Nao, frazione di Ionadi, Vibo Valentia. È il pomeriggio del 5 febbraio 1944 e nell’osteria di Maria Grazia Deodato alcuni avventori giocano a carte e tra questi ci sono Domenico Neri e Fortunato Porcino, venuti da Mileto. Durante il gioco Neri canticchia una canzonetta popolare, ma Saverio Signoretta, il suocero della proprietaria, appena entrato nel locale, sentendo cantare si adombra.
– In questa casa è passata la morte essendo deceduto mio figlio e quindi non permetto che si canti!
Ne nasce un battibecco, ma alla fine Neri smette di cantare e chiede scusa all’anziano che, visibilmente ubriaco e di indole prepotente, continua a tenere un contegno iroso. Poco dopo Neri e Porcino salutano la compagnia e vanno a casa di Pietro Deodato, che li ha invitati a cena.
Non passa molto tempo che a casa di Pietro si presentano Emanuele Signoretta e Vincenzo Castagna, rispettivamente figlio e genero dell’anziano Saverio, ai quali viene offerto da bere, ma solo Castagna beve qualche sorso. Il loro contegno alquanto nervoso suscita un diverbio vivace con Domenico Neri che, ad un certo punto, infastidito da quella intrusione in una cena tra amici, sbotta:
– Ma siete venuti per divertimento o per insultare?
– Per questo e per quello che capita – risponde con aria di prepotenza Vincenzo Castagna, poi i due cognati si alzano, si avviano bestemmiando verso la porta di casa per uscire e Castagna continua con tono di sfida – se avete coraggio venite fuori!
A tali parole Neri e Porcino fanno per lanciarsi contro gli avversari, ma altri amici intervengono e li trattengono in casa. Porcino, però, riesce a raggiungere la scala e, stizzito, dà un forte colpo d’ombrello sulla balaustrata della scala, da romperne il manico e urla:
– Io non voglio essere preso per fesso!
Poi lo trascinano in casa e tutto torna calmo. Verso le nove di sera Neri e Porcino salutano il padrone di casa e, accompagnati da amici, si avviano verso Mileto, ma giunti nei pressi della chiesa Vecchia di Nao incontrano i loro rivali Signoretta e Castagna e si riaccende la discussione, durante la quale Neri dice a Castagna:
– È inutile che voi portate il berretto alla rovescia, perché sono capace di portarlo pure io! – riferendosi al modo ‘ndranghetista di portare il cappello e contemporaneamente lo prende per il bavero della giacca.
– Toglietemi le mani di dosso! – gli fa di rimando quella ed è inevitabile che i due si azzuffino. Ma Castagna è svelto a togliere di tasca il coltello e colpire più volte l’avversario.
– Disgraziato! Hai il coltello in mano! – ha il tempo di dire Neri, poi crolla a terra morto.
Porcino, sorpreso e preoccupato che adesso i due lo aggrediscano, così tenta di scappare ma viene raggiunto e accoltellato. È più fortunato del suo amico perché, nonostante sia gravemente ferito, riesce a liberarsi dai due e mettersi in salvo.
I Carabinieri accorsi sul posto ricostruiscono sommariamente i fatti e arrestano Saverio Simonetta, suo figlio Emanuele e Vincenzo Castagna per rispondere di concorso in omicidio e tentato omicidio ed è con queste accuse che i tre vengono rinviati al giudizio della Corte d’Assise di Vibo Valentia la quale, il 9 luglio 1947, assolve per insufficienza di prove Saverio Signoretta, dichiara estinta l’azione penale nei confronti di Emanuele Signoretta nel frattempo deceduto, e condanna Vincenzo Castagna come colpevole di omicidio in persona di Neri Domenico e concorso in tentato omicidio in persona di Porcino Fortunato, commesso per futili motivi e con attenuanti generiche, ad anni 30 di reclusione.
Castagna ricorre per Cassazione eccependo che la Corte d’Assise non ha concesso l’attenuante della provocazione e la contraddittorietà di motivazione in ordine all’aggravante del futile motivo. La Suprema Corte, il 23 maggio 1949 accoglie il secondo motivo del ricorso e annulla la sentenza, rinviando gli atti alla Corte d’Assise di Catanzaro per il nuovo giudizio, limitatamente alla parte annullata.
Il 25 marzo 1950 si discute la causa e la Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, osserva: le risultanze del pubblico dibattimento hanno meglio chiarito e precisato il movente dei fatti delittuosi commessi da Castagna Vincenzo e ricostruisce i fatti: l’imputato, la sera del 5 febbraio 1944, di ritorno dal lavoro era stato chiamato dal cognato Emanuele Signoretta ed informato che poco prima nella rivendita di vino della loro cognata, Domenico Neri e Fortunato Porcino avevano dileggiato, offendendolo, il loro rispettivo padre e suocero. Fu in seguito a tale sollecitazione ed esagerata informazione del lieve incidente avvenuto poco prima che costoro si recarono in casa di Pietro Deodato per avere contezza dell’incidente e chiedere spiegazioni. In casa Deodato vennero accolti con malcelato fastidio, anzi il Neri ebbe, in tono altezzoso, a chieder loro se erano andati per divertimento o per insultare. Ma tale sgradevole domanda irritò di più sia il Castagna che il Signoretta che, nell’allontanarsi, lanciarono la sfida, sfida accettata ma impedita da Pietro Deodato. Poco dopo la disputa si riaccese nei pressi della chiesa vecchia e precisamente per l’imprudenza del Neri ch’ebbe a dire al Castagna “è inutile che voi portate il berretto alla rovescia, perché sono capace di portarlo pure io” ed in così dire l’afferrò per il bavero della giacca, onde seguì la colluttazione, nella quale il Neri rimase ucciso ed il Porcino ferito gravemente.
Così sono andati i fatti per la Corte e quindi affronta il problema dell’aggravante dei futili motivi affermando che importa l’idea di sproporzione tra movente ed azione criminosa e rivela una particolare capacità a delinquere che può giungere fino alla brutale malvagità e si ha quando un delitto è commesso per vantarsene o per prepotenza. Nel caso in esame è risultato: 1) che il Castagna, quando si recò in casa Deodato era molto agitato ed eccitato. Tale suo contegno era il segno rivelatore ch’era stato certo informato esageratamente dell’incidente poco prima avvenuto tra Neri e suo suocero; ora, per fugare tale errata prevenzione del Castagna nei riguardi del Neri e del Porcino, costoro nulla dissero, anzi col loro contegno arrogante ribadirono la convinzione del Castagna che effettivamente poco prima avevano offeso e dileggiato il vecchio suocero. 2) il secondo incidente, che ebbe così sanguinoso epilogo, venne del pari provocato dal Neri che, incontratosi col Castagna ebbe ad apostrofarlo spavaldamente e subito l’afferrò per il bavero della giacca. Ciò posto, non può ritenersi che nel fatto ricorra la futilità del motivo perché nel valutare il comportamento di chi trascende in grave delitto qual è l’omicidio, non può prescindersi dall’ambiente in cui il soggetto è vissuto, dell’educazione che ha ricevuto, delle abitudini e delle tendenze morali che lo hanno guidato; difatti non può ritenersi futile il motivo di chi insorge per chieder conto di uno sgarbo fatto ad un congiunto, tanto più quando chi deve chiarire il fatto e fugare i malintesi, col suo contegno altezzoso acuisce il malanimo e provoca nuovi alterchi. È da rilevare inoltre che sia il Neri che il Porcino erano pregiudicati ed essendo alquanto brilli mantennero quella sera un contegno spavaldo, provocando la rissa e l’epilogo cruento.
Quindi la colpa di tutto è stata di Domenico Neri e si può concludere: eliminando la circostanza aggravante dei futili motivi, la pena inflitta al Castagna va degradata di un terzo e quindi ridotta ad anni 20 di reclusione, di cui debbono dichiararsi condonati anni 3 per l’indulto largito col D.P. 23 dicembre 1949, N. 930.
Il 21 luglio 1954 la Corte d’Appello di Catanzaro, applicando il D.P. 19 dicembre 1953, N. 922, dichiara condonati anni 3 di reclusione.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenza della Corte d’Assise di Catanzaro.