È l’imbrunire del 6 ottobre 1901 e l’avemaria è appena suonata quando il trentenne Salvatore Feraca, il quarantottenne Luigi Venneri e suo figlio Battista, 18 anni, stanno rientrando alticci a Pedace, dopo aver partecipato ad una festa religiosa a Pietrafitta. Giunti in Via Baracche incrociano il diciannovenne calzolaio Pietro Martire, che al loro passaggio si ferma, poi si gira e li segue.
La trentacinquenne Antonietta Mancuso è in mezzo alla strada e sente Luigi Venneri, suo figlio Battista e Salvatore Feraca che pronunciano alcune parole con modi aspri; dopo pochi istanti sente diverse detonazioni e vede Pietro Martire allontanarsi dal paese.
In questi stessi istanti la sessantenne Maria Curcio si affaccia alla finestra di casa sua e guarda distrattamente la strada deserta, quando vede arrivare verso di lei, barcollando, il giovane Battista Venneri il quale, arrivato sulla soglia della porta, cade in ginocchio e poi stramazza a terra mezzo dentro e mezzo fuori dalla casa.
– Cummare Marì, signu mùartu… – esclama, poi resta immobile.
Maria si precipita a soccorrerlo, il cuore batte ancora, ma si accorge che ormai è prossimo alla fine e va a chiamare la madre del giovane perché non vuole che gli muoia in casa.
Mentre Maria Curcio era affacciata alla finestra e ha sentito le detonazioni, Felice Piraine sta cenando in casa sua e un cucchiaio di minestra gli va di traverso quando sente le detonazioni. Si affaccia sulla porta e vede Salvatore Feraca che sta borbottando parole indistinte, mentre viene trascinato in casa dal padre e dalla moglie Concetta Morrone. In questo momento sente Maria Curcio chiamare al soccorso:
– Correte gente che in casa mia c’è Battista ferito e sta morendo!
Felice Piraino corre sul posto, ma Battista è stato già portato via. Però a terra, sulla soglia della casa, c’è una rivoltella. Felice la raccoglie per consegnarla ai Carabinieri quando arriveranno.
Diverse detonazioni. Gaetano Mancuso, più esperto degli altri, ha sentito prima una detonazione e subito dopo altre quattro o cinque.
Il problema, per i Carabinieri, arrivati dopo pochi minuti sul posto, sarà stabilire se oltre a Pietro Martire, circostanza ormai certa, qualcun altro ha sparato e perché.
Intanto sembra di capire che la questione era tra i giovanotti Pietro Martire e Battista Venneri, ma è inutile pensare di interrogare Battista perché appena lo hanno adagiato sul suo letto purtroppo è morto. E per il momento è inutile pensare di interrogare l’altro perché è sparito dalla circolazione e non si sa se sia vivo e vegeto, ferito o morto a sua volta.
Però possono essere interrogati Luigi Venneri, il padre della vittima, e Salvatore Feraca.
– Tornavamo da Pietrafitta io, mio figlio Battista e Salvatore Feraca e quando arrivammo vicino al paese incontrammo Pietro Martire, il quale ci domandò donde venivamo. Io gli dissi che ritornavamo da Pietrafitta e gli domandai dove lui andasse. Rispose in modo di scherno “e camminiamo!”. Non feci caso a quel contegno e continuammo la strada mentre Martire ci seguì per un pezzo. Arrivati in paese prendemmo il vicolo che mena a casa mia e Martire andò a girare per la strada sottostante dove tiene la bottega. Camminando noi pel vicolo, Feraca inciampò e cadde ed io, nel vederlo caduto gli dissi che la casa era vicina. Contemporaneamente mio figlio chiamò la moglie di Feraca per andare a prendere il marito, ma poi mio figlio pensò bene di sollevarlo e gli si piegò sopra. Fu precisamente in questo momento che dalla via sottostante vidi uscire Pietro Martire. Presentendo qualche guaio mi avvicinai ma Martire impugnò la rivoltella ed incominciò ad esploderla ripetutamente alle spalle di mio figlio, continuando a tirare colpi mentre si allontanava. Debbo supporre che avesse due rivoltelle perché i colpi furono parecchi. Mio figlio, boccheggiante, andò a cadere in casa di Maria Curcio, dove cessò di vivere. Io cercai di inseguire l’uccisore ma dovetti rinunziarvi perché questi, fuggendo, continuava a sparare. Ritornato indietro, trovai mio figlio in casa della Curcio e fu trasportato dopo in casa mia, ma morto.
– C’erano dei rancori tra vostro figlio e Martire? Perché gli ha sparato?
– Non so dire quale fu la causa che spinse Martire ad uccidere mio figlio…
– Qualcuno sussurra che vostro figlio faceva all’amore con la sorella di Martire…
– Non so se mio figlio faceva all’amore con la sorella di Martire…
– Vostro figlio era armato di rivoltella?
– Mio figlio era inerme, tanto vero che io trovai nella mia cassa la rivoltella… ho inteso dire che venne fuori trovata una rivoltella che venne consegnata ai Carabinieri, ma non poteva appartenere a mio figlio.
Il Pretore di Spezzano Sila avrebbe potuto chiedergli conto del numero esagerato di colpi che dice essere stati esplosi da Martire e per quale motivo ebbe la sensazione che qualcosa di brutto stesse per accadere, ma forse sono contestazioni che si riserva di fare in seguito. Vedremo.
– Domenica sera ritornavamo da Pietrafitta dove eravamo andati per la festa io, Venneri Battista ed il padre di costui – racconta Salvatore Feraca –. Quando arrivammo in paese ci venne incontro Pietro Martire, ma poi si allontanò; in quella circostanza Battista disse delle parole, io non le intesi bene siccome ero molto ubriaco. Entrati in paese io caddi per l’ubbriachezza e fu allora che intesi dei colpi di rivoltella che vennero esplosi da Martire, che era in basso per un altro vicolo. Dopo venni condotto a casa da mia moglie, la quale mi disse che io ero salvo. Mi coricai e presi sonno, ma la mattina seppi da mia moglie e da mio padre che era stato ucciso Battista ad opera di Martire, anzi mio padre aggiunse che era accorso ai primi colpi ed aveva visto Martire con la rivoltella in mano. Da parte mia, siccome ero ubbriaco la sera del fatto, non ricordo bene di avere visto Martire esplodere l’arma perché, come dissi, ero caduto ma son sicuro che i colpi vennero da lui esplosi.
– Secondo voi perché lo ha ucciso?
– Non saprei precisare il motivo che spinse Martire ad uccidere Battista Venneri, anzi pareva che si volessero bene, tanto più che Battista amoreggiava con una sorella del suo uccisore.
Esaminata la rivoltella calibro 9 a cinque colpi, contenente cinque bossoli esplosi, che Piraine gli ha consegnato, il Brigadiere Giuseppe De Filippo si convince che ci fu una scarica reciproca di colpi e ricostruisce quella che potrebbe essere stata la dinamica dei fatti: Martire sparò per primo e Battista Venneri, dopo aver fatto fuoco anch’egli e mentre si rifugiava in casa di Maria Curcio, già colpito, perdute le forze, gli cascò di mano l’arma che restò sulla soglia e venne poi raccolta e sequestrata. Ma questa ricostruzione è in contraddizione con quella fatta dal padre della vittima che sostiene la tesi di numerosi colpi sparati alle spalle del figlio e a bruciapelo. Quale sarà quella giusta? Quella logica del Brigadiere o quella diretta del padre? La risposta la fornisce l’autopsia, che riscontra sul corpo di Battista una lesione di forma circolare del diametro di 9 millimetri sulla regione scapolare sinistra penetrante nella cavità toracica ed una lesione con le stesse caratteristiche sul margine anteriore del deltoide di destra che, sfiorando l’omero, penetrava attraverso il cavo ascellare nella cavità toracica. Entrambi i colpi, secondo il perito, furono esplosi a breve distanza, due o massimo tre metri. L’imponente emorragia determinata da entrambi i proiettili causò la morte quasi istantanea.
I dubbi sulle due ricostruzioni del fatto restano, anche se è chiaro che non furono esplosi, come sostenuto da Luigi Venneri, numerosi colpi alle spalle del figlio. Sarebbero però potuti andare a vuoto, ma nelle vicinanze non sono stati rinvenuti proiettili.
A questo punto sorge il dubbio se la rivoltella consegnata da Felice Piraino ai Carabinieri sia stata davvero rinvenuta sulla soglia di Maria Curcio o ce l’abbia messa lui per depistare le indagini ed il Pretore ordina al Brigadiere De Filippo di indagare in tal senso. Il 14 dicembre 1901 gli arriva il risultato delle indagini:
Piraino Felice risulta essere pregiudicato perché condannato a mesi 5 di reclusione per lesioni. Egli è cognato a Martire Samuele perché sposarono due sorelle e s’intende facilmente che potrebbe aiutare il suo nipote Martire Pietro, imputato d’omicidio. Assicurasi che anche il defunto Venneri Battista era munito di una rivoltella, ma di calibro più minore e ignorasi se quella sera la tenesse addosso. Il fatto stà che il sottoscritto, quella sera, trovandosi di servizio nel Comune di Serrapedace assieme a due dipendenti perché vi era una festa religiosa, sentimmo anche noi uno sparatorio di colpi di rivoltella e quindi non si può accertare se furono sparati tutti dal Martire o da qualche altro.
Niente di preciso e così non se ne esce. Non se ne esce anche perché nessun testimone ascoltato va oltre la dichiarazione generica di “parecchi colpi”. Antonietta Mancuso, che ha assistito alla scena, precisa:
– Mentre ritornavo a casa mia vidi Luigi Venneri, il figlio Battista e Salvatore Feraca che andavano pure verso le loro case, anzi Battista teneva per un braccio Feraca, accompagnandolo. Fu in questo punto che vidi salire dall’altro vicolo, che imbocca in quello dove si trovavano i tre, il giovane Pietro Martire il quale, avvicinatosi dietro Battista Venneri, gli esplose contro due colpi di rivoltella. Io, allora, impaurita, mi rinchiusi in casa di Francesco Barca. Dopo uscii e vidi trasportare Battista verso la sua casa…
Anche Gaetano Mancuso era presente e conferma di aver visto Martire esplodere alle spalle di Battista Venneri prima un colpo e dopo aver fatto tre o quattro passi a ritroso, altri quattro colpi, dandosi quindi alla fuga. Poi aggiunge:
– Non vi fu diverbio e l’omicidio venne consumato a tradimento.
Ma adesso è arrivato il momento di ascoltare cosa ha da dire Felice Piraino, sospettato di aver cercato di depistare le indagini:
– Mentre cenavo in casa mia intesi due colpi di arma da fuoco e uscii. Trovai sulla via, precisamente vicino alla porta di casa mia che è attigua a quella di Salvatore Feraca, costui col padre e con la moglie. Il padre mi disse di aiutarlo a portare il figlio in casa e lo aiutai. Dopo di ciò intesi Maria Curcio che gridava “correte, correte che in casa vi è un ferito!” e prima di sentire quella voce intesi altri due o tre colpi di arma da fuoco. Dopo avere depositato in casa Salvatore Feraca accorsi dalla Curcio ed innanzi la porta trovai una rivoltella che posi in saccoccia portandola con me appunto perché in quel momento veniva Battista Venneri trasportato dalla casa della Curcio in casa sua. Io non mostrai ad alcuno la rivoltella e la sera seguente la consegnai ai Carabinieri che me la chiesero e poi mi portarono in caserma dove feci la dichiarazione.
– A chi apparteneva la rivoltella?
– Non lo so.
– Avete detto di non aver fatto vedere a nessuno la rivoltella, allora come è possibile che i Carabinieri ve la chiesero?
– Credo che qualcuno dovette vedermi, altrimenti i Carabinieri non me l’avrebbero chiesta.
Anche se la ricostruzione è un po’ confusionaria e contraddittoria, tra l’altro smentita dal padre e dalla moglie di Salvatore Feraca, al momento nei suoi confronti non ci sono elementi tali da giustificare un qualsiasi provvedimento.
Poi viene chiamato a deporre il maestro elementare del paese, Giuseppe Guglielmelli il quale, pur affermando di non sapere niente di come andarono le cose perché la domenica del fatto era fuori da Pedace, dice di avere ascoltato alcune discussioni in piazza e ne riporta il contenuto:
– Seppi dalla voce pubblica che il Martire aveva, prima della disgrazia, incontrato Battista Venneri e Salvatore Feraca che ritornavano da Pietrafitta ed il primo aveva detto “caro compare”; a questo Feraca avrebbe risposto “lascialo stare questo figlio di puttana!” e Martire si offese di ciò. Dopo, quest’ultimo svoltò un vicolo del paese ed andò ad appostare tanto Battista Venneri quanto Salvatore Feraca, esplodendo contro di loro parecchi colpi di rivoltella. Sono a conoscenza, poi, che Battista Venneri amoreggiava con una sorella di Martire e credo che per questo vi era fra di loro qualche ruggine, appunto perché si diceva che il matrimonio non piaceva a Pietro Martire.
Potrebbe anche essere andata così, ma con i “si dice” non si va mai molto lontano.
Quella di Giulia Leonetti, una bambina di dieci anni, potrebbe essere la testimonianza decisiva per stabilire come si svolsero i fatti:
– Mi trovavo innanzi la mia casa e vidi Pietro Martire che con una rivoltella in mano si avvicinò dove era Battista Venneri in compagnia del padre e di Salvatore Feraca. Intesi allora che Battista, rivolto a Martire, disse “fermo, non sparare!”, ma Martire, fatti pochi passi indietro, incominciò ad esplodere l’arma, ed io impaurita mi chiusi dentro casa.
– Oltre a quella frase, hai sentito se ci fu uno scambio di parole tra i due?
– Non vi fu alcun diverbio.
– Hai visto l’arma che Martire aveva in mano?
– Quando vidi Martire che si avvicinò a Venneri, ebbi occasione di osservare la rivoltella che teneva in mano e portava nascosta dietro la schiena ed era col manico nero, ma non sarei in grado di riconoscerla.
Una rivoltella col manico nero come quella ritrovata davanti la porta di Maria Curcio, ma è impossibile che si tratti della stessa arma perché la settantenne Maria Leonetti giura di aver visto Martire fuggire con la rivoltella in mano.
Per la Procura ci sono elementi sufficienti per chiedere ed ottenere, il 22 febbraio 1902, il rinvio a giudizio di Pietro Martire, sempre latitante, che dovrà rispondere in contumacia di omicidio premeditato.
La discussione della causa col rito contumaciale si tiene il 20 marzo 1902 e al Collegio Giudicante basta una sola udienza per escludere la premeditazione ed emettere la sentenza:
Poiché dai testimoni uditi risulta che autore del delitto fu Martire Pietro.
Poiché la volontà omicida risulta evidente per la causale consistente in un alterco avvenuto poco prima, per la ripetizione dei colpi, per i punti vitali presi di mira e per l’idoneità del mezzo adoperato.
Poiché, in conseguenza, l’accusato deve rispondere di omicidio volontario, che la legge punisce colla pena della reclusione da 18 a 21 anni, la Corte stima partire dal massimo.
Poiché all’epoca del reato Pietro Martire aveva compiuto gli anni 18 di età e non gli anni 21, gli spetta il beneficio della diminuzione di un sesto della pena, che viene così ridotta ad anni 17 e mesi 6, oltre alle spese, ai danni e alle pene accessorie.[1]
Non ci sono, negli atti del processo, documenti che attestino la cattura del latitante e il rifacimento del processo col rito ordinario, né documenti che attestino l’estinzione dell’azione penale per sopravvenuta prescrizione.
[1] ASCS, Processi Penali.