Il 27 ottobre 1934 Antonietta Amelio, ventottenne da Taverna, partorisce una bella bambina ed ai familiari, ai quali è riuscita a nascondere la gravidanza, confessa:
– Sono rimasta incinta in seguito ai rapporti intimi avuti col dottor Ulisse Corea, il quale nel suo studio, dove mi ero recata per farmi curare una malattia agli occhi, riuscì a possedermi dopo avermi procurato uno stato di sopore mediante un’iniezione che mi fece col pretesto della cura che gli avevo richiesto…
– Ma che racconti? – l’aggrediscono i fratelli – Hai rovinato l’onore della famiglia, puttana! Prendi la tua roba e vattene!
Così la disgraziata puerpera, messa in mezzo alla strada, pensa di rivolgersi al suo seduttore per informarlo delle angustie in cui, per colpa sua, ella e la bambina si trovano e pregarlo di venire in suo soccorso.
– Io vi ho messa incinta dopo avervi stordita e posseduta? Uscite immediatamente da qui altrimenti vi querelo! – è la risposta che il dottor Corea le dà.
Antonietta è sdegnata per la condotta sleale e ingenerosa di Corea ed il suo sdegno e la sua disperazione arrivano al culmine quando, per la mancanza di mezzi e di cure adatti, perde la sua creaturina. Ma deve vivere e per vivere si trasferisce a Catanzaro dove trova lavoro come domestica e dove spera che prima o poi incontrerà il suo seduttore, per questo cammina sempre con un coltello nella borsetta. E l’incontro sperato avviene in Piazza Grimaldi dopo qualche mese. Antonietta vede il dottor Corea, gli si avvicina alle spalle con il coltello in mano e lo ferisce alla nuca. L’oculista, urlando per il dolore, si gira, la vede e urla ai presenti di prenderla perché lo vuole ammazzare. Antonietta viene arrestata, processata per tentato omicidio e condannata, con la concessione delle attenuanti di avere agito per motivi di particolare valore morale e in stato d’ira per fatto ingiusto altrui, a tre anni, un mese e dieci giorni di reclusione. Antonietta esce dal carcere dopo poco più di un anno grazie all’indulto di due anni, ma non ancora soddisfatta, né placata perché i nuovi e ripetuti tentativi di impietosire Corea vengono adeguatamente respinti, il 18 ottobre 1937 si apposta nel luogo dove sa che l’oculista deve necessariamente passare e non appena lo vede, lo aggredisce nuovamente di sorpresa, rompendogli in testa una bottiglia di acido muriatico che, colandogli sul viso, gli provoca serie lesioni, quasi accecandogli l’occhio sinistro.
Viene subito arrestata con l’accusa di lesioni personali gravi premeditate, con l’ulteriore aggravante di aver riportato altre condanne della stessa indole entro i cinque anni, e rinviata al giudizio della Corte d’Assise di Catanzaro.
Appena iniziato il dibattimento, la Corte decide di sottoporre Antonietta a perizia psichiatrica, da effettuarsi nel manicomio di Girifalco.
No, Antonietta non è pazza, è pienamente sana di mente, lo attestano gli alienisti che l’hanno sottoposta a perizia e può essere processata. È colpevole e viene condannata per lesione grave premeditata a quattro anni, dieci mesi ed un giorno di reclusione, vedendosi negata la concessione delle attenuanti della provocazione e dei motivi di particolare valore morale con la motivazione che le due attenuanti richieste le sono state già concesse per il primo reato.
La difesa propone appello per Cassazione, che accoglie il ricorso e rinvia gli atti alla Corte d’Assise di Cosenza, sedente a Rossano, per riesaminare se nel fatto concorra l’aggravante della premeditazione o, per l’opposto, debbano concedersi le attenuanti richieste. L’odissea continua.
La causa si discute il 2 dicembre 1940 e la Corte osserva in via preliminare: sebbene la Suprema Corte abbia censurato con la sua sentenza la tesi sostenuta dalla Corte d’Assise di Catanzaro, secondo cui il fatto di avere già concesso all’Amelio le due attenuanti per la prima aggressione da lei commessa contro il Corea costituisca un motivo preclusivo per la concessione delle stesse attenuanti per la seconda aggressione commessa successivamente contro Corea e per la medesima causale, non pare tuttavia che la detta censura, che la Suprema Corte ha fatto evidentemente soltanto in linea di principio, impedisca a questa Corte di riesaminare se per l’Amelio concorrano o non le ragioni di fatto e di diritto per la concessione dell’una o dell’altra attenuante o di entrambe insieme.
Esaminati gli atti ed ascoltati i testimoni, in special modo il comandante la stazione dei Carabinieri di Taverna che, ripercorrendo tutta la vicenda, assume quasi il ruolo di difensore dell’imputata:
– Anche dopo la prima condanna, la Amelio continuò a soffrire, non soltanto per l’abbandono dei suoi congiunti e dei suoi paesani, ma anche perché il dottor Corea, che pure era stato la causa della sua sciagura, non si curò mai di venirle incontro né con sovvenzioni finanziarie, né con parole di commiserazione e di pietà verso di lei. Anzi, il Corea continuò a tenere verso la Amelio un contegno sprezzante respingendo la sua preghiera, rinnovatagli anche qualche giorno prima della seconda aggressione, di sovvenire la di lei miseria con qualche piccola somma, onde ella, avendo il cuore gonfio di sdegno per lo spietato contegno del Corea, non appena lo vide dopo qualche giorno si sentì subito rimescolare il sangue e gli ruppe la bottiglia contenente acido muriatico che si era procurata ad Avellino.
La Corte valorizza la deposizione del Maresciallo e osserva: ora, per quanto riguarda l’attenuante dello stato d’ira, basta por mente a quel che in punto di fatto è risultato all’odierno pubblico dibattimento per non avere dubbio alcuno sul suo pieno fondamento. Infatti, come si vede, si è trattato di uno stato d’ira la cui insorgenza fu determinata da nuovi fatti provocatori commessi dal Corea anche dopo la prima aggressione commessa in suo danno dalla prevenuta e quasi immediatamente prima che questa consumasse la sua seconda aggressione. Insomma, siccome si tratta di offese nuove e con altra causale da quella originaria compiuta da Corea ai danni di Antonietta Amelio, l’attenuante della provocazione è pienamente ammissibile, essendo su ciò concordi la giurisprudenza e la dottrina.
La concessione dell’attenuante basta alla Corte per rendere inutile ogni discussione circa la inammissibilità dell’aggravante della premeditazione, essendo ormai comunemente accettata l’incompatibilità tra la premeditazione e lo stato d’ira.
Al contrario, secondo la Corte, non può essere accordata una seconda volta l’attenuante di avere agito per motivi di particolare valore morale perché il secondo delitto contro Corea ha origine dal medesimo movente del primo, cioè l’offesa al suo onore, ond’è che l’originaria efficienza del movente di particolare valore morale deve ritenersi esaurita con il riconoscimento già fatto in occasione del primo delitto, giacché se si dovesse accordare al delinquente il singolare privilegio d’invocare tale attenuante la seconda volta (e perché non anche la terza, la quarta ecc. se è esatto il principio che si combatte?), si verrebbe a incoraggiare la persistenza nel delitto.
Non resta che, in base a questi ragionamenti, determinare la nuova pena da infliggere ad Antonietta Amelio: partendo dal minimo di anni tre di reclusione, da cui è partita la Corte di Assise di Catanzaro, aumentandola di un dodicesimo per l’aggravante di aver commesso il delitto con sostanza corrosiva, questa resta fissata in anni tre e mesi tre di reclusione, che diminuita di un terzo per l’attenuante dello stato d’ira risulta di anni due e mesi due; aumentandola di un terzo per la recidiva in delitto della stessa indole commesso nei cinque anni, resta definitivamente stabilita in anni due, mesi dieci e giorni venti di reclusione, oltre alle spese, i danni e le pene accessorie.
Dovrebbe essere tutto finito, ma la Corte ha un’ultima osservazione da fare: pur dovendo la sentenza della Corte d’Assise di Catanzaro restar ferma per ogni altra statuizione non censurata dalla sentenza della Suprema Corte, tuttavia, poiché questa Corte di rinvio ha escluso l’aggravante della premeditazione e concesso l’attenuante dello stato d’ira, si appalesa di giustizia escludere la misura di sicurezza della libertà vigilata comminata contro la prevenuta dalla sentenza della Corte d’Assise di Catanzaro.[1]
È il 2 dicembre 1940 e l’esercito greco continua a respingere le armate italiane, conquistando le città di Pogradec, Saranda ed Argirocastro, mentre entra in territorio albanese, risalendo anche lungo il lato costiero, e occupa la località di Santi Quaranta. La guerra di invasione della Grecia è già quasi persa dopo appena un mese e mezzo.
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Rossano.