È già buio l’8 novembre 1928 quando alcune persone urlano davanti alla caserma dei Carabinieri del rione Sbarre a Reggio Calabria. Urlano per avvisare i militari che poco prima, sullo stradale da San Sperato al rione Modena, una donna è stata ferita gravemente a colpi di rivoltella ed è stata portata in ospedale da un mezzo dei Pompieri.
Il Maresciallo Francesco Pagano e due Carabinieri si precipitano sul luogo del fatto e accertano che i protagonisti della questione sono il trentanovenne stagnino, pregiudicato, Mariano Siclari soprannominato lo zoppo e la quarantaduenne prostituta Giovannina Turano. Siccome la casa di Siclari non è lontana, Pagano e i suoi uomini lo vanno ad arrestare, ma non lo trovano e tornano in caserma, dove dopo pochi minuti il ricercato si costituisce e viene subito interrogato:
– Circa due anni addietro ebbi relazioni intime con Giovannina Turano, con la quale condussi vita quasi maritale per circa sei mesi. Dopo di ciò, avendo pensato bene che quella vita non potevo menarla essendo sposato con figli, pensai di abbandonare Giovannina ed unirmi con mia moglie e, per non avere più relazioni con lei, mi allontanai dalla città e mi sono stabilito con la mia famiglia nella frazione San Sperato. Però di questo allontanamento Giovannina non volle darsi per vinta e spesso mi richiedeva venendomi a cercare fino a San Sperato quasi ogni giorno, ma io non volevo saperne più di essa perché, come ho detto, ammogliato con tre figli ed era mia intenzione di mettermi sulla buona via dopo un passato burrascoso. Il 25 settembre 1927 verso le ore venti circa, mentre ero intento a mangiare con mia moglie, si presentarono tre sconosciuti. Due rimasero fuori la porta ed il terzo, armato di bastone, mi percosse di santa ragione, producendomi lesioni per le quali rimasi a letto centocinque giorni, dandosi poscia alla fuga unitamente agli altri rimasti fuori. Dopo molti mesi dalla guarigione incontrai Giovannina e questa mi disse che era stata lei a mandare quei tre a bastonarmi, ma non volle farmi i nomi. Circa quattro mesi addietro, incontratomi con Giovannina, mi disse che se ritornavo con lei mi avrebbe detto chi erano i tre che mi avevano bastonato ed allora io, per venire a conoscenza chi erano costoro, un giorno mi recai a Messina con Giovannina, che aveva espresso il desiderio che ci dovevamo stabilire a Messina. Abbiamo trascorso insieme la giornata. Verso sera, chiestole il nome dei tre, essa si rifiutò ed allora io la percossi con sassi, producendole lesioni alla testa, per le quali rimase ricoverata in un ospedale di quella città per quindici giorni, mentre io mi costituii in quella Questura, raccontando i fatti. Dopo tre giorni fui rilasciato e rimpatriato con foglio di via obbligatorio. Giovannina, guarita, tornò a Reggio e quasi ogni giorno mi veniva a cercare, ma io alle sue richieste non volli mai aderire. Oggi, poco prima del tramonto, si presentò a casa mia una donna che non conosco, pregandomi di seguirla fino nei pressi della polveriera di Modena perché colà era caduto un suo fratello che si era rotto una gamba e gli dovevo fare un gambale di latta per l’ingessatura della gamba. L’ho seguita, ma dopo pochi passi un ragazzo mi avvertì di non andare in giù perché verso la polveriera mi attendeva Giovannina. A questo avviso tornai a casa, presi la rivoltella e seguii la donna. Quando giungemmo a circa trecento metri dalla polveriera di Modena incontrai Giovannina con la quale ebbi un vivace alterco e poscia, perduta la pazienza, estrassi la rivoltella e le sparai contro tre colpi facendola cadere al suolo, io tornai a San Sperato e la donna sconosciuta si allontanò verso Reggio. Preciso che prima di sparare ho colpito Giovannina con la parte posteriore del compasso di cui ero fornito.
– Volevi ammazzarla?
– Ho sparato con tutta l’intenzione di ucciderla per non più vederla e levarmela di torno, stanco delle seccature che mi recava ogni giorno…
Insomma, esasperato dall’insistenza di Giovannina, ha perso la testa. Ottenuta la dichiarazione di Siclari, il Maresciallo corre in ospedale a sentire cosa ha da dire la ferita, ma bisognerà aspettare il giorno dopo perché Giovannina non è in condizioni di rispondere. Quando parla le cose non sembrano essere andate come ha raccontato il feritore.
– Circa due anni fa mi sono unita con Mariano Siclari e per circa sei mesi fui la sua amante. Poscia, dopo che Siclari mi spillò tutti i miei risparmi, mi abbandonò unendosi con la moglie, però di quando in quando mi veniva a trovare. Da circa sei mesi mi abbandonò completamente dato che io ero caduta nella miseria perché tutti i miei averi se li aveva consumati lui. Vistami abbandonata e non avendo alcun mezzo onde potermi sfamare perché ridotta nella vera miseria, spesso andavo a pregarlo che mi desse qualcosa per sostenermi, dato che la mia miseria era colpa sua, ma non volle più saperne di me.
– È vero che andaste insieme a Messina perché volevi trasferirti lì con lui?
– Circa quattro mesi orsono Siclari mi accompagnò a Messina dicendomi che colà mi aveva trovato un posto presso un padrone e abbiamo trascorso insieme la giornata. Verso sera, anziché accompagnarmi dal padrone, mi accompagnò nei pressi del cimitero dove con sassi mi percosse, producendomi varie lesioni alla testa, per le quali rimasi ricoverata in ospedale per quindici giorni. Dimessa dall’ospedale tornai a Reggio e quasi ogni giorno gli mandavo imbasciate perché mi sovvenisse in qualche modo, ma nulla volle sapere al riguardo.
– E ieri?
– Ieri mi recai a San Sperato in compagnia di una donna che abita a Borrace, ma non so il nome. Io mi fermai all’inizio del paese mentre la donna si recò a chiamare Siclari e poco dopo arrivarono insieme ove io mi trovavo… Mariano, alla mia vista, non fece altro che inveire contro di me estraendo un pugnale da tasca, che io gli ho preso, ma egli, estratta la rivoltella mi sparò tre colpi lasciandomi al suolo e allontanandosi verso San Sperato, mentre la donna, impaurita, si allontanò verso Reggio.
– Siclari ha detto che mandasti a casa sua tre uomini che lo bastonarono. Chi sono?
– Non li ho mai conosciuti… – poi fa segno di non essere più in grado di parlare, così il Maresciallo va a perquisire la casa di Siclari e rinviene la rivoltella di tipo militare, calibro 10,35, usata per ferire Giovannina, con ancora dentro sia i tre bossoli esplosi, sia altri tre proiettili inesplosi e altri sei proiettili accanto all’arma detenuta illegalmente. Poi torna sul luogo del delitto per svolgere altre indagini e da qualche informazione che raccoglie in giro viene a sapere che al ferimento era sicuramente presente il sessantaseienne capraio Andrea Sollima.
– Mentre in contrada Modena ero intento a lavorare la terra, arrivò sullo stradale di San Sperato Giovannina Turano che si mise a passeggiare in su e in giù. Poco dopo vidi arrivare da San Sperato lo stagnino Mariano Siclari, in compagnia di una donna che non conosco, e non appena Siclari si avvicinò alla Turano non fece altro che inveire contro di lei colpendola con il compasso. Accortomi di questo atto invitai Siclari a smetterla di percuotere quella disgraziata, ma egli continuò ed io mi allontanai. Quando avevo fatto pochi passi udii tre distinti colpi di rivoltella che Siclari aveva sparato contro la Turano. Lo vidi con l’arma in mano allontanarsi verso San Sperato, mentre la Turano, sanguinante, si avviò verso Reggio.
– E la donna che accompagnava Siclari?
– Alla vista della questione si avviò correndo verso Reggio…
Viene rintracciato anche il ragazzino che avrebbe avvisato Siclari della presenza di Giovannina. È l’undicenne Diego Costantino, che racconta:
– Verso le quattro di ieri pomeriggio una donna mi disse di avvertire Mariano Siclari di non andare in giù, cioè verso la polveriera, perché colà si trovava Giovannina Turano ad attenderlo.
Il Maresciallo torna in caserma per redigere il verbale che conclude con queste parole:
Il Siclari è un pessimo soggetto pregiudicato incorreggibile e ha un triste passato con la giustizia.
Subito dopo viene raggiunto dalla notizia che Giovannina Turano è morta per il processo infiammatorio settico causato dalle ferite all’intestino e al peritoneo, per cui la peritonite settica. E per fugare ogni dubbio, i periti aggiungono: nessun’altra causa, preesistente o susseguente, ha contribuito a determinare la morte.
Adesso si procede per omicidio volontario. Le indagini del Maresciallo Pagano proseguono per individuare la donna sconosciuta e alla fine i suoi sforzi vengono premiati: si tratta della quarantenne Santina Cittadino, ma è irreperibile. Intanto ad occuparsi del caso ora sarà il Maresciallo Luigi Romano perché Pagano è stato trasferito ad altro incarico.
In attesa di rintracciare la donna, il Maresciallo Romano concentra i suoi sforzi nell’individuazione dei tre che aggredirono Siclari, ma deve arrendersi perché in San Sperato regna la completa omertà. Si ritiene che gl’individui che lo percossero sono persone di malavita ed anche amici di Siclari e che si siano vendicati per non aver diviso bene fra loro i proventi di furto, cui il Siclari era dedito, e perciò il Siclari teme a dichiararlo per non essere compromesso maggiormente. Come pure si ritiene che lo stesso non vuole riferire i nomi dei suoi aggressori per puro senso di omertà, volendosi vendicare.
Anche Giovannina era sposata e così viene ascoltato, nel carcere di Pianosa dove è detenuto, anche il marito Pietro Vilasi, che dichiara di non sapere nulla né sulle relazioni tra Giovannina e Siclari, con il quale aveva rapporti di commercio, né sul movente dell’omicidio, trovandosi da due anni in carcere. Poi termina:
– Non ho niente altro da aggiungere e non ho alcuna istanza da fare alla giustizia.
Santina Cittadino, la donna che accompagnò Giovannina il giorno del delitto, viene finalmente rintracciata e interrogata il 7 gennaio 1929, due mesi dopo il delitto e racconta:
– Avendo appreso che un mio paesano, soldato che prestava servizio al Trabocchetto, si era fatto male non so se ad una gamba o ad un braccio, pregai Giovannina Turano, che conoscevo, d’indicarmi l’abitazione di uno stagnino. In sua compagnia mi recai a San Sperato e ad un certo punto Giovannina m’indicò la casa dello stagnino. Ella si fermò ed io andai dallo stagnino; gli proposi di venire con me per prendere la misura del gambale, egli accettò la proposta e si accompagnò con me per un bel tratto. In un certo momento egli, avendo scorto Giovannina, la raggiunse di corsa e cominciò a prenderla a schiaffi. Io subito cambiai strada e non vidi quando quello stagnino sparò la Turano, ma intesi le esplosioni.
– Mentre eravate con lo stagnino, pare che un ragazzo l’avvertì che la Turano lo stava aspettando, è così?
– Non mi accorsi che alcun ragazzo abbia avvertito lo stagnino che vi era Giovannina ad attenderlo, solo, nel momento in cui mi trovavo nella sua bottega, vidi lo stagnino prendere un oggetto e conservarlo in saccoccia…
– Quando camminavate insieme allo stagnino, lui è tornato alla bottega e poi vi ha raggiunta di nuovo?
– Non vidi affatto lo stagnino tornare indietro.
– Un’ultima cosa… il militare di cui avete parlato prima, lo avete visto con i vostri occhi che aveva una gamba rotta o ve lo hanno detto e vi hanno incaricato di trovare uno stagnino?
– Non vidi affatto il soldato ammalato e di mia iniziativa mi recai a casa dello stagnino per incaricarlo del gambale…
L’ultima risposta convince il Pretore che Santina potrebbe non aver detto la verità e la mette a confronto con il ragazzo, Diego Costantino, perché se Siclari, come imprudentemente dichiarò ai Carabinieri, fosse tornato indietro a prendere la rivoltella si potrebbe anche configurare l’aggravante della premeditazione, mentre se la rivoltella l’aveva già in tasca – magari per difendersi da un’altra aggressione da parte dei suoi “amici” della malavita – il delitto sarebbe sicuramente d’impeto.
Costantino a Cittadino: Effettivamente Siclari, quando fu da me avvertito che la Turano lo attendeva, rientrò in casa e poi uscì. Voi eravate dentro…
Cittadino a Costantino: Io in verità non mi accorsi dell’avvertimento che hai potuto dare fuori a Siclari, giacché mi trovavo dentro a discorrere con la moglie…
Costantino a Cittadino: Voi effettivamente eravate dentro e siete poi uscita col Siclari.
Nessuno lo ha visto prendere la rivoltella, quindi resta solo la dichiarazione di Siclari ai Carabinieri. Vedremo come si metteranno le cose.
Le cose si mettono che la Procura non ravvisa gli estremi per aggravare l’omicidio e chiede il rinvio a giudizio di Siclari per omicidio volontario, porto abusivo di arma da fuoco e omesso pagamento della tassa di concessione per le armi.
Il 4 giugno 1929 la Sezione d’Accusa presso la Corte d’Appello di Messina, nel rinviare l’imputato al giudizio della Corte d’Assise di Reggio Calabria, ricostruisce con precisione tutta la vicenda, ma a noi interessa sapere come i due amanti si conobbero: nel 1926 Mariano Siclari, avendo stretto amicizia con Pietro Vilasi ne frequentava la casa. Vilasi dopo qualche mese venne tratto in arresto per furto e allora Siclari, approfittando dell’assenza dell’amico, riusciva a sedurgli la moglie, Giovannina Turano, e a convivere maritalmente con la medesima per circa sei mesi, nonostante fosse sposato e avesse dei figli. Lo scopo era quello di spillare alla povera Turano i forti risparmi che essa teneva e anche il ricavato della vendita di pochi oggetti di biancheria. Il resto lo conosciamo.
La causa si discute il 17 ottobre 1929 e non ci sono sorprese. La Corte. negata la sussistenza dell’attenuante dello stato d’ira per fatto ingiusto della vittima chiesta dalla difesa, accorda le attenuanti generiche e condanna Siclari Mariano alla pena di anni 16, mesi 8 e giorni 20 di reclusione, oltre alle spese e pene accessorie. Danni da rifondere non ce ne sono perché il marito di Giovannina non si è costituito parte civile.[1]
Non risultano ricorsi dell’imputato.
[1] ASRC, Corte d’Assise di Reggio Calabria.