Maria Fata da Carolei ha ventidue anni, è una ragazza ingenua e lavora in contrada San Martino come assistente i mastri muratori in una fabbrica del signor Salvatore Quintieri.
Francesco Filice, quarantaquattro anni, è il factotum del signor Quintieri e sovrintende ai lavori di costruzione del fabbricato.
È la metà del mese di novembre del 1907 e i lavori proseguono speditamente. Maria sta portando della calce ai muratori e Francesco Filice la chiama:
– Marì, fai questo viaggio e poi vieni con me nella casina ché devi fare un servizio.
La ragazza fa cenno di aver capito, consegna la calce e segue Filice che, una volta entrati, chiude la porta alle sue spalle.
– Che devo fare? – gli chiede Maria.
– Nell’altra stanza… – le risponde. facendole segno di entrare.
Nella stanza c’è un lettino, Maria si guarda intorno non capendo cosa ci sia da fare visto che è tutto in ordine e proprio in questo momento Filice la spinge sul letto e le si butta addosso. Maria resiste quanto può ma poi, abbattuta e presa da spavento, d’altra parte ha su di sé un uomo forte che le tiene la bocca chiusa con una mano, non sa più resistere e l’uomo, con violenza, soddisfa i suoi turpi desideri. Quando la ragazza si riprende dallo sbigottimento, Filice la minaccia di non dire nulla, anzi le promette ogni aiuto finanziario, assicurandola che l’avrebbe fatta sposare e che avrebbe provveduto a tutto ad evitare qualsiasi scandalo.
E con queste lusinghe e promesse, Filice riesce a mantenere tranquilla la povera Fata, che nasconde tutto l’accaduto ai suoi. Ma Filice, dopo aver soddisfatto le sue voglie bestiali, non mantiene nessuna delle sue tante promesse e Maria, che è incinta ormai di sei mesi, non può più nascondere la sua condizione ai genitori, così il 29 maggio 1908 va in Procura a Cosenza e sporge querela contro Francesco Filice.
– Filice, per tacitare ogni cosa, mi promise trecento lire, ma io non ho potuto accettare tale meschina proposta, che non può compensarmi dell’onore perduto, tanto più che per la violenza passata ho perduto l’occasione di sposarmi con un giovane che mi voleva bene e col quale avevamo stabilito di sposarci nel prossimo Natale – precisa Maria.
– Ma è successo solo quella volta? – le chiede il Magistrato.
– Dopo la prima violenta consumazione, Filice divenne padrone della mia volontà e mi possedette più volte, sino ad aprile decorso.
Serve una perizia medica, anche se è passato troppo tempo per potere osservare le tracce della violenza, infatti il dottor Enrico Petrone, certifica: allo stato attuale non sono in grado di giudicare se vi fu violenza all’epoca della congiunzione carnale che la Fata dice di avere patita, perché presentemente non vi sono tracce di violenza sul corpo di lei. Dai caratteri dell’imene si può argomentare che la deflorazione è avvenuta da parecchi mesi, ma non posso con precisione se erano sette, otto od anche di più. Posso giudicare però che dallo stato della vagina e dell’imene, la Fata ha avuto diversi accoppiamenti, come pure posso con sicurezza giudicare dalla mancanza di cicatrici lineari di colore argentino sulle pareti addominali, che non ha avuto altre gravidanze.
Certo, questo stato di cose non è d’aiuto alla querela fatta da Maria, e non aiuta nemmeno il fatto che le persone chiamate a testimoniare dicono di non sapere nulla della violenza, anche se la definiscono come una giovane onesta, di ottimi costumi e d’indole quieta.
Viene ascoltato anche il giovane promesso sposo, Saverio Sorbo, che racconta:
– Amoreggiavo con Maria ed avevamo stabilito di sposarci verso la fine di quest’anno. Intanto, un mese e messo fa, verso la metà di maggio, la madre di lei mi chiamò e mi disse che sua figlia aveva capitata una disgrazia ed in così dire mi raccontò che Francesco Filice aveva resa incinta Maria. Io provai un grande dolore nell’apprendere tale notizia e ho per necessità abbandonato l’idea di sposare Maria, cui volevo molto bene e ne ero ricambiato. Ho ragione di credere che Filice dovette con violenza soddisfare le sue voglie su Maria perché noi eravamo grandemente affezionati reciprocamente e non posso ritenere che Maria si fosse data a Filice con facilità. Maria è una giovane buona ed onesta, d’indole molto quieta e docile. Maria ha lavorato presso i mastri muratori nella casina del signor Salvatore Quintieri negli ultimi mesi dell’anno decorso e fino a tutto aprile di quest’anno.
Poi arriva un foglio con informazioni riservate raccolte dal Brigadiere Antonio De Marchi: in generale, fra le persone dabbene di Carolei Fata Maria merita piena credibilità circa la violenza che assume di avere patito dal Filice. Buona risulta la moralità precedente della Fata e della famiglia di lei, tranne una sorella, la quale fu per parecchio tempo in relazioni intime con una persona di Carolei e poi venne abbandonata.
Ciò che sorprende in questa vicenda è che, dopo un mese dalla querela, a nessuno ancora è venuto in mente di convocare Francesco Filice per sentire cosa ha da dire. E allora ci pensa Filice stesso a dare la sua versione dei fatti, non di persona, ma mediante una lettera indirizzata al Procuratore del re:
Sono venuto a conoscenza che a mio carico il Pretore di Dipignano istruisce un processo per congiunzione carnale, dietro querela di tale Maria Fata. E poiché costei tenta una bassa e volgare speculazione contro di me, faccio vive premure per essere interrogato onde sventare la losca trama che si è ordita per inqualificabili fini da una donna verso cui non ebbi mai alcun rapporto, non dirò di intimità, ma di amicizia soltanto.
Nonostante la richiesta di essere interrogato, nessuno gli fa recapitare un mandato di comparazione ma, anzi, il Procuratore del re, il 2 luglio 1908, annota a margine della lettera di trasmissione degli atti inviatagli dal Pretore: Poiché, ad eccezione delle lagnanze della Fata e della madre e fatte in tempo molto posteriore al reato, dagli atti non emergono altri indizi che diano un colorito di verità a tali lagnanze e specialmente circa la violenza, indispensabili nella specie. Poiché non è il caso, a base di tali sole lagnanze non immediatamente conquestate, emettere provvedimenti a carico del prevenuto, chiede che si dichiari, per insufficienza di indizi, non luogo a procedimento contro Filice Francesco.
Dopo soli tre giorni, il 5 luglio, il Giudice Istruttore emette la sentenza: Atteso che le sole incolpazioni e le conquestioni che Fata Maria e la madre sua ebbero sul fatto con parecchie persone non sono sufficienti indizi di responsabilità, in specie se si tien conto che per ben cinque mesi nessun lamento fu mosso contro Filice, anche a voler ritenere che lo stato di gestazione della Fata sia conseguenza di accoppiamenti avuti col Filice, mancherebbe sempre la prova della violenza, estremo essenziale integratore del reato. Per questi motivi dichiara non farsi luogo a procedimento penale contro Filice Francesco per insufficienza di indizi.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.