Giovanni Lombardo è stato abbandonato alla nascita ed è stato affidato alle cure della famiglia di Carmine Zicarelli a Palazzello di Lattarico. Giovanni viene cresciuto come un figlio e lui si affeziona particolarmente a Francesco, figlio legittimo degli Zicarelli, più grande di lui di una decina di anni e crescono letteralmente come fratelli.
Poi Francesco sposa Vincenza Massimilla e va ad abitare per conto suo, ma l’amore tra i fratelli di latte resta immutato, se non ancor più rafforzato. Un esempio? Quando Francesco va Allamerica e Giovanni si è sposato ma se la passa male, gli manda i soldi per comprare due buoi e risollevare, così, le sue sorti. Giovanni, da parte sua, riconoscente per l’opportunità che il fratello di latte gli ha regalato, decide di dividere gli utili del suo lavoro con Vincenza, sua “cognata” e tutti vivono d’amore e d’accordo.
Quando nel mese di aprile 1900 Francesco torna a Palazzello, la smania di andare a cercare fortuna oltreoceano viene a Giovanni, ma non ha il denaro necessario per l’avventura e quindi a chi rivolgersi se non al suo amato fratello di latte?
– Francì, mi servono duecento lire per andare Allamerica. Non te le sto chiedendo come regalo, ma come prestito…
– Giuvà, non credo che fra noi ci sono problemi.
Forte di questa promessa, Giovanni smette di lavorare per prepararsi alla partenza, che ritiene ormai prossima. Ma non sa che tra lui ed il suo sogno americano c’è un ostacolo: Vincenza la moglie di Francesco, assolutamente contraria al prestito.
– Duecento lire? Sei impazzito? E se poi non te le restituisce il futuro dei nostri figli è compromesso!
– Ma è mio fratello…
– Ma che fratello e fratello! Se gli dai i soldi me ne vado!
Francesco però non demorde e torna alla carica il 30 maggio 1900, mercoledì, ma trova ancora l’ostinata opposizione di Vincenza e alla fine sbotta:
– Te ne farò pentire!
Una minaccia o una di quelle cose che in un momento di rabbia si dicono senza pensarci?
Domenica 3 giugno. Le famiglie di Francesco Zicarelli e di Giovanni Lombardo vanno a Lattarico a messa. Quando escono e si avviano verso Palazzello, gli Zicarelli si fermano nella proprietà del signor De Gattis per raccogliere foglie di gelso da dare ai bachi da seta e fare un po’ di legna per cucinare, mentre i Lombardo li sopravanzano e tornano a casa.
– Carminè, tu prendi il sacco di foglie, tua madre prende la fascina di legna e vi avviate a casa per preparare da mangiare – sono circa le 16,30 quando Francesco Zicarelli ordina alla figlia undicenne e alla moglie di tornare a casa – io finisco qua e vi raggiungo.
Più o meno un’ora prima, il dodicenne Vincenzo D’Agostino sta facendo pascolare i maiali del signor De Gattis qualche centinaio di metri più sopra degli Zicarelli e vede, ancora qualche decina di metri più sopra, Giovanni Lombardo che con una scure sta decorticando un albero di castagno. Protesta vivacemente perché sta calpestando il seminato e Lombardo, senza rispondere, si sposta più in là, sotto un ciliegio posto quasi al limite della stradina che porta a Palazzello, mettendosi a guardare la strada verso il basso, mentre il ragazzino si avvia con i maiali verso il paese.
Carminella e Vincenzina procedono in salita con i loro carichi sulla testa, arrivano al ciliegio e lo sorpassano, quando alle loro spalle, con un balzo felino, appare Giovanni Lombardo che tiene la scure alzata sopra la testa.
Poi l’urlo straziante di Carminella:
– Ha ammazzato a mamma!
Nicola Zicarelli sta lavorando poco distante, non ha visto cosa è accaduto ma ha sentito le urla e corre in quella direzione; incontra Giovanni Lombardo che corre verso di lui e che non appena lo vede cambia repentinamente direzione e sparisce. Anche Vincenzo D’Agostino ha sentito le urla e torna indietro, mentre Carminella corre verso suo padre urlando.
Vincenzina giace a terra in un lago di sangue, poggiata sul fianco sinistro. Ha la testa quasi irriconoscibile e accanto al corpo c’è una scure insanguinata; i due testimoni non hanno il coraggio di osservarla da vicino, ma si precipitano ad avvisare il Sindaco di Lattarico, che telegrafa ai Carabinieri di Montalto Uffugo e poi corre sul posto. In attesa dei militari, del Pretore e del medico legale, il Sindaco fa piantonare il cadavere da una guardia municipale e intanto di Giovanni Lombardo non ci sono tracce.
– A prima vista si osserva una lunga ferita da scure nel centro della faccia destra, altro colpo sull’orecchio destro, altro sulla nuca, altro sulla spalla ed altro sulla schiena. Sarò più preciso in sede di autopsia – dice il dottor Adolfo Turano.
E infatti il referto che stila dopo aver sezionato il cadavere è veramente impressionante.
Cadavere di sesso femminile dell’apparente età di 35 anni, di sviluppo organico, muscolare e scheletrico regolare, con abbondante pannicolo adiposo, capelli castagni arruffati ed intrisi di sangue. Mostra sul corpo le seguenti ferite:
1° Sulla testa una ferita lunga centimetri nove in direzione obliqua, il cui centro attraversa il bregma (Punto di congiunzione dell’osso frontale con i due parietali sul vertice del cranio: nel neonato si presenta non ossificato. Nda) e taglia nettamente l’uno e l’altro parietale mettendo a nudo il cervello.
2° Altra ferita da taglio, lunga otto centimetri e mezzo, che si estende dall’angolo del mascellare sinistro fino al lobo superiore dell’orecchio. Tale ferita taglia nettamente la branca ascendente del mascellare inferiore l’apofisi coronoide del condilo (sporgenza con cui termina anteriormente la porzione verticale della mandibola inferiore. Nda).
3° Altra ferita situata sulla nuca che taglia il cervelletto e tutti i muscoli superficiali e profondi sulla nuca.
4° Da questa parte una ferita lunga centimetri sei che va a tagliare nettamente in due il lobo inferiore dell’orecchio, spartendo pure in due l’orecchino. Ambedue le ferite danno l’aspetto di una Y.
5° Parallelamente a questa ultima ferita e più sotto, altra ferita lunga cinque centimetri rompe l’occipitale e lede il cervelletto.
6° Altra ferita sull’articolazione omero scapolare di destra lunga sei centimetri che scolla i tessuti fino all’osso.
7° A due dita traverse, a sinistra della colonna vertebrale e ad essa parallela, nella regione lombare si nota una ferita di nove centimetri, che va fin nel polmone, che fuoriesce.
Quindi, oltre le cinque ferite riscontrate a prima vista ce ne sono altre due, tutte inferte con estrema violenza e rabbia. A questo punto il dottor Turano, studiate attentamente tutte le lesioni, è in grado di stabilire quali siano state le ferite mortali e di conseguenza le modalità dell’aggressione:
Gravissime tutte, però quella dell’articolazione omerale e quelle della faccia non mortali, quelle sul cranio produssero la morte istantanea. Studiando la posizione delle ferite, colpisce come una sola di queste, quella lombare, sia in direzione perpendicolare, mentre le altre oblique. Accertato che lo strumento che le ha prodotte sia la scure, possiamo fare l’induzione che l’obliquità di esse dipende dalla posizione che ha preso il feritore rispetto alla paziente. E propriamente all’infelice, caduta in decubito laterale sinistro, il feritore, stando in piedi inferiva la 1, 2, 4, 5 e 6 sul capo, sulla faccia e sull’omero tenendo dritta la scure; e da poi, facendo un movimento di scure, proprio dei taglialegna, fletteva la mano destra sulla sinistra e inferse la ferita alla nuca. Se ne ricava inoltre che, essendo la settima ferita quella diritta, questa sia stata prodotta mentre la paziente era in piedi ed era di tale gravezza che ha fatto cadere la donna. Parrebbe dunque che la donna abbia tentato di scappare e che, raggiunta e ferita dapprima alle spalle, sia caduta e dopo di che il feritore si sia saziato del sangue inferendole le altre ferite. Dunque, la morte fu causata dalla ferita alla regione lombare e da quelle sul cervelletto e cervello. Orrore.
In attesa di rintracciare e arrestare Giovanni Lombardo, viene ascoltata Carminella Zicarelli, la figlia della povera Vincenzina e unica testimone oculare dell’omicidio, ma è una bambina che ha assistito a quell’orrore e non riesce a raccontare molto:
– Quando ritornavamo ho visto Giovanni Lombardo poggiato ad un ciliegio e quando gli fummo vicino si avventò contro mia madre e le vibrò vari colpi di scure, uccidendola. Perché io gridavo e chiamavo mio padre, minacciò anche me, ma poscia si dava alla fuga…
Suo padre, Francesco Zicarelli. È il caso di ascoltarlo perché può chiarire molti aspetti di questa brutta vicenda:
– Giovanni Lombardo è stato allevato da mia madre come proietto e poscia fino a circa diciassette anni siamo rimasti in unica famiglia. Egli prese moglie come ho fatto io e ciascuno aprì famiglia da sé, ma ci siamo amati sempre come fratelli di latte, tanto vero che mentre io ero in America mandai a mia moglie una somma con obbligo formale di comprare un paio di bovi a Giovanni perché potesse vivere, essendo bastantemente misero. Si comprarono i bovi che erano a proprio profitto di Giovanni. In aprile ultimo sono tornato dall’America e sin d’allora Giovanni ha continuamente insistito per avere da me prestato il viaggio per emigrare. Io avrei voluto contentarlo, ma mia moglie si è sempre opposta ritenendo pericolose le duecento lire che gli avrei potute prestare. La settimana scorsa, se non erro era mercoledì, Giovanni insistette per avere le duecento lire e mia moglie, come al solito, vi si oppose e fu allora che Giovanni disse che l’avrebbe fatta pentire…
Poi si presenta Demetrio Zinga e le cose che racconta, per gli inquirenti, illuminano la tragedia di una luce ancora più sinistra:
– Il sei maggio nella fiera di San Benedetto io, Francesco Zicarelli e Giovanni Lombardo abbiamo comprato una scure ciascuno. Martedì scorso, 29 maggio, ho visto Lombardo che affilava la scure comprata alla fiera ed io l’ho aiutato in tale affilamento. Quando ho visto la scure trovata accanto al cadavere di Vincenzina, è stata da me perfettamente riconosciuta per quella affilata da Lombardo e da me.
Ciò vorrebbe dire che, avendo affilato la scure sei giorni prima del delitto, ha premeditato il delitto. La conferma di questa ipotesi viene dalle deposizioni di Natale Pellegrino e Gaetano Presta.
– Venerdì scorso, primo giugno, Giovanni Lombardo capitò in casa mia e gli domandai se fossero terminate le quistioni pel denaro – ricorda Natale Pellegrino –. Mi rispose che Francesco Zicarelli s’era deciso, in fine, a dargli cento lire, ma la moglie si era rifiutata e Lombardo mi disse: “Questo denaro non se lo godrà!”. Giorni prima si era ancora con me lamentato verso il fratello di latte perché si faceva troppo comandare dalla moglie e soggiunse: “Va bene!”, ritengo che con ciò desiderava un male ai coniugi Zicarelli, se non una esplicita minaccia di vendetta.
– Domenica, dopo, la messa tornavo con Giovanni Lombardo, la moglie ed il suocero e gli riferii che Zicarelli si era rifiutato di dargli le lire cento che prima mi ero cooperato fargli dare. Nulla mi rispose e si ritirò in casa… – racconta Gaetano Presta.
– Era ubriaco?
– Non era ubriaco, non beveva vino e io lo so perché è stato per molti anni al mio servizio.
Poi, nel pomeriggio del 4 giugno, Giovanni Lombardo si costituisce nelle mani del Pretore di Montalto Uffugo e racconta la sua versione dei fatti:
– Con il mio fratello di latte Francesco Zicarelli ci siamo amati più che fratelli. Un anno or sono egli dall’America mandò del denaro col quale comprai un paio di bovi coi quali ho lavorato, dividendo l’utile con la moglie di lui. In aprile mio fratello è tornato e la moglie, non so perché, ha cercato di far diminuire le nostre relazioni. Sulle prime dicendo che io la frodavo negli utili dei bovi, poscia mi aveva promesso il viaggio per le Americhe e Vincenzina ha proibito al marito di darmi anche un centesimo, sotto la minaccia di dividersi da lui. Mi son visto nella disperazione perché avevo lasciato ogni industria. Sotto questo stato d’animo ieri mattina ho visto Vincenzina a Lattarico ed essendo alquanto brillo sono ritornato a Palazzello. Mi sono armato di una scure e l’ho attesa quando ritornava. Mi sono avvicinato e l’ho pregata di non inquietarmi; ella, forse, per timore ha cercato di fuggire e fu allora che io le diedi il primo colpo alla schiena. Poscia, caduta per terra, continuai a colpire, non so dove. Ora sono pentito e voglio subirne le conseguenze…
– A noi risulta che hai preparato il delitto affilando la scure…
– Non è vero che ho preparato la scure per uccidere Vincenzina!
Per gli inquirenti la confessione di Lombardo non è credibile per quanto riguarda l’esecuzione del delitto, che sarebbe avvenuto quasi casualmente, e insistono sulla premeditazione, ipotesi confortata dall’affilatura della scure, dalle minacce fatte nei giorni precedenti e dal lungo appostamento in attesa della vittima. Con questi argomenti ne chiedono il rinvio a giudizio e per Giovanni Lombardo la prospettiva dell’ergastolo incombe minacciosa.
La Sezione d’Accusa, il 17 luglio successivo, dopo un mese e mezzo dai fatti, sposa la tesi della Procura e rinvia Giovanni Lombardo al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza. La causa si discute il 28 novembre dello stesso anno e la difesa riesce a spuntare l’attenuante di avere agito in stato d’ira per fatto ingiusto della vittima, cioè per avere impedito al marito di prestare all’imputato i soldi per emigrare, nonostante glieli avesse promessi. L’ergastolo è scongiurato.
Stabilito questo, la Corte condanna Giovanni Lombardo ad anni 30 di reclusione, oltre a spese, danni e pene accessorie.
La Suprema Corte di Cassazione, il 14 marzo 1901, rigetta il ricorso dell’imputato e mette la parola fine alla storia.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.