È la mattina del primo aprile 1890. Come ogni giorno, Costantino Manes, 12 anni, sta facendo pascolare le pecore del gregge che custodisce insieme al diciottenne Michele Palmantonio nelle campagne intorno a Paola. C’è il sole, la natura sta esplodendo in tutto il suo vigore ed è una bellezza starsene coricati sul prato con un filo d’erba in bocca a guardare i bianchi animali muoversi lentamente sulla distesa verde punteggiata dai fiori di mille colori.
All’improvviso, però, Michele abbranca Costantino a viva forza, lo mette carponi, gli abbassa i calzoni e poi gli si mette sopra stuprandolo. Il bambino urla per il dolore ma nessuno può sentirlo in quel luogo remoto. Michele non ci mette molto a finire la sua opera devastatrice e quando lo fa emette un grugnito di piacere, poi lascia la preda sanguinante e piangente e si stende, beato, sull’erba.
– Non dire niente ché t’ammazzo! – è la minaccia.
E Costantino non parla, anche se la via per tornare a casa gli è sembrata una via crucis, anche se vorrebbe abbracciare la mamma per dirle tutto. Mangia qualcosa a stento, poi va a letto e piange in silenzio mordendosi il labbro per resistere al dolore. Poi pensa che è tutto finito e dimenticherà lo strazio che ha subito e si addormenta.
Ma Costantino si sbaglia perché nei giorni successivi Michele lo abbranca di nuovo e se il bambino non vuole cedere alle sue voglie lo picchia. Poi gli ripete la terribile minaccia e Costantino resta sempre muto. La sua preoccupazione non è per quello che potrebbe capitargli se parlasse, ma teme che, se parlasse, tra Michele e suo padre possano avvenire gravi quistioni.
Proprio in questi giorni Carmine, un altro pastorello, forse per liberarsi del peso che lo opprime, gli racconta che Michele voleva violentarlo e questa sarebbe l’occasione buona perché anche Costantino si confidi e si liberi, ma resta sempre muto e tiene tutto dentro.
In vino veritas. Ed è un bicchiere di troppo, bevuto in una cantina, a tradire Michele, che con gli amici si vanta delle sue orrende imprese sessuali. Qualcuno va a raccontarlo ai genitori di Costantino e gli rovina la festa della Santa Pasqua. Il padre di Costantino, Raffaele Manes – in realtà il suo vero nome è Annibale Spaventoso di genitori ignoti –, ascolta e non commenta, ma la sua decisione l’ha presa: si vendicherà di così grave oltraggio. E non fa passare tempo. La mattina dopo, quando è ancora buio, prende la sua scure e va in contrada Acque Lerossi, allo scarazzo dove dormono Michele Palmantonio con altri pastori e le pecore.
Per arrivare allo scarazzo Raffaele deve camminare per sei chilometri lungo la via provinciale che mena da Paola a Cosenza, poi a pochi metri sotto il lato destro della via c’è il recinto e dentro questo la casetta rurale addetta all’uso dei pastori per dormirvi e confezionare i latticini. Si avvicina in silenzio, adesso ha davanti la porta sgangherata ad un solo battente, che per non cadere da sola deve essere fermata dall’interno con un puntello. Raffaele bussa e dopo una bestemmia Samuele Chianello, il massaro, si alza e apre. Lo riconosce, lavorano insieme, poi bofonchia qualcosa, gli fa segno di entrare, mentre lui esce per soddisfare un bisogno corporale.
– Buongiorno – saluta Raffaele, che entra e si mette a sedere sopra un poggiuolo di pietra, poi carica la pipa, l’accende e comincia a fumare scrutando i due uomini distesi a terra, completamente avvolti nei loro mantelli.
Le prime luci dell’alba appaiono dietro le montagne ed è ora di alzarsi per mungere le pecore. Samuele Chianello rientra soddisfatto nella casetta e sveglia i due pastori, che tuttavia restano distesi a sonnecchiare, poi esce di nuovo.
Raffaele si avvicina alla sua vittima designata e la tocca con la punta del piede in un fianco. Michele biascica qualcosa che vorrebbe significare di lasciarlo in pace, ma nello stesso momento cominciano a piovergli sulla testa dei tremendi colpi di scure, cinque per la precisione, che gliela sfracellano.
– Pigliati questo per mio figlio!
L’altro pastore si è svegliato sentendo i primi colpi accompagnati da una specie di rantolo e ha visto il resto della scena. Terrorizzato, trema come una foglia e non riesce a fare uscire dalla gola nemmeno una sillaba, poi si alza e, temendo che gli tocchi la stessa sorte di Michele, riesce ad implorare perdono, ma Raffaele nemmeno lo guarda. Il massaro invece non si è accorto di niente, intento a mettere ordine nel gregge. Raffaele Manes pulisce la scure, la rimette alla cintola e, prima di uscire come se niente fosse, non visto dal massaro, esclama:
– Se ci fosse stato il padre, avrei ammazzato anche lui alla stessa maniera!
Poco dopo rientra il massaro e trova l’altro pastore che ancora trema ed a stento riesce a dirgli quello che è successo. Allora Chianello si avvicina a Michele e lo vede in un lago di sangue col capo orribilmente spaccato, ma non è morto perché emette ancora dei rantoli ed è questione di altri pochi istanti perché l’orribile morte arrivi. Il massaro si mette le mani nei capelli davanti a quello spettacolo, poi corre più in fretta che può a casa di Michele per avvisare i familiari, poi a casa di Alfonso Bottino, uno dei comproprietari del gregge e infine dai Carabinieri, che sanno già tutto perché Raffaele Manes si è costituito e ha già raccontato cosa lo ha spinto a combinare quel macello.
– Lo ha rovinato in modo deplorevole. Il fanciullo niente mi disse, temendo che io avessi attaccato briga con Michele. Ieri, giorno di Pasqua seppi il fatto da Mariuzza Chianello, la figlia del massaro, presente il padre e Carmine Filippo. Nulla dissi, ma risolsi di vendicarmi di così grave oltraggio… vibrai diversi colpi nell’impeto dell’ira e per essere sicuro della sua morte…
Lo ha rovinato in modo deplorevole, ha detto Raffaele riferendosi alle condizioni di Costantino, che ovviamente prima viene ascoltato e poi sottoposto a perizia medica:
– Mi ghermì a viva forza, mi discese i calzoni e, mettendomi sotto di sé, mi stuprò, facendomi emettere grida che non poteano essere ascoltate da nessuno perché soli in luogo remoto. Ripeté le medesime operazioni nei giorni successivi e se io non volevo cedere alle sue voglie, egli mi percoteva. Non dissi nulla ai miei genitori temendo che tra essi ed il Palmantonio fossero avvenuta gravi quistioni.
Il Pretore incarica due medici di effettuare la perizia, i dottori Angelo Ferrari e Giuseppe Cilento. Il ragazzo che noi osserviamo mostra l’età dai dieci ai dodici anni, di grande sviluppo scheletrico, mediocre sviluppo muscolare, piuttosto bellino e con aspetto quasi femmineo, benché addetto ad aspro e rozzo mestiere. Denudato, non abbiamo rinvenuto tracce di violenza sul suo corpo, come contusioni, graffiature ecc. ecc. ma abbiamo rinvenuto macchie di sperma sulla camicia. Messo in opportuna posizione e divaricando pian pianino le natiche fin allo sfintere esterno, abbiamo notato i seguenti fatti: lieve arrossamento della cute, più pronunciato in sopra, nella linea mediana verso il coccige, affatto ecchimosi od altri segni di patito traumatismo delle parti in esame. Divaricando un po’ forzatamente lo sfintere, si è presentata la mucosa anale in stato infiammatorio con tumefazione, arrossamento, ecchimosi, escoriazioni in qualche punto, specie nella delimitazione fra la cute e la mucosa stessa, inducendo nell’osservato senso di bruciore e dolore. Non abbiamo rilevato lacerazioni. Gli sfinteri, specie l’esterno, sono alquanto rilasciati, in guisa da mostrare slargata l’apertura anale e permettere, senza difficoltà, l’accesso del dito esploratore. Le cripte anali un po’ spiegate, da alterarsi l’azione di un corpo che ha agito bruscamente da fuori in dentro. In omaggio alla verità e concordi scrupolosamente alla voce grave e solenne della coscienza, giudichiamo che l’infelice ragazzo, oggetto delle nostre indagini, è stato vittima di quel turpe e brutale vizio che costituisce il coito impuro contro natura, la pedersatia; che un tal fatto sia accaduto di recente, sette o dieci giorni, si sia ripetuto più volte a brevi intervalli.
Costantino ha detto la verità.
Poi viene ascoltato massaro Samuele Chianello al quale, dopo aver ricostruito il tragico evento, viene chiesto se si fosse accorto di qualcosa di strano nel comportamento delle persone coinvolte nel fatto e risponde:
– Michele Palmantonio e Raffaele Manes erano da molto tempo al servizio della mandria di cui io sono il massaro. Tra essi mai furono brighe, rancori od alterchi da cagionare una scissura… erano buoni compagni – poi aggiunge –. Io però ero poco contento di Manes perché negligente nel servizio e dedito al vino. Il mattino di Pasqua, dalla contrada dove è lo scarazzo, insieme al Manes mi recai a Paola per vendere le ricotte. Egli si separò da me e, giusto il suo costume, andò ad ubbriacarsi. Verso le cinque pomeridiane, dovendo tornare alla mandria, feci chiamare Manes per andarcene uniti, ma non fu nello stato di potermi accompagnare, cosicché vi tornai solo – come mai massaro Chianello definisce Manes un ubriacone, visto che i proprietari del gregge dicono il contrario? Forse per cercare di aiutarlo?
– E il piccolo Costantino vi accennò qualcosa sulla violenza subita?
– Io nulla conoscevo del fatto che Michele avesse stuprato Costantino perché nulla aveva palesato né a me, né ai suoi genitori. Il fatto si seppe da Raffaele Manes il giorno di Pasqua e glielo rivelò Carmine Filippo.
– A noi risulta diversamente e cioè che fu vostra figlia a raccontare il fatto a Raffaele Manes.
– Il fatto fu narrato a Carmine Filippo e questi lo disse a Raffaele perché costui gli diceva che nel giorno seguente doveva recarsi con Michele a pascolare gli animali. Ignoro se mia figlia Maria avesse avuto conoscenza di questo fatto e se ne avesse parlato a Raffaele…
– Quindi quando Manes venne a conoscenza dello stupro voi non eravate presente, è così?
– Si…
Ma forte anche della contraddizione emersa nella sua testimonianza, il padre di Michele si scaglia contro massaro Samuele Chianello, e nella querela contro l’omicida del figlio, afferma:
– Io ignoravo ogni rancore precedente esistente tra il defunto mio figlio col suo compagno Raffaele Manes, cosicché non ho potuto né prevedere, né impedire l’omicidio. Si parlò in Paola del preteso stupro commesso da mio figlio sul figlio di Raffaele Manes ed il giorno di Pasqua ne vennero a cognizione non solo il Manes, ma anche il mandriano Samuele Chianello. Manes avrebbe voluto recarsi quella sera stessa alla mandria per vendicarsi di mio figlio e sarebbe stato dovere di Chianello avvertirmene perché si sarebbe potuta evitare la disgrazia.
Ma è ovvio che Samuele Chianello, avendo visto Raffaele Manes ubriaco, non avrebbe mai potuto sospettare che, passata la sbornia, potesse combinare quello che ha combinato. Sempre ammesso che Raffaele Manes ricordi chi era presente nel momento in cui gli fu rivelato lo stupro e sempre ammesso che fosse davvero ubriaco. A chiarire tutto per bene ci pensano Maria Chianello, suo figlio Carmine Filippo, e Salvatore Vilardi, alias Sciabola:
– Sabato scorso, mio figlio Carmine Filippo, mi disse che non intendeva più recarsi a pascolare il gregge dei signori Valitutti, Parise e Bottino perché Michele Palmantonio cercava di consumare atti osceni sulla sua persona e che giorni prima lo aveva afferrato e messo sotto il cappotto, che egli seppe sfuggirgli e Michele lo aveva inseguito per una mezza giornata. Il mattino di Pasqua, mentre mio figlio era in casa, venne Raffaele Manes e gli chiese il motivo per cui non voleva più andare alla custodia del gregge. Allora mio figlio gli disse che egli non voleva essere la vittima della brutalità di Michele e che non intendeva che costui facesse sulla sua persona ciò che aveva fatto su quella del piccolo Costantino. A questa rivelazione Raffaele Manes nulla rispose ed andò via senza profferire alcuna parola.
– Circa otto giorni dietro, trovandomi in campagna, incontrai Costantino Manes che custodiva le pecore e diceva di dolergli il ventre. Avendolo interrogato, mi disse che Michele Palmantonio lo aveva a viva forza stuprato. Dopo alcuni giorni, trovandomi nella montagna in compagnia di Michele, costui mi ghermì ad un tratto e mi pose sotto il suo mantello ma io, prevenuto dalla narrazione di Costantino, mi svincolai e fuggii, inseguito da Michele per molto tempo, ed egli desistette solo quando gli animali si sbandarono e producevano danni. Narrai il fatto a mia madre e da quel giorno non volli andare alla mandria. Il mattino di Pasqua venne in casa Raffaele Manes e mi disse: “Tu ti prendi la parte e non vuoi venire alla mandria! Perché non vuoi venire?”. Io gli risposi: “Non ci vengo perché Michele mi piglia e vuol fare a me quello stesso che ha fatto a tuo figlio Costantino!”. Manes nulla rispose e andò via – Costantino continua a ripetere di non aver raccontato niente a nessuno ed è probabile che Carmine abbia capito tutto vedendo il bambino sofferente.
– Raffaele Manes seppe dello stupro la domenica di Pasqua. La sera, eccessivamente ubriaco, voleva andare alla mandria con massaro Chianello, ma costui non volle condurlo, sia perché ubriaco e sia perché, forse, dubitava di qualche rissa tra Manes e Michele Palmantonio. Il mattino successivo, lunedì sette, io ero a Paola e la moglie di Manes mi disse di recarmi subito alla mandria perché temeva di qualche briga tra suo marito e Palmantonio. Poco dopo seppi dell’omicidio…
Può bastare così ed il 20 giugno 1890 la Sezione d’Accusa rinvia Raffaele Manes al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di omicidio volontario, commesso a seguito di grave provocazione.
L’11 novembre 1890 la giuria assolve Annibale Spaventoso, alias Raffaele Manes.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.