MARIA E SUO MARITO BIGAMO

È il pomeriggio del 13 dicembre 1946 e fa freddo. Un uomo cammina tra la gente lungo Corso Mazzini a Cosenza reggendo una borsa, dalla quale spunta un mazzo di spaghetti sfusi. Arrivato all’altezza del Palazzo degli Uffici una giovane donna gli mette una mano sulla spalla facendolo girare di scatto per la sorpresa:

– Perché non mi mandi i soldi che mi devi? – gli dice con un forte accento straniero.

– Ancora? Non te ne do più soldi, lasciami in pace! – le risponde spazientito.

– Almeno dammi un po’ di quella pasta per la nostra bambina, non ho niente da farle mangiare… – lo supplica, indicando gli spaghetti che spuntano dalla borsa.

Puoi andare a fare la puttana e così ti procuri i soldi!

La giovane donna cambia espressione e gli occhi le diventano rossi di rabbia. Si guarda in giro, si china a terra per raccogliere un pezzo di legno e con questo colpisce violentemente l’uomo alla testa, poi se ne va esclamando qualcosa nella sua lingua.

L’uomo, sanguinante, corre al Pronto Soccorso dell’ospedale “Principe di Napoli”. Niente di serio, viene medicato e, a sua richiesta, gli viene rilasciato il relativo certificato medico:

Si certifica che Principe Francesco è stato visitato e gli sono state riscontrate le seguenti lesioni: escoriazione ed ematoma sulla bozza frontale destra. Tali lesioni furono causate da corpo contundente e furono dichiarate guaribili in 7 giorni, senza pericolo di vita.

Francesco Principe, ventinovenne meccanico, è l’uomo.

La giovane donna è Maria Iannacopulos, ventiduenne greca di Kalamata.

La loro è una storia particolare, l’abbiamo già raccontata con il titolo SOLDATI ITALIANI E RAGAZZE GRECHE, ma è il caso di riassumerla brevemente per concatenare gli avvenimenti.

Francesco Principe, allo scoppio delle Seconda Guerra Mondiale, viene richiamato alle armi e mandato sul fronte greco. Quando viene firmato l’armistizio dell’8 settembre 1943 si trova nei pressi di Atene, dove ha conosciuto casualmente Maria, che lo aiuta a nascondersi per sfuggire ai rastrellamenti dei tedeschi. Ma è meglio che siano Maria e Francesco a raccontarci ciò che avvenne in quei terribili anni. Maria:

Io non potevo tenerlo con me perché, essendo italiano, non andava d’accordo con quelli della mia famiglia, dato che i miei fratelli erano andati con i reparti dei patrioti. Nascosi Francesco presso una persona a me amica ed ivi lo tenni nascosto mentre io pensavo a lui ed a quanto potesse essergli necessario per vivere, senza poter prendere nulla dalla mia casa, ma lavorando. In quel periodo, un tedesco che conosceva Francesco e lo aveva spesso visto con me, venne a cercarlo, ma io non volli dire dove si trovasse, non ostante il fatto che fossi stata imprigionata e torturata. Anche altre volte sono finita in prigione, sempre per aiutare Francesco, il quale se ne stava nascosto. Poi vennero gli inglesi e Francesco mi propose di sposarci e preparammo a tale scopo le nostre carte. Io lasciai il rito ortodosso e mi convertii alla religione cattolica e con questo rito ci sposammo nella chiesa di San Giuseppe in Atene. Il matrimonio fu celebrato da don Vittorio Vianello e venne registrato nello stesso mese presso il Consolato Svizzero, che all’epoca curava gli interessi italiani in quella nazione. Eguale registrazione ho compiuto, allo scopo di regolarizzare la mia posizione di cittadina italiana, presso il Municipio di Atene, anche per ottenere, a mezzo delle autorità inglesi, il lasciapassare per l’Italia. Dopo il matrimonio vivemmo insieme fino al 9 novembre, quando Francesco potette tornare in Italia. Le autorità inglesi rassicurarono me e altre donne sposate ad italiani, che presto saremmo state trasferite in Italia, ma questo non avvenne a causa degli avvenimenti politici dell’inverno scorso in Grecia (la guerra civile. Nda), per cui fummo fatte partire dal Pireo in aereo il 15 luglio 1945 e giungemmo a Foggia. Appena arrivata all’aeroporto dovetti essere trasportata nel reparto maternità dell’ospedale di Lucera, ove il 18 luglio detti alla luce una bambina. Appena uscita dall’ospedale provvidi a far telegrafare alle autorità di Cosenza perché fosse avvertito Francesco del mio arrivo colla bambina. Giunta in Cosenza ho trovato la dolorosa sorpresa di ritrovare mio marito con un’altra donna che aveva sposato dopo il suo rimpatrio dalla Grecia e posteriormente, quindi, al nostro matrimonio.

Francesco quel periodo lo racconta in modo alquanto diverso:

Mi rifugiai in casa di Maria, pochi giorni dopo sono stato preso dai tedeschi e fui imprigionato e poi trasferito in un campo di concentramento, dal quale riuscii a fuggire e mi recai di nuovo nella casa in cui ero stato già ospitato. Stetti alcuni giorni e poi andai ad Atene con Maria che mi nascose nella capanna di una vecchia. Stetti lì vari mesi e ogni giorno o la vecchia o Maria venivano a portarmi da mangiare. Poi dovetti lasciare la capanna e con l’aiuto di elementi patrioti greci trovai lavoro e stavo in una casa in Atene ove, tempo dopo, venne a raggiungermi Maria la quale era stata scacciata, a suo dire, da suo cognato a causa della sua relazione con me. Io le feci presente che in Italia avevo, da lungo tempo, una relazione e che era mio obbligo morale nel far ritorno di sistemare. Nonostante tali mie rivelazioni, Maria mi chiese di sposarla. Io feci ancora presente la mia situazione, ma poi altre persone greche si intromisero e mi indussero a contrarre matrimonio, che avvenne il 4 giugno 1944 nella chiesa cattolica Dionigi Areopagita. Non so se il matrimonio sia stato poi trascritto nel municipio di Atene o nella legazione italiana del consolato svizzero. Ritornato in Italia ho ripreso la mia vecchia relazione e nel giugno 1945 ho contratto nuovo matrimonio con Rosa Porco. A Rosa non avevo detto la vera mia situazione, ma avevo solo accennato ad una promessa di matrimonio con una ragazza greca. La figlia nata da Maria potrebbe essere mia, ma non ne sono certosono stato costretto dalle ragioni contingenti del momento ad unirmi con Maria e poi a contrarre matrimonio con essa

Come è e come non è, il fatto certo è che Maria ha denunciato Francesco per bigamia, ottenendone la condanna. Poi lo ha denunciato anche in sede civile per ottenere il riconoscimento del matrimonio e nell’attesa del pronunciamento del Tribunale le è stato riconosciuto un assegno provvisorio di 1.500 lire al mese che, come abbiamo visto, il marito – per ora legittimo, poi si vedrà – rifiuta di versarle.

Ma torniamo al 13 dicembre 1946. Quando, col certificato medico in mano, Francesco va dai Carabinieri a sporgere denuncia contro Maria per lesioni personali, il Maresciallo Pasquale Angrisani cerca di convincerlo a desistere per non esasperare ulteriormente gli animi, ma lui non ne vuole sapere:

Lei mi chiese gli alimenti ed io le risposi che glieli avrei dati il giorno dopo. Ora devo querelarmi perché a nessuno dev’essere consentito di imporsi con la violenza. Se la Iannacopulos ha ragione, ebbene aspetti l’esito del giudizio che ha intentato. Ma che io debba soggiacere alle sue violenze non è assolutamente giusto!

E quindi si procede. Maria viene interrogata:

Mio marito, ritornato in Italia, ha sposato un’altra donna e fu condannato per bigamia. Nonostante ciò ha abbandonato me e nostra figlia. Io sono rimasta, così, in un paese straniero priva di ogni assistenza ed aiuto. Ho intentato giudizio civile e mio marito ha sospeso di darmi la quota di alimenti di 1.500 lire. Varie volte l’ho fatto chiamare in Questura per darmi il dovuto… il 13 dicembre, quando si è rifiutato di darmi i soldi e mi ha detto di andare a fare la puttana, lo colpii con una piccola canna che raccolsi da terra

La discussione della causa viene fissata e viene subito rinviata per aspettare il pronunciamento definitivo del Tribunale Civile in merito alla validità del matrimonio contratto in Grecia perché, se venisse confermata la validità dell’atto, scatterebbe l’aggravante del vincolo familiare e la condanna per lesioni sarebbe più pesante.

La sentenza del Tribunale Civile viene emessa l’11 giugno 1947 e stabilisce che: il matrimonio greco è valido e quello celebrato in Italia con l’altra donna è quindi nullo. Francesco Principe e l’altra moglie vengono condannati a risarcire Maria con la somma di 50.000 lire e al pagamento delle spese processuali e legali; inoltre, Principe dovrà versare a Maria e alla figlia un assegno mensile di 8.000 lire.

Messo questo punto fermo, il Tribunale Penale può adesso decidere in merito alle lesioni, che adesso sono aggravate, ma bisognerà aspettare altri sette anni, fino al 27 marzo 1954, per arrivare a sentenza: visto il parere favorevole del Pubblico Ministero, visti i precedenti penali dell’imputata, poiché la stessa non risulta recidiva, la Corte, letti ed applicati gli articoli 1 e seguenti del Decreto di amnistia 19 dicembre 1953 N. 922, dichiara estinto il reato.[1]

Una volta tanto i ritardi della Giustizia hanno fatto… giustizia!

[1] ASCS, Processi Penali.