La mattina del 5 luglio 1902 il Maresciallo Alfonso Gregucci, comandante la caserma di Rogliano, e il Carabiniere Martino Fumarola sono di pattuglia a Marzi, quando incontrano il medico condotto del paese, Francesco Saverio Marasco, che li ferma e, dopo i convenevoli di rito, li informa di un fatto increscioso verificatosi tre sere prima, il 2.
– Si è presentata a casa mia Barbara Belcastro, trentaquattrenne di qui, col braccio destro fratturato…
– E quindi? – gli fa, perplesso, Gregucci.
– E quindi glielo ha rotto il marito, Salvatore Turano.
– Sicuro?
– Sicuro, me lo hanno confermato tre vicine di casa della coppia.
Ricevute indicazioni sull’abitazione dove sarebbero avvenuti i fatti, Gregucci va a casa della donna e si fa raccontare cosa è accaduto.
– Stavo cucinando. Arrivò mio marito ed io, siccome incominciava ad annottare, cercai di accendere il lume ma caddi. Salvatore prontamente accorse e, afferratami con forza pel braccio destro allo scopo di rialzarmi, senza volerlo mi produsse al braccio la frattura…
– Mah… sicuro?
– Si…
– Volete querelare vostro marito? – azzarda.
– E perché? È stato un incidente…
Gregucci non è affatto convinto della versione e va a bussare alle porte dei vicini di casa. La prima a rispondere alle sue domande è Antonia Gatto:
– La sera del 2 intesi la madre di Barbara che urlava: “Corri compare Francesco che sta ammazzando mia figlia!”. Con tali parole intendeva chiamare in aiuto Francesco Grastello perché, come ho saputo dalla voce pubblica, Salvatore Turano aveva percosso la moglie, rompendole un braccio… non so altro.
Poi è la volta di Angela De Rose:
– La sera del 2 intesi la mia vicina Barbara che gridava: “Correte gente che mi ha rotto un braccio!”. Io, che non sono in buoni rapporti con Barbara, non mi curai di recarmi da lei per sapere quello che era avvenuto. Il giorno seguente, però, appresi che il marito, non so per quale ragione, le aveva rotto un braccio. Ho saputo pure che un paio di giorni dopo Barbara andava dicendo che era caduta e si era rotto il braccio destro…
– Ha detto se il marito la urtò o la picchiò facendola cadere?
– No, diceva solo che cadde e si ruppe il braccio.
Dalle informazioni che il Maresciallo riesce ad avere, la persona che saprebbe come andarono davvero le cose, è la diciannovenne Rosaria De Vuono, ma quando va a casa della donna assiste a scene di disperazione perché il messo comunale le ha appena comunicato che il marito, giovane di trent’anni circa, è morto in America, vittima di una mina. No, non è proprio il caso di interrogarla subito, se ne riparlerà a tempo debito e il giorno giusto è dopo quasi due mesi, il 27 agosto:
– La sera del 2 luglio intesi gridare Barbara e andai a casa sua per sapere cosa era successo e mi disse che Salvatore, il marito, l’avea percossa, rompendole un braccio. Rimproverai il marito per tal fatto, ma lo stesso nulla mi disse in proposito. Barbara mi fece vedere il braccio ed io constatai la rottura…
Con questa deposizione adesso è il momento di compiere due operazioni: interrogare, finalmente, Salvatore Turano e sottoporre Barbara al confronto con Rosaria De Vuono per metterla di fronte all’evidenza dei fatti. Intanto sentiamo cosa ha da dire il ventiduenne marito che, ovviamente, si dichiara innocente e ricostruisce così la sera del 2 luglio:
– Mi moglie è molto gelosa di me perché sono molto più giovane di lei e quando mi vede parlare con qualche donna è subito invasa dalla gelosia. Il 2 luglio scorso Barbara, parlando con una donna che non ricordo come si chiami, le disse che io ero solito dare uno strappo alla fedeltà coniugale. Mia moglie ebbe sentore che tali parole erano pervenute alle mie orecchie e la sera, nel rincasare, la trovai sul limitare della porta; vedendomi, subito rientrò in casa, forse perché pensava che io volevo redarguirla. La fretta adoperata da mia moglie le fu cattiva consigliera perché la fece urtare ad una sedia e così cadde, producendosi la lesione al braccio.
Ahi! Possibile che in due mesi non sia riuscito a farsi dire dalla moglie che cosa aveva dichiarato al Maresciallo? Le due versioni in totale contraddizione sono un bruttissimo segnale per Salvatore. Ma vediamo cosa succede nel confronto tra Rosaria e Barbara:
Rosaria: È vero che nella sera del 2 luglio mi dicesti che tuo marito ti aveva percosso rompendoti il braccio destro, facendomi vedere la lesione riportata. Ricordati pure che io rimproverai tuo marito del fatto ed egli non mi rispose.
Barbara: Quanto tu dici è vero. Ed è vero pure che ti feci vedere la ferita al braccio destro che mi produsse mio marito ed avendolo tu rimproverato, non rispose.
Finalmente! Adesso si può procedere formalmente contro Salvatore Turano per lesioni personali e il 2 luglio 1902 viene rinviato al giudizio del Tribunale Penale di Cosenza.
Il giorno del giudizio è il 22 novembre successivo. La Corte, ritenuto che, se l’imputato ha sempre negato di avere fratturato il braccio destro alla propria moglie in conseguenza di un diverbio avvenuto tra loro per questioni di gelosia, se è vero che la Garofalo dichiarò che se quel braccio si ruppe fu solo perché, cadendo, suo marito la sostenne e così avvenne la lesione, non è d’altra parte men vero che essa, nell’attualità del fatto, come emerse dalla pubblica escussione di tutti i testi, non solo chiamò al soccorso, ma immediatamente accusò il marito come autore della lesione. Pur si comprende che, passato il primo momento di dolore e di recriminazione, la moglie cerchi di salvare il marito, suo feritore, per lo stretto legame che fra loro esiste. Le risultanze della prova specifica dicono, invece, che Salvatore Turano deve ritenersi colpevole del reato da esso commesso. Ritenuto che si stima di accordare il beneficio delle diminuenti sia dell’eccesso nel fine, sia delle attenuanti generiche e così condannare l’imputato a mesi 6 e giorni 20 di detenzione, oltre alle spese. Danni da rifondere non ce ne sono perché Barbara non si è costituita parte civile.
Turano ricorre in appello e la Corte d’Appello di Catanzaro, il 22 aprile 1903, gli dà parzialmente ragione riducendo la pena a mesi 5 di reclusione, a patto che versi una cauzione di 50 lire, ma ormai la pena è quasi del tutto scontata, Salvatore la cauzione non la paga e quindi dovrà restare in carcere ancora un mese e 20 giorni. Allora tre giorni dopo, il 25 aprile1903, Barbara si presenta davanti al Pretore di Rogliano con una richiesta scritta:
Avvalendomi del disposto dell’art. 603 del Codice di Procedura Penale, intendo rimettere, come col presente atto effettivamente rimetto, a mio marito Salvatore Turano la metà della pena a lui comminata dal Tribunale di Cosenza, ridotta dalla Corte d’Appello di Catanzaro, per le lesioni a me prodotte il due luglio dell’anno decorso.[1]
La pace è tornata, ma Salvatore avrà capito la lezione?
[1] ASCS, Processi Penali.