INCINTA PER OPERA SUA

La mattina del 26 novembre 1895 nella calzoleria di Vincenzo Felicetti a Parenti c’è più gente del solito e sia il maestro che i suoi apprendisti sono tutti impegnati. Poi entra una donna che tiene per mano una bambina, si avvicina a Felicetti e gli dice:

– Buongiorno, devo fare un paio di scarpe a mia figlia, devo aspettare molto?

– No, faccio prendere subito la misura… Cenzì, lascia tutto e prendi la misura delle scarpe a questa bella signorina! – termina sorridendo alla bambina, che abbassa gli occhi arrossendo, ma con le labbra che accennano a un sorriso di compiacimento, lo stesso della madre.

Cenzino, Vincenzo Minnelli, ventunenne di Policastro, ubbidendo all’ordine del principale lascia ciò che sta facendo, prende l’occorrente, si avvicina alla bambina, si inginocchia, le toglie una scarpa e comincia a prendere la misura. In questo momento nella calzoleria entra la ventiduenne Emilia Ponterio che saluta e si avvicina al bancone dove c’è il proprietario:

– Ne avete cotone? – gli chiede.

– Si, quanto te ne serve? – risponde abbassandosi sotto il bancone.

Emilia non gli risponde, si gira e va verso la porta d’ingresso, vicino alla quale Cenzino sta prendendo la misura dei piedi alla bambina, estrae dalla tasca del grembiule un trincetto da calzolaio e senza dire una parola lo pianta nelle spalle di Cenzino il quale, dopo un attimo di smarrimento, ed un grido di dolore, con la lama ancora infissa nelle carni si gira e salta addosso ad Emilia, cominciando una furibonda lotta. I presenti, dopo essere rimasti anche loro a bocca aperta per qualche secondo, si lanciano addosso ai due, mentre mastro Vincenzo corre fuori dalla bottega per andare a chiamare i Carabinieri, urlando:

Corri Filomena che Minnelli uccide tua sorella!

Intanto, dopo molti tentativi, i pacieri sono riusciti a dividere i due ed Emilia, approfittando della confusione, scappa con le mani sul viso, lacerato dalle unghiate di Cenzino. È proprio in questo momento che arriva Filomena, la sorella maggiore di Emilia, che la vede tutta piena di sangue mentre viene inseguita da Minnelli con una forbice in mano ed il trincetto sempre infisso nelle carni. Nella convinzione che Emilia sia in grave pericolo, prende da terra una pietra e la tira contro Cenzino senza colpirlo, centrando però il vetro della porta della calzoleria che va in frantumi, poi scappa anche lei, andando dietro alla sorella entrata in un vicolo, mentre i Carabinieri arrivano correndo dalla strada principale.

Cenzino è seduto su di uno sgabello e alle sue spalle c’è Francesco Sirianni che, con una mossa rapida e decisa, gli estrae in trincetto dalle spalle e, ancora gocciolante di sangue, lo consegna al Brigadiere Antonio Scali, comandante la caserma di Parenti. Il ferito viene subito portato dal medico, che lo visita e gli riscontra nella parte più interna della regione scapolare sinistra, a circa dieci centimetri dalla colonna vertebrale, una ferita da arma da punta e taglio profonda da penetrare nella cavità toracica. Dai fenomeni polmonari e dall’avere l’infermo espettorato del sangue rosso, si ha la certezza che è interessato il tessuto intorno ai bronchi; nel cavo pleurico di sinistra si suppone un versamento sanguigno. La prognosi è di oltre venti giorni, ma la lesione è, per sua natura, pericolosa di vita e quindi bisogna stare molto attenti al suo decorso.

Che Emilia abbia colpito Cenzino è certo, ci sono i testimoni, ma il Brigadiere Scali è convinto che sua sorella Filomena l’abbia aiutata, se non istigata, e così, dopo un paio di ore, entrambe finiscono in camera di sicurezza in attesa di essere interrogate.

Ma perché Emilia ha colpito Cenzino? L’apprendista calzolaio dà la sua versione:

La Ponterio si decise ad offendermi perché, trovandosi incinta, riteneva ingiustamente che fossi stato io che l’avevo ingravidata e di ciò si lamentava non solo col pubblico, ma anche con la giustizia, avendo contro di me sporto querela, che aveva dato luogo ad un processo, nel quale resi l’interrogatorio pochi giorni or sono. Ritengo che la Ponterio venne determinata nella bottega coll’intenzione di uccidermi, avendo espresso antecedentemente più volte un tale divisamento, in seguito al mio reciso rifiuto di sposarla. Non posso negare che per qualche tempo ebbi delle relazioni amorose con la Ponterio, ma da circa un anno avevo rotto tali relazioni, essendo promesso sposo ad altra giovane, mentre la Ponterio non cessò mai di seguirmi, venendo spesso nella bottega.

– E riguardo alla sorella Filomena?

Io non vidi davanti la bottega Filomena Ponterio, ma posso assicurare che la stessa fu complice nel fatto, anzi mi è stato riferito che Filomena chiamò in casa il fratello Giulio facendogli portare un coltello da calzolaio che prese dalla bottega del suo maestro, nella persuasione che dovesse servire per tagliare un paio di mezze suole, giusto come gli disse la sorella.

Per Emilia le cose non stanno così e, interrogata, racconta:

Trovandomi incinta per opera di Vincenzo Minnelli, il quale con lusinghe di matrimonio riuscì a sedurmi, adoperai ogni mezzo per indurlo a sposarmi, ma vedendolo sempre ostinato e sapendo per di più che egli aveva chiesto la mano di altra giovine, mi determinai a sporgere querela contro di lui. Durante l’istruzione del processo io non cessai, per mezzo di terze persone, di pregarlo che si determinasse a sposarmi, ma egli a qualcheduno negò di avere avuto relazioni con me ed a qualche altro rispose che io lo avevo provocato e che del resto avevo avuto anche relazioni con altri. Furono queste risposte che maggiormente m’irritarono. La sera del 25 Vincenzo Felicetti, maestro del Minnelli, venne a dirmi in casa che inutili erano state le sue premure e che Cenzino negava tutto. La mattina del 26 mia sorella Filomena, ritornata dalla casa di Pasquale Bruni, riferì che lo stesso aveva assicurato di non essere riuscito a persuaderlo e che quindi non c’era più che fare. Io allora, irritata, presi un coltello da calzolaio appartenente a mio padre, ora in America, che è appunto quello che mi mostrate, e mi diressi nella bottega di Felicetti con la ferma intenzione di uccidere Cenzino. Appena entrata lo vidi bassato per terra che prendeva la misura al piede di una bambina e, fattami dietro a lui, estrassi il coltello e tirai un colpo sulle spalle, nel punto che mi si presentava più comodo. Lui, alzatosi mi afferrò dandomi un morso nel braccio sinistro e delle graffiature sul volto. Mia sorella Filomena è totalmente estranea al fatto poiché neanche si accorse che io ero uscita da casa. ella accorse soltanto quando le persone uscite dalla bottega, vedendomi afferrata da Minnelli gridavano “correte che ammazza ad Emilia!”. Quando giunse mia sorella io uscivo dalla bottega e, vedendomi graffiata e sanguinante in volto, scagliò dei sassi che raccolse per terra.

Filomena conferma la versione di Emilia e, tra le altre cose, racconta:

Ritornata in casa trovai Emilia nella stanza inferiore senza dirle nulla e salii alla stanza di sopra ove trovavasi nostra matrigna inferma e le riferii che col Minnelli non vi era più nulla da sperare. Discesa poco dopo non trovai più in casa Emilia, ma non sospettai nulla di sinistro. Dopo qualche istante intesi nella strada qualche voce che gridava “corri Filomena, che Minnelli uccide tua sorella!”. Io allora uscii dirigendomi di corsa verso la bottega di Felicetti e dove da lontano vidi un movimento di persone; quando fui presso la porta, nel vedere mia sorella graffiata nel volto e Minnelli che le stava presso minaccioso con una forbice in mano, credetti di difenderla scagliando una pietra, ignara di ciò che era accaduto

Tutti i presenti alla scena di sangue sono concordi, d’altra parte lo ha ammesso lo stesso Cenzino Minnelli, nell’affermare che Filomena è arrivata solo dopo le grida di Felicetti, se non anche di altre persone, e che ha scagliato la pietra dopo aver visto la sorella insanguinata, credendola in pericolo. E se l’avesse istigata? Non c’è nemmeno un indizio che giustifichi un ulteriore approfondimento ed esce di scena. Resta da chiarire, però, se tra Emilia e Cenzino, che nel frattempo è completamente guarito, ci siano state le relazioni che lei dice esserci state e invece lui nega. Anche in questo caso sono decisive le testimonianze dei compaesani, che possono essere riassunte nella deposizione di Vittorio Iuliano:

Nel pubblico era a tutti noto che la Ponterio era incinta per opera di Minnelli, che fino a poco tempo dietro vidi che entrava spesso in casa di lei. Era anche noto che il Minnelli negli ultimi tempi si rifiutava a sposarla, negando di avere avuto relazioni carnali con la Ponterio.

Ma Emilia ha candidamente confessato di voler uccidere Cenzino e l’accusa non può che essere di tentato omicidio e porto d’arma insidiosa. Il 10 aprile 1896 la Sezione d’Accusa accoglie la richiesta della Procura e la rinvia al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza. Che discuterà il caso nell’udienza del successivo 22 giugno.

La Corte riconosce che Emilia Ponterio ha agito per difendere il proprio onore e la manda assolta. Ma ha portato fuori dal proprio domicilio il trincetto da calzolaio, arma insidiosa, e per questo reato la condanna a mesi 1 di arresti, scomputando la pena dalla carcerazione preventivamente sofferta, cioè 5 mesi e 26 giorni.[1]

[1] ASCS, Processi Penali.