È il 21 settembre 1896 quando l’avvocato Michele Polini, Pretore del Mandamento di Belvedere Marittimo, interroga un giovanotto:
– Allora, declina le tue generalità e poi racconta come sono andate le cose, sei stato tu?
– Mi chiamo Pasquale Linardi, inteso Quintieri, contadino da Bonifati, ho diciannove anni, coniugato con Teresa Toto, senza prole, mai condannato, impossidente, non so scrivere. Si, confesso di avere, ieri sera verso l’Avemaria, ucciso con un colpo di rivoltella Annunziato Toto, zio paterno di mia moglie Teresa. Egli, che era mio vicino di casa, prese ad attaccar briga col patrigno della mia consorte a nome Vincenzo De Brasi, il quale era venuto da campagna a visitarci. Siccome era ubriaco, Toto non voleva che vi entrasse. Io presi le difese di De Brasi e Toto, mal tollerando ciò, mi colmò di villanie dicendomi: “io ti apro il culo e te e a De Brasi”, che era ancora presente. Dipoi entrò nel suo domicilio e munitosi di una mazza voleva con essa percuotermi, ma io fui lesto a togliere dalla mia casa la rivoltella carica a due soli proiettili, che tenevo appesa ad un muro, e gli esplosi contro un colpo alla distanza di quattro metri circa. Offuscato come ero di mente, non ricordo quale direzione diedi al colpo, né vidi in quale parte del colpo lo colpii. Non era mia intenzione di commettere contro di lui sì grave delitto per l’affinità che intercede fra noi e se feci uso della rivoltella fu perché temevo che, se egli mi avesse avuto fra le mani, mi avrebbe dato la peggio perché di fronte a me era un colosso di uomo. Quanto al mio arresto, dichiaro che, appena compiuto il misfatto, venni a presentarmi ai Carabinieri di Belvedere, dove giunsi questa mattina.
Poi Pasquale Linardi viene portato in carcere in attesta che i Carabinieri depositino il verbale con le prime indagini e capirci qualcosa in più, cosa che avviene poco dopo ad opera del Maresciallo Luigi Calabrese e le cose non sembrano essere andate come ha raccontato il giovanotto:
Il De Brasi Vincenzo fu il primo ad attaccar briga col Toto e poscia intervenne il Linardi e novellamente si attaccò briga, quindi il Linardi esplose il colpo fatale. Emerge dalla deposizione di Teresa Toto, di anni 16, contadina da Bonifati, moglie dell’uccisore e figliastra del De Brasi, che appunto il De Brasi nulla fece per evitare il delitto, ma che invece istigò il Linardi a commetterlo. Emerge chiaroveggentemente la complicità del De Brasi dal fatto che, dopo aver consumato il delitto, oltre a favorire la fuga dell’uccisore, prese e nascose la rivoltella; lo si rileva anche che nega recisamente il fatto, mentre la Toto Teresa glielo contesta in presenza. Quindi indica alcuni testimoni presenti al fatto, in grado di confermare questa ricostruzione. Intanto il cinquantacinquenne Vincenzo De Brasi viene rintracciato, fa ritrovare la rivoltella che ha nascosto in campagna, e finisce in manette. Poi viene presentato al Pretore per essere formalmente interrogato.
– Non presi alcuna parte nella quistione sorta tra Pasquale Linardi e Annunziato Toto, originata dal portoncino che Linardi voleva fare per l’accesso in un basso acquistato da Toto, né ricordo alcuna circostanza precisa relativa al fatto perché ero ubriaco, rammentandomi appena di avere misurato con le dita lo spazio che si sarebbe dovuto occupare per la costruzione del portone. Feci ciò quando i due litiganti già si bisticciavano tra loro. Non vidi, però, quando Linardi sparò il colpo di rivoltella perché me ne ero sceso dalla di lui casa, ma ne udii l’esplosione. Poiché Linardi si pose subito in fuga, io ritornai nel suo domicilio e trovata l’arma sopra una finestra me la presi e la nascosi in un mio fondo rustico, dove meno la mia vita, per evitare che Linardi, ritornando, avesse potuto sparare altri colpi.
– Avete detto che eravate ubriaco e non ricordate niente, ma le cose che vi fanno comodo le ricordate benissimo, come mai?
– Ho detto che ero ubriaco perché avevo bevuto a digiuno cinque o sei bicchieri di vino, offertimi da Francesco Quintieri…
– E come mai eravate andato a casa di Linardi?
– Io fui condotto per forza e trascinato per un braccio da lui stesso in casa sua perché voleva farmi mangiare del pane, mentre io mi mostrai restio. Quel giorno ero venuto in paese per ascoltare la messa, essendo festivo, e mi trattenni per comprare un po’ di granone…
Contraddittorio, bisogna ascoltare i testimoni, ma intanto arriva il referto medico del dottor Francesco Barbieri, che descrive il cadavere del trentaduenne Annunziato Toto e ne indica le cause della morte:
È vestito con giacca e panciotto di panno bleu scuro, calzone di velluto rigato color nero sbiadito, calze di cotone bianche a mezza gamba e grosse scarpe da contadino. la testa fasciata da larga benda di tela bianca, tutta macchiata di sangue aggrumito e quasi nero. Sulla regione del temporo – parietale sinistro, posteriormente ci lascia osservare una ferita quasi rotonda, margini pesti e frastagliati. Da tale ferita è uscito un pezzettino di osso misto a grumi sanguigni. Un cinque centimetri più indietro della suddetta ferita, in vicinanza della protuberanza cervicale, notasi un’altra ferita lineare lunga due centimetri con margini netti, detta ferita interessa solo la cute fino al pericranio. Incisa la prima ferita e distaccata la cute fino al pericranio, si vedono grumi di sangue ed estesa ecchimosi, sostanza cerebrale, qualche piccolo osso ed un foro poco meno di due centimetri. Aperta la cavità cranica, ka sostanza cerebrale mostrasi spappolata. La causa della morte è l’offesa cerebrale mediante proiettile, che ha prodotto distruzione di sostanza cerebrale ed emorragia interna.
La prima ad essere ascoltata è Maria Giuseppa Liporace, la vedova, che denuncia:
– Pasquale Linardi qualche mese fa aveva comperato da mio marito un basso sottostante alla nostra abitazione e limitrofo alla sua pel prezzo di trecento lire e sette o otto giorni prima dell’avvenimento aveva manifestato a mio marito l’idea di voler costruire un portoncino a pié della sua scalinata, occupando così una porzione di area che serviva di passaggio ad un altro nostro basso. Il mio consorte gli rispose che non poteva permettere tale occupazione perché gli avrebbe impedito il libero accesso alla sua proprietà ed egli, di contro, insistette a dichiarare che avrebbe attuato il suo progetto. Il giorno venti, giorno della nostra sciagura, venne in casa di Linardi il patrigno della moglie, e fu a mensa con lui; dopo il pranzo uscirono entrambi pel paese. Rincasati, si misero tutti e due a prendere delle misure per la costruzione del portone. Mio marito, che si tratteneva sul ballatoio della scala di casa nostra, nel vedere ciò disse per celia a De Brasi, che faceva quell’operazione con una cinta di cuoio, “Aspetta che venga il funaio per comperarti un romanello (una funicella. Nda) e prendere la misura esatta!”. A queste parole Linardi esclamò: “Avanzi qualcosa da me, Annunziato Toto, che ti hai venduto il culo? Per disperazione dovrai andartene in America!”. Con quelle parole voleva significare che, avendogli mio marito alienato un fondo, non doveva ingerirsi in quello che egli voleva fare. Aggiunse che da qualche tempo egli nutriva rancore verso mio marito e gli fece capire che lo sfidava a vie di fatto con lui, invitandolo ad andare presso il largo della chiesa. Egli aveva già in mano una rivoltella, cavatasi allora di tasca e con quell’arma faceva il coraggioso. Mio marito gli disse che non trovava difficoltà a tenzonarsi con lui corpo a corpo, purché avesse messo da banda la rivoltella. De Brasi, che aveva serbato in quel dibattito il mutismo, fece mossa di andarsene ed allora, mentre io cercavo di tirare in casa mio marito, Linardi gli esplose contro da sopra la sua scalinata un colpo di rivoltella che lo fece cadere bocconi a terra. Non morì lì per lì, ma l’indomani, un paio di ore prima di fare giorno. L’uccisore, appena lo vide colpito mortalmente, desistette dallo sparare altro colpo e, consegnata la rivoltella a De Brasi, se la diede a gambe. De Brasi poi se ne tornò in campagna.
Giuditta Piemontese:
– Come vicina di casa tanto dell’ucciso che dell’uccisore, posso dichiarare che la sera del fatto mi ritiravo dalla chiesa e vidi lungo la scalinata della casa di Linardi il padrigno di sua moglie, Vincenzo De Brasi, il quale si bisticciava con Annunziato Toto, che stava pure in cima della sua scalinata, perché gli aveva detto che se voleva andare in casa di Linardi non doveva insinuarlo a fare liti con lui. De Brasi gli rispose che era padrone di andare da Linardi quando gli pareva e piaceva ed in ciò dire se ne scese abbasso. Il Linardi, che era pure lì fuori, prese le difese di De Brasi dicendo “Scendi abbasso se sei buono a provarti con me!”. Toto rispose “Si, ho l’animo di azzuffarmi con te!” e si disponeva a scendere dalla sua casa, ma i parenti glielo impedirono. In quel mentre io dovetti rientrare in casa perché una mia bambina piangeva, ma intesi un colpo di rivoltella ed uscii di bel nuovo, così vidi Annunziato Toto esanime sul ballatoio della sua scala. Accorsi immediatamente per aiutare i parenti a portarlo in casa, dove entrò anche De Brasi il quale, facendo lo gnorri, chiedeva notizie del fatto. Si vociferò che l’autore del delitto era stato Linardi, che si era messo subito in fuga.
– Cosa volete significare dicendo che De Brasi insinuava Linardi?
– L’insinuazione che De Brasi faceva a Linardi era quella di fargli chiudere con muretto il recinto di un basso acquistato dal Toto ed allora stava prendendo le misure occorrenti per la costruzione dell’opera. Ciò rincrebbe a Toto perché gli veniva ristretto il passaggio alla sua casa.
Antonio Perrone:
– Mentre De Brasi saliva le scale per andare dalla figliastra, faceva dei gesti dicendo che quel piccolo largo esistente tra un basso del Linardi e la sua abitazione era esclusivamente suo e di nessun altro. Mi accorsi che era ubriaco perché proferiva delle parole oscene e bestemmiava. Toto, che era sulle scale della sua casa, si risentì per il linguaggio scandaloso e lo avvertì che, se doveva altre volte accedere a quel vicinato, doveva comportarsi con tutta educazione, altrimenti egli non lo avrebbe tollerato. De Brasi, così redarguito, se ne scese infuriato dicendo replicatamente: “Vai a prenderlo in culo!”. Allora Toto si rivolse a Linardi che era pure fuori e con buone maniere lo pregò di ammonire De Brasi a mostrarsi più corretto nel parlare. Linardi, che fino ad allora non aveva interloquito, si dispiacque e rispose a Toto che il suo parente era padrone di convenire in casa sua a suo piacimento e che a lui non doveva importare ciò. Di qui tutti e due presero a scambiarsi parole ingiuriose e Linardi sfidò Toto, che la accettò, ma corpo a corpo e non con la rivoltella. Io per paura rientrai in casa e sentii un colpo d’arma da fuoco. Riaffacciatomi alla finestra, vidi un affollamento di gente…
Tommaso Scala:
– Intesi la voce di De Brasi che diceva: “Da qua a qua si arma la cordella ed io porto le difese di mio figlio”. A questa rispose un’altra voce, che conobbi essere quella di Toto: “A Marianna tu puoi armare la cordella perché ivi che hai il tuo fondo puoi esercitare il diritto, ma qui hai perduto ogni pretesa”. Dipoi intesi una terza voce, quella di Linardi, che, rivolta a Toto, diceva: “Ti hai venduto il culo ed ora io te lo debbo aprire tanto a te, a tuo suocero ed a tua suocera!”. Poi udii uno sparo ed immediatamente dopo le grida…
Le deposizioni sono un po’ contraddittorie e non sembra che De Brasi avesse istigato Linardi a sparare, come ha verbalizzato il Maresciallo Calabrese, ma forse l’errore sta nella cattiva interpretazione del dialetto, infatti il militare, interrogato, corregge la sua dichiarazione.
Stando così le cose, il 9 febbraio 1897, la Sezione d’Accusa rinvia Pasquale Linardi per omicidio volontario al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza e proscioglie per insufficienza di prove Vincenzo De Brasi dall’accusa di concorso in omicidio.
La causa si discute il 15 marzo 1897 ed il giorno dopo la Corte emette la sentenza:
Pasquale Linardi è responsabile del reato ascrittogli e viene condannato, col concorso di circostanze attenuanti, ad anni 13, mesi 10 e giorni 20 di reclusione, di cui sono condonati mesi 3 per l’Amnistia del 24 ottobre 1896. Oltre alle spese, ai danni ed alle pene accessorie.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.