IL PELO E IL VIZIO DEL LUPO

Sono le nove di sera di domenica 10 febbraio 1895 quando un uomo bussa alla caserma dei Carabinieri di Dipignano per avvisarli che nella frazione Calendini del comune di Paterno Calabro, precisamente ai piedi di una scala di via Roccella, c’è il cadavere del ventiquattrenne calzolaio Francesco Ferraro, ucciso mediante arma da fuoco.

Il Brigadiere Giovanni Ponta e due suoi uomini si precipitano sul posto mentre comincia a piovigginare. Il buio e le condizioni atmosferiche però non consentono di effettuare rilievi approfonditi, ma solo di stabilire che la scala, ai piedi della quale giace il cadavere, dà accesso alla casa della venticinquenne Nicolina Presta che, interrogata, dichiara di nulla sapere sulla causa della morte del calzolaio. Teoricamente potrebbe anche trattarsi di suicidio, ma nei paraggi sembra che non ci siano armi, per questo è meglio piantonare il cadavere e avvisare il Pretore, poi al resto si penserà con la luce del giorno.

Infatti, la mattina del giorno dopo, alla presenza del Pretore, la dinamica di quello che è certamente un omicidio viene fuori dai riscontri oggettivi sul posto. Pria di entrare nella casa di Nicolina Presta vi è una gradinata di sette gradini di pietra con pianerottolo e spalliera di fabbrica, onde così impedire la caduta di chi la ascende. Ai piè della scala giace il cadavere di Francesco Ferraro, avente il capo nella via, le mani penzoloni sul terreno, il piede destro sul primo gradino di chi sale e il piede sinistro poggiato sul secondo gradino. Sul pianerottolo vi sono orme e vestigia di sangue, sebbene lavato dall’acqua dal Cielo caduta nella notte. Orme di sangue pure si riscontrano sui gradini e presso il cadavere si è trovato un nodoso bastone. Nella porta della casa di Nicolina Presta vi è pure, a parte sinistra di chi entra, un forellino di vecchia data, della circonferenza di due centimetri, posto all’altezza di centimetri 60 dal pavimento interno, dal quale si può benissimo spiare e guardare entro. Vi è pure tra il telaio dell’uscio ed il muro di fabbrica a sinistra di chi entra, all’altezza del pavimento di centimetri 85, un altro foro, praticato dall’esterno dalla mano dell’uomo da meno di 24 ore come indica l’abbondanza di terriccio caduto sul gradino. Tutto questo fa supporre che il colpo da freddare l’uomo si dovette dallo stesso procurare in prossimità dell’uscio. Anzi, da una più attenta osservazione e dalla relazione del medico legale che attesta come la morte, istantanea, sia avvenuta a causa di un proiettile che lo ha colpito all’occhio destro penetrando nel cervello, il Pretore, il Brigadiere ed un muratore chiamato apposta sul luogo, giungono ad ipotizzare che Ferraro si presentò alla porta di Nicolina Presta forse per essergli l’uscio dischiuso o per altro ed avendo forse avuto il rifiuto praticò il foro tra il telaio ed il muro, forse con un bastone, per conficcarvi la mano e aprire facilmente la serratura della porta perché il fermaglio trovasi senza molla. E infine il colpo che ricevette fu dalla mano umana tirato dal di dentro e lo colpì all’occhio destro nel mentre che si trovò a spiare o dal foro praticato ed ancora non finito oppure dal forellino nella porta di casa.

A questo punto Nicolina dovrà spiegare molte cose, perché è impossibile che non ne sappia niente, ma che, al contrario, sia pesantemente coinvolta nell’omicidio, tanto pesantemente da esserne l’autrice. Messa alle strette, confessa e racconta:

Debbo premettere che io sono maritata a Michele Gallo il quale, fin dall’aprile del 1894 emigrò per le Americhe lasciando me e due figlioletti. Francesco Ferraro, calzolaio del luogo dal quale io mi facevo costruire e rattoppare scarpe tanto per me che per i bambini, incominciò a perseguitarmi cercando di corrompermi e tradire il letto coniugale, valendosi dell’assenza del mio sposo. Io mi opposi sempre e quindi, poco o nulla conto fecendo delle sue chiacchiere, tiravo nella via dell’onestà, guardandomi l’onore e riserbandolo al mio assente marito, che dall’estero mi spediva moneta. Nella sera dell’otto febbraio, trovandomi nella stanza da letto impegnata a fare addormentare il mio piccino duenne, ecco che fui avvertita dal mio figlio più grande che dalla porta, a bassa voce, una persona che non riconobbe lo spronava ad aprire. Io, prendendo a gabbo tale asserto, invitai mio figlio a venire a coricarsi e mi portai nella prima stanza vicino al focolare. Ciò che ritenevo un sogno di mio figlio effettivamente si verificò perché intesi con le mie orecchie la voce di Ferraro, il quale voleva aperto onde penetrare nella mia casa e giacere meco carnalmente. Io lo pregai e scongiurai più volte di andare via, chiamando e gridando dalla finestra per farmi sentire dai vicini che gente, senza nominare persone, erano al mio uscio. Ferraro, ciò vedendo, se ne andò e si portò nella via sottostante, ove trovasi pure la sua casa e profferì al mio indirizzo delle parole sconce come “puttana fricata”, “purcella futtuta”, “se t’avessi nelle mani ti arricchierei cumu nu cane”, “puttana del bordello, il tuo culo è duro per colpi di martello”, di tal che, minacciando di non finirla, accorsero i suoi parenti e lo menarono via. Di ciò non pago, Ferraro ad alta voce disse che io non gli avevo voluto dare accesso nella mia casa. Nella sera del dieci ecco una seconda volta Ferraro accedere all’uscio di casa mia che si trovava chiuso. Avendomi forse da un forellino nella porta veduta sola al focolare, trovandosi i bambini a letto, incominciò a bassa voce a chiamarmi di nome, invitandomi replicatamente ad aprirlo ed io replicatamente lo invitai ad andarsene via. Pertinace nel suo proponimento, ecco che intraprese a praticare tra il telaio ed il muro un foro vicino alla serratura, forse col proposito di conficcarvi la mano ed aprire la porta. Io, vedendomi nel pericolo di essere violentata nel mio onore da Ferraro, non mancai nuovamente a premurarlo ad andarsene e lasciarmi in pace, non senza dirgli che lo avrei sparato, ma lui continuava ancora nella sua impresa. Ecco perché pigliai un revolver carico con sei colpi e sparai contro la porta, non già coll’intenzione di ucciderlo, ma sibbene allo scopo di risolverlo ad allontanarsi… io non mi accorsi di averlo colpito. Vidi tali fatti quando vennero i Carabinieri e mi arrestarono. È questo il genuino fatto, che per non essere abbandonata da mio marito e salvare il mio onore, confesso di avere ucciso, senza volerlo, Francesco Ferraro – e nel dire ciò consegna al Brigadiere un revolver con ancora cinque colpi inesplosi.

– Sicuro che non avete avuto relazioni illecite col Ferraro? E sicuro che non avete sparato per ucciderlo? A noi sembra il contrario…

Mi ebbi a servire dell’opera di calzolaio di Ferraro pagandolo equamente, questo è un fatto, ma di avere avuto con esso relazioni carnali è una menzogna che si vuole innestare dai malevoli per aggravare la mia condizione. Nell’orgasmo in cui ebbi a trovarmi quando sparai non posso precisare se feci partire il colpo dal forellino dell’uscio o dall’altro praticato in prossimità del telaio da Ferraro

Potrebbe essere andata così, ma gli inquirenti hanno ragione a dubitarne, per il fatto che nel legno della porta non ci sono fori provocati da proiettili, il forellino non porta i segni del passaggio di un proiettile e il foro praticato da Ferraro resta l’unica via attraverso la quale il proiettile esploso da Nicolina ha potuto colpire la vittima, ma per colpire Ferraro nell’occhio destro ad un’altezza di circa 85 centimetri dal suolo bisogna ammettere e provare che la vittima si era piegato per sbirciare dal foro e che proprio in questo momento Nicolina sparò. Volontariamente o casualmente? Le incongruenze nel racconto della donna fanno pensare ad un gesto volontario, vedremo. Magari, per capire cosa è successo davvero tra i due, basterà interrogare il figlioletto di Nicolina e poi i vicini che possono aver sentito le parole che i due si sono scambiati, perché l’ipotesi che spiegherebbe il gesto volontario è che tra i due c’era una tresca, ma davanti alla troppa insistenza di Ferraro, Nicolina si sia decisa ad ucciderlo per non fare arrivare la notizia a suo marito in America e, quindi, salvare il suo onore.

Venerdì a notte venne a picchiare alla porta Francesco Ferraro e siccome mamma stava facendo addormentare l’altro mio fratellino, andai a sentire e lui mi disse “Vieni apri”. Io lo dissi a mamma e lei non volle aprire

– Era venuto altre volte prima?

– No, a casa nostra non era mai venuto nessuno prima.

– E domenica notte cosa è successo?

Domenica venne di nuovo Ferraro a picchiare alla porta. Mamma accorse e per tre volte gli disse “Vattene via, altrimenti ti sparerò. Lui non se ne volle andare e perciò con il revorvaro che le ha lasciato tata lo sparò

La dinamica sostanzialmente è la stessa raccontata dalla madre, ma non si evince nulla sulla presunta tresca, forse perché il bambino è stato istruito dalla madre su cosa dire.

Se conosco, da un lato, la onestà ed incapacità a tradire la fede coniugale di Nicolina Presta, dall’altro mai intesi il benché minimo sospetto sul suo conto o di essere in relazioni carnali con Francesco Ferraro o con altri – esordisce la settantaquattrenne Chiara Plantedi, che continua –. Sono vicina di casa e mai, né di giorno e né di notte, mi accorsi che Nicolina avesse ammesso alcuno nella sua casa.

– A noi risulta che almeno in due notti Ferraro aveva bussato a casa della Presta. Avete sentito qualcosa?

Venerdì a notte intesi due o tre colpi di duro strumento battere in qualche porta, ma siccome non si avvertì la benché minima parola, io non me ne incaricai. Seppi nella mattina dopo che Ferraro erasi portato nella casa di Nicolina per giacere con essa lei, ma non avendo ricevuto ascolto se ne andò e dalla strada imprese a vomitare parolacce disoneste contro costei. La domenica notte, essendo sola in casa, intesi un colpo di arma da fuoco, né preceduto né seguito da alcuna parola o grida. Dopo pochi momenti Peppina Pulice venne a picchiare alla mia porta dicendomi “Vieni meco perché sento lamenti di un uomo e quindi andremo a vedere”. Io mi opposi, ma perché fui tirata per un braccio dalla Pulice mi portai nel luogo da dove quei rantoli di morte partivano, ch’è precisamente la scala della casa di Nicolina Presta, ma perché buio fu impossibile riconoscere quel cadavere. Gridai ai vicini di portare un lume, ma tutti fecero i sordi se non che dopo poco Peppina Bruno accorse con un lume, al chiaro del quale riconoscemmo essere Ferraro. Io pensai che era stato ucciso da Nicolina in seguito che si era riportato nella di costei casa per sfogare la sua libidine

I vicini confermano questa versione dei fatti, poi Maria Mercurio aggiunge qualcos’altro di interessante:

La notte dell’otto scorso sentii Ferraro, mio cugino, che ingiuriava Nicolina cantilenando parole oscene. Per evitare dispiaceri ulteriori uscii per pregare Ferraro di andarsene via. Anzi, per spronarlo vieppiù, gli dissi che lo avrei aiutato a cantare. Poi sopraggiunsero diversi altri e lo menarono via. La mattina dopo, sabato nove, fui chiamata dalla genitrice di Ferraro e commissionata ad avvertire il figlio a lasciare andare Nicolina e non più avere abboccamento con la stessa. Io accettai l’incarico e non avendolo veduto nel corso di quel giorno, la domenica mattina all’uscita dalla santa messa fermai Ferraro e con buone parole gli dissi l’occorrente, soggiungendogli che Nicolina è maritata e quindi poteva acquistare una inimicizia col marito. Egli non mi rispose, ma soggiunse “A te non come cugina, ma come germana, te lo confido: io ci sono andato anche dopo le parole dell’altra sera ed essa mi ha aperto”. Io accettai col beneficio dell’inventario tale asserto non avendoci creduto e me ne andai. La sera di domenica io non mi trovavo in casa quando successe l’omicidio, ma rientrata poco dopo seppi che mio cugino era stato ucciso da Nicolina Presta per essersi presentato per la seconda volta all’uscio della sua casa e vi voleva penetrare a forza onde giacere a coricarsi con essa lei.

Quindi, secondo le testimonianze raccolte, Francesco Ferraro, invaghitosi di Nicolina, ha tentato di instaurare una relazione sessuale con lei che, stanca di vederselo presentare alla porta di casa di notte, lo ha ucciso. Giuseppe Misasi, cognato di Nicolina, sostiene invece che qualche voce maligna era circolata e racconta:

Mia cognata è una donna onesta ed incapace a tradire l’onore del marito. Tanto costui che Nicolina, reduci nell’anno decorso dall’America, non avendo tetto, a stenti perché contro tempo, si adattarono ad abitare in un basso della casa di Luigi Ferraro, genitore di Francesco. Durante i pochi mesi che Nicolina colà abitò, nessuna parola sinistra s’intese sul suo conto, massime quando si rifletterà che il marito ripartì dopo circa pochi giorni per l’Estero. Nell’estate trascorsa io, essendo mia cognata passata nella casa attuale, intesi sussurrare qualche parola sinistra sul suo conto e non mancai di riferirle quanto sul suo conto si diceva, vale a dire di essere in relazioni illecite carnali col Ferraro, ma essa si giustificò dicendo di non aver mai dato ascolto e disprezzato il Ferraro e che se con costui si fosse qualche volta abboccata, ciò lo aveva fatto perché si serviva di lui come calzolaio. Io prestai fede a tali detti, tanto più che come suo vicino mai ebbi ad accorgermi di qualche fatto.

– E per quanto riguarda gli ultimi giorni, cosa sapete?

Dopo le parole del venerdì notte, la domenica notte sentii un colpo d’arma da fuoco e dopo pochi momenti affacciarsi mia cognata che, facendo appello ai vicini disse “Siate come testimoni che Ferraro mi è venuto ad inquietare ed a violentare la porta, al che io gli ho sparato e domani gli darò querela, essendo egli scappato”. Non credeva di averlo ucciso, come lo si rinvenne la mane seguente

La dichiarazione di Misasi è chiaramente in contrasto con tutte le altre e con tutta probabilità resa con l’intenzione di favorire Nicolina, rischiando, al contrario, di rovinarla del tutto.

La tresca tra Francesco e Nicolina, secondo i genitori della vittima esisteva e il padre racconta:

Io e mia moglie ci accorgemmo e ci rafforzammo che l’infelice e disgraziato mio figlio ebbe a stringere delle relazioni illecite e carnali con la Presta la quale, avvalendosi dell’assenza del marito, gli prodigava alla giornata degli affetti, tanto che il disgraziato corrispondeva verso di lei pari affetto, anche costruendole stivaletti e rattoppandole vecchi calzari. La Presta, dopo quattro o cinque mesi passò nell’altra casa, ove mio figlio continuò ad andare di giorno e segretamente anche di notte per sfogare la sua libidine con essa.

– E quindi, secondo voi, perché lo ha ucciso?

Lo ignoro

Potrebbe essere, ma non c’è nessuna prova e, d’altra parte, nemmeno la cugina di Ferraro crede alla tresca, come non ci crede nemmeno il Pubblico Ministero, che nelle sue richieste ribadisce con forza l’onestà di Nicolina, quindi il movente del delitto deve essere diverso dalla simulazione di voler salvare il proprio onore per non farsi ripudiare dal marito. Il Magistrato riconosce anche che a causa della fastidiosa insistenza di Ferraro, per farlo desistere fu necessità d’intervenire i parenti, ma siccome il lupo perde il pelo e non il vizio, la notte del 10 febbraio ritornò all’assalto e ne riportò uguale rifiuto. E quando cominciò a scavare il foro tra la porta ed il muro per riuscire ad aprire la porta, premurato ed insistito dalla Presta e minacciato di morte, si mostrò sordo ed ecco perché la Presta, preso il revolver del marito, tirò un colpo da renderlo immediatamente cadavere. Nicolina, quindi, sparò per uccidere senza un vero e proprio movente e non per legittima difesa perché avrebbe potuto risparmiare quella scena di sangue in quanto, se avesse praticato quanto fece nella sera dell’otto febbraio, invocando l’aiuto dei vicini, il Ferraro si sarebbe allontanato ed ella oggi non si troverebbe sottoposta a procedimento penale. La tesi è condivisa dalla Sezione d’Accusa e Nicolina dovrà essere giudicata dalla Corte d’Assise di Cosenza, ma del processo si perdono le tracce.[1]

Visti analoghi precedenti, la sensazione, ma è solo una sensazione, è che la giuria popolare ha rimesso a posto le cose, l’onore è onore!

[1] ASCS, Processi Penali.