L’ULTIMO CONVEGNO AMOROSO

È il 25 agosto 1948 e una giovane donna, seduta davanti al Maresciallo dei Carabinieri di Tiriolo, nervosamente tormenta un fazzoletto.

– Allora? Come sono andate le cose? – le chiede.

– Sono andate che il mio fidanzato, Carmine Colacino di anni trentasei, dopo avermi sedotta non intendeva più sposarmi – risponde la venticinquenne Angelina Rotella.

– Questo più o meno lo avevamo capito, devi raccontare come sono andati i fatti.

Amoreggiavo con Carmine, il quale con lusinghe di matrimonio il 12 agosto di quest’anno è riuscito a sedurmi, deflorandomi, in contrada Campo dei Monaci. Ottenuto l’amplesso desiderato, Carmine cominciò a tergiversare per sfuggire all’impegno preciso assunto verso di me. Rimasta delusa divisai che se non mi avesse sposata gli avrei lasciato un segno, come lui lo ha lasciato a me, così mi procurai una lama di rasoio, gli detti appuntamento in contrada Campo dei Monaci e gli concessi l’amplesso per cercare di capire che intenzioni davvero avesse. Avendo compreso che intendeva abbandonarmi, tirai fuori la lama di rasoio e gl’infersi un colpo al viso. Queste sono le cose…

Carmine Colacino è nel suo letto col viso fasciato e risponde alle domande del Maresciallo.

– Si, ho avuto rapporti intimi con Angelina Rotella il 12 agosto scorso in contrada Campo dei Monaci, ma la trovai deflorata. Tuttavia non ho interrotto il fidanzamento, né ho manifestato il proposito di abbandonarla. Sono convinto che Angelina è trascesa al delitto perché istigata dai suoi genitori e da una zia.

Intanto le indagini evidenziano da una parte la buona condotta morale di Angelina e dall’altra il carattere da imperterrito donnaiolo privo di scrupoli di Carmine Colacino. Comunque è stato commesso un reato di sangue e deve essere perseguito, così la Sezione Istruttoria, il 21 gennaio 1950, rinvia Angelina Rotella al giudizio della Corte d’Assise di Catanzaro per rispondere di lesioni personali gravissime premeditate e sfregio permanente.

La causa si discute il 20 aprile 1950. La Corte, letti gli atti ed ascoltati i testimoni, osserva che la prova della colpevolezza della Rotella risulta pienamente acclarata dalla sua confessione, che collima colle altre risultanze processuali. Essa, rimasta offesa e delusa dal contegno sleale del Colacino, meditò di “lasciargli un segno” e difatti preordinò il delitto nei mezzi e nell’esecuzione, scegliendo il mezzo (la lama di un rasoio) ed il luogo per l’ultimo convegno amoroso; le conseguenze della ferita inferta al viso del Colacino hanno causato lo sfregio permanente del viso. Concorrono, quindi, tutte le aggravanti (arma e premeditazione) contestate. Non può però dubitarsi che la Rotella trascese al delitto perché vilmente ingannata dal suo seduttore; essa era rimasta umiliata ed addolorata del comportamento di costui, che ne aveva compromessa la reputazione e l’aveva esposta ai frizzi ed ai motteggi malevoli dei suoi conterranei. Va quindi accordata all’imputata l’attenuante della provocazione ed anche le attenuanti generiche, tenuto conto che trattasi di donna onesta e di precedenti incensurati. Dette circostanze attenuanti debbono considerarsi prevalenti rispetto alle circostanze aggravanti contestate, cosicché la pena da comminare alla Rotella, pigliando come pena base anni 6 di reclusione e riducendola di un terzo per la provocazione e di un quarto per le attenuanti generiche, va concretamente fissata in anni 3 di reclusione, oltre un mese di arresti per il porto ingiustificato di rasoio. La Rotella va, altresì, condannata alle spese, ai danni ed alle pene accessorie. Dalla pena detentiva  inflitta vanno condonati per indulto anni 2, alle condizioni di cui al D.P. 23/12/1949.[1]

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Catanzaro.