Guido Magnabosco e Clara Belliardo si sposano l’11 aprile 1942 a Roccabruna in provincia di Cuneo, proprio negli stessi giorni durante i quali Mussolini obbedisce al diktat del suo alleato/padrone e spedisce altri due corpi d’armata nel mattatoio russo. I due sposini non hanno nemmeno il tempo di passare qualche notte insieme, che Guido viene richiamato alle armi e spedito sulle rive del placido Don. Ma il Don è tutt’altro che placido e per mesi si tinge di rosso, rosso del sangue italiano. Guido resiste, come migliaia di commilitoni, a tutte le battaglie, resiste anche alla terribile offensiva dell’Armata Rossa scatenata durante lo spaventoso, gelido inverno russo. E resiste fino al 12 luglio 1943, quando ritorna in Italia e viene spedito prima a Pulsano, in provincia di Taranto e poi, dopo la resa incondizionate dell’8 settembre 1943, a Policoro, in provincia di Matera. A Policoro, Guido, che ora ha 22 anni, conosce Giuseppina Sassone, che di anni ne ha 24. I due si innamorano e cominciano a convivere. Non si sa come capitino a Cassano Ionio, ma è certo che Giuseppina, alla fine del 1944, partorisce qui un bel maschietto. Guido è al settimo cielo e col petto gonfio di orgoglio va al Municipio di Cassano e denuncia la nascita del bambino all’ufficiale dello Stato Civile. Non ci sarebbe niente di strano, se non fosse che Guido è sposato con Clara, ma dall’atto di nascita risulta che il bambino è nato da lui e da sua moglie Giuseppina Sassone. Che Guido abbia fatto il furbo approfittando della infernale confusione che regna nell’Italia divisa in due dalla Linea Gotica? Quello che è certo è che il bambino, da illegittimo adulterino che era, ora risulta essere un figlio pienamente legittimo, che porta il cognome del padre. Chi potrà mai accorgersene?
Eppure, dopo la fine ufficiale della guerra in Europa, in quella confusione di popoli che vagano da una nazione all’altra, di famiglie che si cercano e non si trovano, di reduci che tornano e trovano le case distrutte, di comunicazioni interrotte, di città e paesi fantasma, di morti di fame ovunque, qualcuno se ne accorge: Clara! Non sappiamo come abbia fatto a saperlo, ma il 19 ottobre 1945 denuncia Guido per concubinato e alterazione di stato civile, aggiungendo che il marito, fin dai primi giorni del matrimonio l’ha contagiata di blenorragia e che da quando ha abbandonato il domicilio domestico le ha fatto mancare i mezzi di sussistenza.
Siccome, tranne il presunto contagio, gli altri reati si sono concretizzati a Cassano Ionio, il procedimento penale aperto dalla denuncia deve essere condotto dalla Procura di Castrovillari, competente per territorio. Alla chiusura delle indagini, il Pubblico Ministero chiede alla Sezione Istruttoria di dichiarare il non luogo a procedere contro i due adulteri per il reato di concubinato perché estinto in base al D.P. 22 giugno 1946, n. 4, così come, per lo stesso motivo, è estinto il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare. Però la Sezione Istruttoria, in parziale difformità con le richieste del Pubblico Ministero, il 10 aprile 1948 rinvia i due imputati al giudizio della Corte d’Assise di Castrovillari per concubinato e soltanto Guido per violazione degli obblighi di assistenza familiare e alterazione di stato.
Il dibattimento si tiene il 26 gennaio 1949 e per quanto riguarda la violazione degli obblighi di assistenza familiare, Magnabosco, interrogato in udienza, asserisce:
– Ho abbandonato il tetto coniugale perché mia moglie mi ha contagiato di blenorragia per la vita libertina che conduceva e perché con lei non avrei potuto procreare figli. Ho sempre mandato forti somme a mia moglie – termina.
Ma Clara, deponendo a sua volta, lo smentisce recisamente e, confermando il contenuto della querela, aggiunge:
– Mio marito, non solo non mi ha mai inviato nulla, ma nella sua ultima visita a Roccabruna, nel giugno del 1945, si è impossessato di quattro o cinque mila lire, che avevo risparmiato durante il di lui servizio militare e di indumenti vari. Adesso per vivere sono costretta a lavorare come persona di servizio a Torino… qua ci sono alcuni documenti che comprovano ciò che ho detto – termina mostrando dei fogli, che vengono allegati al processo.
Letti gli atti ed ascoltati i testimoni, la Corte osserva: per il reato di concubinato gli imputati sono confessi e hanno affermato in dibattimento di vivere ancora insieme e di avere avuto un altro figlio, denunciato però allo stato civile di Cesano Maderno con il cognome della madre. Ciò premesso, poiché il delitto di concubinato non è un reato istantaneo né un reato continuato, ma un reato permanente perché il fatto in che il reato consiste si protrae nel tempo ed il comportamento del colpevole ne protrae altresì la consumazione; poiché è canone ormai pacifico in dottrina che nei reati permanenti la querela investe anche l’attività che perdura dopo la presentazione di essa e che solo la sentenza di primo grado spezza la permanenza del reato, ne consegue che nella specie non è applicabile l’amnistia, avendo i due imputati persistito nella loro attività criminosa anche dopo il decreto di clemenza succitato. Ugualmente deve concludersi per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, anche esso permanente, protratto oltre la data del decreto di amnistia e non essendo intervenuta sino ad oggi alcuna sentenza che ne abbia interrotto la permanenza. Guai in vista.
Poi la Corte passa ad esaminare il reato di alterazione di stato, addebitato al solo Guido Magnabosco e osserva: dall’estratto del registro degli atti di nascita risulta che Magnabosco avrebbe dichiarato all’Ufficiale dello stato civile di Cassano Ionio che “il 14.12.1944 alle ore 2 e minuti… nella casa posta in contrada Porcile, da Sassone Giuseppina… moglie di esso dichiarante era nato un bambino” ecc. ecc. L’imputato, sin dal suo primo interrogatorio, ha affermato che, recatosi personalmente per denunziare la nascita del figlio dall’ufficiale dello stato civile di Cassano, avendogli questo chiesto se il nato fosse suo figlio, egli aveva risposto affermativamente e che alla domanda dello stesso funzionario come si chiamasse la madre del bambino, si era semplicemente limitato a dire: “Sassone Giuseppina”. In dibattimento ha precisato ancora che non era stato egli a qualificare la Sassone come sua moglie, ma l’ufficiale di stato civile il quale, avendo visto la sua carta d’identità in cui figurava “ammogliato” senza che il nome della moglie apparisse, aveva supposto, evidentemente, che la Sassone, perché madre del bambino denunziato, fosse la sua legittima consorte, senza rivolgergli specifica domanda al riguardo e senza che egli si fosse accorto, nella stesura dell’atto, che tale qualifica quello aveva dato alla sua concubina. Ritiene la Corte che la versione di Magnabosco può essere verosimile, considerato specialmente che lo stesso è un operaio ignaro delle disposizioni di legge che regolano la denunzia dei nati allo stato civile e che la nascita e la denunzia del figlio sono avvenute in Cassano Ionio, paese ove sia l’imputato che la Sassone si trovavano temporaneamente ed erano pressoché sconosciuti, onde è possibile che l’ufficiale dello stato civile che ha rogato l’atto sia caduto, in effetti, in un involontario errore, non rilevato nemmeno dopo la stesura dell’atto medesimo dal Magnabosco, il quale, come di solito avviene, si sarà limitato solo a firmarlo. Poiché nella specie il reato si concreterebbe nel fatto di avere, l’imputato, attestato falsamente che la Sassone era sua moglie al fine di attribuire al figlio uno stato civile diverso sa quello che per legge gli sarebbe spettato, non essendo certo che l’imputato abbia fatto tale attestazione, ritiene la Corte di assolverlo con formula dubitativa dal reato stesso.
Quindi resta solo da determinare la pena da infliggere per gli altri reati: Guido Magnaboschi, per i reati di concubinato e violazione degli obblighi di assistenza familiare, viene condannato a mesi 8 di reclusione, oltre alle spese; Giuseppina Sassone, per il reato di concubinato, viene condannata a mesi 4 di reclusione. Poi la Corte aggiunge: poiché piacerebbe che i due imputati, incensurati, si astenessero dal commettere ulteriori reati, concede agli stessi la sospensione condizionale della pena per anni cinque, alle condizioni di legge.
La Suprema Corte di Cassazione, il 30 maggio 1953, dichiara inammissibile il ricorso degli imputati.[1]
Vista l’esiguità della pena e la concessione della sospensione della pena, il fatto di aver ricorso per Cassazione fa pensare che Giuseppina e Guido non hanno nessuna intenzione di rispettare il “consiglio” della Corte perché il loro amore è più forte di qualche mese di eventuale galera!
È il caso di ricordare che solo nel 2012 la “riforma della filiazione” (legge 10/12/2012, n. 219/2012) ha equiparato i figli nati nel matrimonio a quelli nati fuori dal matrimonio, che ora hanno gli stessi identici diritti. Quindi, in questo contesto, sia che il padre ne riconosca volontariamente la paternità, sia che la paternità venga riconosciuta coattivamente attraverso la prova biologica, il nascituro è a tutti gli effetti un figlio e quindi gode degli stessi diritti di quelli nati in costanza di matrimonio.
I figli sono tali a prescindere dal legame che ha portato al loro concepimento, quindi anche nel caso di “figli adulterini”. Questo principio non vale solo nel caso di incesto, cioè di concepimento tra parenti in linea retta (genitori-figli e/o tra fratelli) o collaterale (suocera-genero o nuora-suocero).
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte di Assise di Castrovillari.