad uccidere la moglie. Tornato verso le cinque, mi disse di averla uccisa ed appiccata ad una pianta di olivo

– Quindi tu non c’entri? – le chiede bruscamente, passando dal voi al tu. Rosina ci pensa un po’, poi dice:

Ho concorso anch’io, sebbene non volessi, per le minacce fattemi da Luigi… Petrungaro si unì a noi due nei pressi della casa di Luigi Malito, dove ci attendeva… Luigi entrò in casa seguito da me dopo che la moglie aveva aperto la porta… l’afferrò per la gola ingiungendomi di metterle una mano sulla bocca e la moglie non poté gridare. Poi, morta o svenuta, dopo cinque minuti l’abbiamo sollevata di peso e portata fuori dalla casa… le abbiamo messo la camicetta e la sottana e Luigi con Petrungaro la legarono per il collo con una fune presa da Luigi e l’appiccarono all’albero di olivo. Luigi aveva anche una rivoltella

– E il tuo patrigno, tua madre e tua nonna che hanno fatto?

– Loro non c’entrano, non c’entrano.

Il 16 giugno Rosina viene interrogata di nuovo e cambia versione:

C’erano anche mia madre, Carmela Chilelli, e mia nonna, Domenica Naccarato, che per accordi presi con Petrungaro avevano atteso costui, Luigi e me stessa nascoste in mezzo alle piante di patate vicino alla casa del delitto

Il giorno dopo, in un altro interrogatorio, confessa al Maresciallo Lizio:

C’era pure mio padre, Gaetano Mannarino, che si era posto in vedetta per osservare se fosse giunto alcuno nel momento in cui il cadavere di Angelina veniva appiccato

– Hai altro da aggiungere? Questo è il momento, forza! – Rosina ormai ha saltato il fosso e racconta:

Il 7 giugno, in casa dei miei genitori, abbiamo preordinato il delitto dopo che Petrungaro aveva proposto l’uccisione di Angelina e dopo che Luigi aveva detto che ciò era necessario per potermi sposare. Così fu stabilito tra noi che il delitto doveva essere consumato nella notte dal dieci all’undici giugno e, all’uopo, Petrungaro si sarebbe fatto trovare da me e da Luigi, che provenivamo da Paola, nei pressi della casa di Luigi Malito, per proseguire verso la casa dov’era Angelina. Mio padre, mia madre e mia nonna ci avrebbero attesi vicino alla casa di Angelina, nascosti tra le patate e poi Petrungaro pretese da Luigi, come mi disse, ventimila lire per partecipare al misfatto

Dopo averla chiusa in camera di sicurezza, i Carabinieri vanno a prendere Luigi Perri e lo interrogano alla presenza di due testimoni al di sopra di ogni sospetto: il farmacista dottor Ortensio Morelli ed il commerciante Vincenzo Veltri. Il risultato è che conferma parola per parola la confessione dell’amante, esclusa la circostanza che Petrungaro avesse partecipato all’omicidio per motivi di lucro e precisa:

Petrungaro fu spinto al delitto dal desiderio di trovare un marito a Rosina, che aveva disonorato, non potendola egli sposare perché ammogliato

Incredibile! Ma gli inquirenti non credono a questo strampalato movente perché raccolgono numerose testimonianze che raccontano le mutate condizioni economiche di Luigi Perri, che esercitava anche il mercato nero, e, per la qual cosa, è verosimile che abbia dato la somma di lire ventimila a Petrungaro, o parte di essa, affinché partecipasse al delitto. Le porte del carcere si aprono anche per Petrungaro e per gli altri tre indiziati, che si proclamano innocenti, nonostante l’accusa esplicita di Ninnuzzu, di Rosina e di Luigi Perri, confermata anche nei numerosi confronti incrociati a cui vengono sottoposti.

All’ultima ora, Rosina Mannarino, chiede di essere interrogata di nuovo e cerca di escludere dal delitto i genitori e la nonna, dimenticando, però, che nei confronti davanti al Pretore tra lei, la madre e la nonna le aveva esplicitamente indicate, insieme al padre, come correi.

D’accordo, c’è la testimonianza diretta e credibile di Ninnuzzo perché confermata dalle confessioni del padre e di Rosina Mannarino, ci sono le testimonianze a favore di Petrungaro, di Gaetano Mannarino, di sua moglie Carmela Chilelli e di sua suocera Domenica Naccarato, ritenute di comodo o inattendibili dai Magistrati, ma non si può rischiare di mandare quattro persone all’ergastolo senza la prova provata che Angelina è stata uccisa. La prova dovrà darla, eventualmente, la perizia autoptica. E la perizia dice: la causa della morte di Angelina Aloe è stata indubbiamente l’asfissia meccanica e questa, nella infelice donna, agì o per soffocazione diretta, fatta con oggetti morbidi o depressivi che non lasciarono traccia dell’atto violento, e successiva sospensione del cadavere, o per appiccamento, tenuto presente che al collo di lei si notavano due solchi, prodotti dalla fune, di cui uno incompleto obliquato verso l’alto, al di sotto della mandibola, mentre nello strangolamento il solco è quasi sempre unico, trasversale, completo. Non è escluso che l’Aloe fosse stata prima soffocata e subito dopo appiccata, se sorpresa nel sonno o resa impotente con l’intervento di altre persone.

Tutto sommato un giudizio incerto, ma che, comunque, sembrerebbe escludere l’ipotesi del suicidio.

L’incertezza dovrà risolverla la Corte d’Assise di Cosenza, al cui giudizio tutti gli indiziati vengono rinviati. La causa si discute tredici mesi dopo i fatti, il 9 luglio 1945 e la Corte, letti gli atti, ascoltati i testimoni e le parti, osserva: la Corte giudicante è fermamente convinta che Angelina Aloe è stata soffocata e subito dopo appiccata, riflettendo alle circostanze irrefragabili che, sentito picchiare l’uscio, l’Aloe si levò di soprassalto, assonnata, e mentre il marito le premeva la gola con una mano, la druda di lui le otturò direttamente le vie aeree per mezzo delle dita della mano destra applicate con forza alle narici e alla bocca, serrandole il petto con il braccio sinistro, per la qual cosa fu ridotta in breve in condizioni tali che i due adulteri la poterono trasportare di peso fuori dall’abitazione, provvedere alla vestizione sommaria e all’appiccamento di lei in concorso degli altri imputati. La Corte ritiene, dunque, che Angelina Aloe non fu strangolata, nel qual caso, come dissero i periti settori, si sarebbe riscontrato al collo di lei un unico solco, trasversale, completo e non due, di cui uno obliquato verso l’alto, al di sotto della mascella. E afferma ciò nonostante ammetta che alcuni compendi di medicina legale riportino che nei casi ordinari di appiccamento il solco è unico ed obliquo, la corda va obliquamente dalla parte anteriore del collo alle laterali, ricongiungendosi indietro verso l’occipite.

Quindi la responsabilità di tutti è riconosciuta dalla Corte, che continua: gli imputati, in numero di sei concorsero nell’uccisione di Angelina Aloe e, pertanto, sussiste l’aggravante del numero di cinque o più persone, per la quale è previsto un aumento di pena fino alla metà. Né può mettersi in dubbio l’altra aggravante della premeditazione, considerando che il proposito criminoso fu formato dal Perri e dal Petrungaro verso la fine del mese di maggio 1944 e da tutti gli imputati il 7 giugno successivo e che essi vi persistettero fino all’attuazione, senza che la riflessione nel frattempo avvenuta sia valsa a farli recedere dal proposito criminoso, dimostrando la loro maggiore perversità e pericolosità. La Corte, poi, riconosce la sussistenza dell’aggravante dei motivi abietti solo nei riguardi di Luigi Perri e Nicola Petrungaro.

Può bastare. Tutto ciò premesso in punto di fatto e di diritto, la Corte stima giusto infliggere al Perri ed al Petrungaro la pena dell’ergastolo, con l’isolamento diurno per anni uno ciascuno ed al Perri, inoltre, anni 3 di reclusione per il delitto di maltrattamenti continuati in famiglia, mesi 3 di arresto per la detenzione abusiva di rivoltella, mesi 4 per il porto abusivo e mesi 3 per omessa consegna dell’arma, pene che restano assorbite nella pena dell’ergastolo. Per entrambi le spese, i danni e le pene accessorie, nonché la perdita della patria potestà, dell’autorità maritale e della capacità di testare. La Corte ordina che la sentenza contro Perri e Petrungaro venga pubblicata mediante affissione nei comuni di Cosenza, di Fiumefreddo Bruzio e di Falconara Albanese e, per una sola volta, nel giornale “Corriere del Sud”.

Inoltre, la Corte condanna Rosina Mannarino ad anni 18 di reclusione (in considerazione del fatto che fu spinta al delitto dal sentimento della maternità perché, essendo rimasta incinta del Perri, agognava che il nascituro non mancasse nella vita della guida e della tutela del padre suo al che, naturalmente, si sarebbe opposta l’Aloe) , Gaetano Mannarino ad anni 16 di reclusione, Domenica Naccarato e Carmela Chilelli ad anni 13 e mesi 4 di reclusione (che agirono secondo la propria mentalità di contadini, sotto l’impulso di apprezzabile sentimento, ossia quello di evitare che la rispettiva figlia e nipote si desse a vita libertina, se non sopprimendo l’Aloe), oltre alle spese, ai danni e alle pene accessorie.

La Corte di Cassazione, il 28 gennaio 1949, dichiara inammissibili i ricorsi del Pubblico Ministero, di Rosina Mannarino, Gaetano Mannarino, Domenica Naccarato e Carmela Chilelli. Annulla senza rinvio la sentenza nella parte riguardante i maltrattamenti e le contravvenzioni ascritte a Luigi Perri. Rigetta nel resto il ricorso di Perri ed in pieno quello di Petrungaro.

La Corte d’Appello di Catanzaro, il 10 maggio 1950, dichiara condonati a Rosina Mannarino e Gaetano Mannarino anni 3 della pena.

La Corte d’Appello di Catanzaro, il 16 giugno 1950, dichiara condonati a Carmela Chilelli anni 3 della pena.

La Corte d’Appello di Catanzaro, l’11 gennaio 1951, dichiara condonati a Domenica Naccarato anni 3 della pena.

La Corte d’Appello di Catanzaro, il 25 febbraio 1954, dichiara condonati a Gaetano Mannarino anni 3 della pena.

La Corte d’Appello di Catanzaro, il 24 marzo 1954, dichiara condonati a Rosina Mannarino anni 3 della pena.

La Corte d’Appello di Catanzaro, il 23 aprile 1954, dichiara condonata per il D.P. 19 dicembre 1953 N° 922, la residuale pena di mesi 9 e giorni 25 per Carmela Chilelli e di mesi 9 e giorni 24 per Domenica Naccarato.

Per Decreto Presidenziale del 13 aprile 1968 è stata concessa a Nicola Petrungaro la commutazione condizionale della pene dell’ergastolo, nella reclusione finora espiata.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.