La settantenne Maria Rosa Mercuri, che gode fama di essere danarosa, vive da sola in una modesta casetta a pianterreno, sita all’estremo limite nord di Stelletanone, piccola frazione del comune di Laureana di Borrello.
La mattina del 12 febbraio 1937 i vicini di casa di Maria Rosa cominciano a parlottare tra loro preoccupati perché, non vedendola da un paio di giorni, trovano molto strano che la porta e la finestra della sua casa non sono mai state aperte in questi due giorni.
– È anziana, magari si è sentita male…
– Forse addirittura è morta! Andiamo a chiamare la nipote, così va a vedere…
Francesca De Rito, la nipote, arriva subito e cerca di aprire la porta, ma è chiusa dall’interno e non ci riesce, così decide di rompere un vetro della finestra per guardare dentro.
– È a letto immobile… è poggiata sul fianco sinistro e le coperte sono rimboccate fino alla gola – dice alle donne che, curiose e preoccupate, la incalzano per saperne di più, ma la ragazza risponde – meglio andare ad avvisare zio Giuseppe, lui riuscirà ad entrare…
Quando Giuseppe Marafioti, ventisettenne marito di Maria Rosa Cuppari la figlia dell’anziana, arriva, anche lui prova invano a forzare la porta e così decide di rompere del tutto la finestra ed entrare da lì.
– È morta! – comunica all’esterno, suscitando pianti e urla, poi apre la porta e una piccola folla invade la casetta. Ciò che tutti notano è il perfetto ordine della casa, tranne due sedie rovesciate e due ceste spostate nella stanza da letto, dove giace la defunta.
– Sicuramente è stata la polmonite – osserva la figlia – vi ricordate che due mesi fa era stata sul punto di morire?
Un coro di assensi approva l’improvvisata diagnosi ed il giorno dopo, senza che sia stato redatto il certificato di visita necroscopica, la salma viene trasportata in corteo al cimitero e seppellita.
Dopo qualche giorno, quando a Stelletanone si sta ancora discutendo se per Maria Rosa sia stata una sciagura o una fortuna morire da sola di notte, accade un fatto molto strano: durante la notte dal 16 al 17 febbraio, mentre l’ottantenne Gregorio Gatto sta dormendo da solo nella sua casa, viene aggredito da un giovane sconosciuto il quale, sbucato di sotto il letto, riesce a rubargli un coltellino ed un portafogli del valore di lire tre, sparendo poi nel buio.
E se Maria Rosa non fosse morta per i postumi della polmonite e invece fosse stata uccisa a scopo di furto da persone introdottesi nella sua abitazione? La figlia ed il genero vanno a dare un’occhiata alla casetta e notano che in un punto del tetto le tegole sembrano smosse. Ad un controllo più accurato trovano effettivamente alcune tegole rimosse in corrispondenza del piccolo vano retrostante alla camera dove dormiva l’anziana. In più, nessuna somma di denaro c’è in casa, pure essendo noto che la Mercuri aveva venduto, poco tempo prima, una partita di olio.
È proprio il caso di fare denuncia ed il 23 febbraio la salma viene esumata e si procede con l’esame autoptico. Nonostante lo stato di avanzata decomposizione, i periti constatano numerose striature verde scuro sul collo, una escoriazione a sinistra ed un’altra escoriazione sul polso destro. Il verbale, redatto dal Professor Vittorio Siracusa della regia Università di Messina, attesta che la morte è avvenuta per strozzamento e soffocamento in quanto, oltre all’esistenza di macchie irregolari violacee, di aspetto leggermente ecchimotico, riscontrate attorno alla bocca, si constata la frattura dell’estremo del corno destro dell’osso ioide, nonché quella del corno superiore di sinistra della cartilagine tiroidea. Senza ombra di dubbio omicidio. Le indagini vengono condotte dai Carabinieri di Laureana e il problema sarà scoprire il responsabile o i responsabili del delitto.
I militari procedono al fermo di alcuni giovinastri del posto, sospettati di essere dediti ai furti, ma i sospetti cadono anche su Francesco Brancolino, pregiudicato venditore ambulante, che abita di fronte alla casa del delitto e nientemeno su Giuseppe Marafioti, il genero della morta. Ma a carico dei fermati sembra non esserci nulla e vengono tutti rimessi in libertà e dopo poco tempo il fascicolo per omicidio a scopo di furto viene rubricato contro IGNOTI e messo da parte a prendere polvere.
Dopo sei mesi arriva a Laureana il nuovo comandante della stazione dei Carabinieri, Maresciallo Saverio Laganà, il terrore della malavita della Piana, che rispolvera il fascicolo sull’omicidio di Maria Rosa Mercuri e curiosando in giro riceve le confidenze della ventiquattrenne prostituta Giuseppina Ferreri:
– Tre giorni prima delle ceneri, nel pomeriggio del sette febbraio vennero in casa mia Domenico Rosano, soprannominato “Brigadericchio”, Francesco De Mundo, soprannominato “Podestaricchio”, ed il cugino di questi Giuseppe De Mundo dandomi incarico di andare in casa della “Papara”, come era soprannominata Maria Rosa Mercuri, col pretesto di farmi prestare del denaro, ma in realtà per accertarmi dove e quanta moneta la vecchia tenesse in casa, promettendomi più di cento lire se il colpo fosse riuscito, avendo essi stabilito di derubare la vecchia. Io respinsi la proposta e Rosano disse: “Andiamo ché faremo senza di lei”. Poi minacciò di rompermi il culo se avessi rivelato il fatto.
Laganà raccoglie altre confidenze, la più interessante delle quali racconta che Francesco Brancolino la notte del delitto aveva sentito delle grida e affacciatosi dalla finestra vide alcune persone scappare dalla casa di Maria Rosa Mercuri. Il Maresciallo sospetta che questa confidenza nasconda dell’altro e mette di nuovo in stato di fermo Brancolino che, interrogato, rivela:
– Vidi fuggire dinanzi la porta della Mercuri Domenico Rosano, mio nipote affine, Francesco De Mundo e Mariano D’Agostino…
Laganà porta in caserma D’Agostino che, dopo reiterate insistenze e confronti con Brancolino, finisce col confessare:
– Quella sera, io, Rosano e Francesco De Mundo raggiungemmo Brancolino e Giuseppe De Mundo fuori l’abitato. Poi a notte alta, attraverso i muri della attigua casa in costruzione, tutti salimmo sul tetto della casa della vecchia e Brancolino, che è anche muratore, scoperchiò parte delle tegole sicché tutti poterono scendere nell’interno, tranne Brancolino che rimase sul tetto a far luce, attraverso l’apertura, con un lume a petrolio di sua pertinenza. I De Mundo con una spinta aprirono la porta di comunicazione con la stanza dove dormiva la vecchia, mentre io e Rosano restammo nel corridoio. La vecchia si svegliò e gridò ed allora i De Mundo si avvicinarono al letto, le strinsero la gola e l’uccisero. Poi rovistammo una cassa che si trovava nella stanza da letto, ci impossessammo del denaro che vi si trovava e poi tutti uscimmo dal tetto; Brancolino, rimesse a posto le tegole e buttato il lume nell’orto vicino, si fece consegnare da Francesco De Mundo il denaro e ci dileguammo per la campagna. Il giorno dopo Brancolino mi dette lire dodici…
Ecco, la decisione di Brancolino di parlare gli si sta ritorcendo contro. Poi Laganà ed i suoi uomini rintracciano e fermano Domenico Rosano che, interrogato, fornisce la stessa ricostruzione di D’Agostino, sebbene non del tutto conforme nei dettagli, mentre Brancolino e i De Mundo respingono ogni addebito, ma a questo punto vengono tutti arrestati e denunciati per concorso in omicidio volontario aggravato, commesso a scopo di furto.
A questo punto le indagini vengono tolte ai Carabinieri di Laureana e assegnate a quelli di Taurianova, dove vengono trasferiti anche gli imputati. Qui, indagando anche per il furto aggravato commesso ai danni dell’ottantenne Gregorio Gatto emergono forti sospetti su Rosano e sua madre.
Interrogato in merito, il giovanotto si dichiara innocente, pur ammettendo che sua madre soleva frequentare la casa del vecchio, contigua alla sua. Anche sua madre protesta la propria innocenza, ma vengono incriminati per questo reato e anche la donna finisce in carcere.
Quando gli imputati vengono interrogati dal Giudice Istruttore, D’Agostino e Rosano confermano le proprie dichiarazioni, mentre gli altri tre continuano a dichiararsi innocenti. Anche Giuseppina Ferreri viene nuovamente ascoltata e conferma tutto, anzi aggiunge:
– Insieme a Rosano ed ai De Mundo tre giorni prima del delitto vennero a casa mia anche D’Agostino e Brancolino a propormi di andare a casa di Maria Rosa Mercuri per vedere dove nascondeva il denaro – poi aggiunge qualcosa di veramente sensazionale, se si rivelasse vera – due giorni prima della mia dichiarazione, un figlioletto di Brancolino confidò ad un suo coetaneo che il padre aveva nascosto il denaro nel muro della casa…
Immediatamente viene disposta una perquisizione in casa di Brancolino e, guarda caso, i Carabinieri trovano una cassettina contenente mille lire murata in una parete!
– Sono i soldi che avete rubato alla Mercuri, confessa!
– No! Ve lo giuro! Sono i risparmi di tutta la mia vita!
– E perché li hai murati?
– Eccellenza… temevo che qualche malfattore me li rubasse…
Come si fa a credere che un pregiudicato nasconda dei soldi temendo che un altro pregiudicato glieli possa rubare? Infatti non gli credono e la sua posizione si aggrava. E si aggrava ancora di più quando, nell’orto indicato da D’Agostino, viene rinvenuto un lume a petrolio.
– Era mio – ammette Brancolino – ma l’ho buttato perché era inservibile…
Per gli inquirenti può bastare così e quindi è tempo di chiudere l’istruttoria formulando le richieste di rinvio a giudizio per tutti gli imputati da sottoporre al Giudice Istruttore che, il 13 novembre 1939, accoglie, tranne quella relativa alla madre di Rosano, prosciolta per non aver commesso il fatto.
La discussione della causa è assegnata alla Corte d’Assise di Palmi e si tiene il 14 febbraio 1940.
Interrogati durante il dibattimento, D’Agostino e Rosano, entrambi minori degli anni 18, ritrattano le confessioni rese in istruttoria, sostenendo di essere stati costretti a confessare per via di intimidazioni e maltrattamenti subiti in caserma per lungo periodo di tempo e dopo continue privazioni e sofferenze. Gli altri tre, ovviamente, e a maggior ragione, continuano a dichiararsi innocenti.
A questo punto alla Corte sorgono dei dubbi. Il primo: tutte le circostanze generiche e specifiche dell’istruzione hanno avuto riscontro negli atti, nei riferimenti delle parti lese e dei testimoni e nei verbali dei Carabinieri. In base a tali elementi non è dubbia l’esistenza in genere dell’omicidio, essendo provato mediante la perizia che la Mercuri morì per strangolamento. Incerta è invece la responsabilità dei giudicabili. Infatti le dichiarazioni degli imputati Rosano e D’Agostino sono state ritrattate in udienza ed è verosimile che le loro confessioni in istruttoria siano state rese per effetto di intimidazioni giacché essi, appena diciassettenni, fermati nella caserma di Taurianova sin dal 30 agosto 1937, mostrarono di essersi fatti sinistramente impressionare dal contegno assunto da Brancolino, che li accusava di averli visti fuggire avanti la casa della Mercuri la notte del 10 febbraio 1937 e credettero di doversi difendere ritorcendo l’accusa contro gli altri per salvare sé stessi. Caddero però tra di loro in varie contraddizioni come testimonia il verbale di sopralluogo eseguito dal Giudice, dal quale risulta non solo che D’Agostino e Rosano furono in contrasto nell’indicare le vie per cui, quella notte, essi ed i De Mundo sarebbero entrati nella casa della Mercuri; che col lume tenuto presso il foro praticato nel tetto non era possibile illuminare la stanza ove la Mercuri dormiva. È poi illogico ammettere che Brancolino, delinquente incallito nei malefici e scaltro, si fosse valso, per commettere un così grave reato, dell’aiuto di due minorenni inesperti, pavidi, assolutamente inadatti al compimento di simili imprese a causa del loro deficiente sviluppo fisico e mentale, mentre è assurdo che egli, stando sul tetto, si fosse servito di un lume a petrolio, che gli sarebbe servito unicamente per richiamare su di sé l’attenzione dei vicini e delle persone che percorrevano la strada sottostante. Quindi ci furono le intimidazioni ma non da parte dei Carabinieri, bensì da parte di Brancolino. Dopo queste riflessioni, la Corte scioglie il dubbio: in conseguenza, quanto Rosano e D’Agostino confessarono in istruttoria non può fornire serio e decisivo elemento di prova, giacché essi hanno smentito le precedenti dichiarazioni e queste erano inverosimili, illogiche e contraddittorie.
Il secondo dubbio riguarda le dichiarazioni di Giuseppina Ferreri: dell’attendibilità di costei si deve molto dubitare, essendo notoriamente una prostituta che per pochi soldi concede i suoi favori, girovagando per le campagne; onde al Maresciallo che si occupò delle ricerche nei primi tempi, ella apparve fonte di prova impura e spregevole. Che ella non sia mai stata sincera risulta dal fatto che, interrogata dai Carabinieri, non fece i nomi di Brancolino e D’Agostino e soltanto allorquando fu escussa dal Giudice Istruttore aggiunse i loro nomi a quelli degli altri che le diedero incarico di recarsi nell’abitazione della Mercuri per accertarsi se e dove avesse nascosto il denaro. In udienza ella non ha saputo dare spiegazione di questa sua aggiunta, mentre è risultato, da altro lato, che ella era l’amante del Marafioti, già fermato dai Carabinieri come sospetto autore dello strangolamento della suocera, pel motivo che costei non era in buoni rapporti col genero per contrasti di indole economica, tanto che, durante l’ultima malattia sofferta due mesi prima, essa aveva creduto di affidare al medico curante Garcea lire 1.500 per le spese funerarie, diffidando del genero, dal quale qualche tempo prima era stata maltrattata. Quindi sorge il dubbio che la Ferreri, perduto ogni senso di moralità, abbia fatto le rivelazioni ai Carabinieri per deviare le indagini dal Marafioti e farle rivolgere contro altre persone, sia pure innocenti. È inverosimile, inoltre, che gli imputati avessero confidato il loro segreto proprio a lei, una prostituta d’infimo grado, mentre Brancolino avrebbe facilmente potuto sapere dalla figliuola, che praticava la casa della vecchia, se e dove tenesse il denaro.
Anche in questo caso la soluzione è ovvia: non si può prestar fede alla impura origine dell’accusa proveniente da Giuseppina Ferreri.
Ma, almeno nei confronti di Brancolino, pesano altre circostanze: esaminata attentamente la deposizione fatta in udienza dalla figlia della vittima, che dichiara di ricordare di aver visto nelle mani della madre, molti anni prima, una cassetta contenente del denaro, ma di non essere certa che la cassetta sequestrata a Brancolino fosse quella della madre. E questo già potrebbe bastare alla Corte, ma preferisce chiarire del tutto questo punto e va avanti: non è poi escluso che Brancolino abbia potuto accumulare con il lavoro di venditore ambulante la somma di mille lire e che abbia pensato di nasconderla nel muro per timore di un furto. Va poi rilevato, ad esuberanza, che secondo i testimoni indicati da Brancolino, egli, circa un anno prima della morte della Mercuri, aveva istituito trattative per l’acquisto di una casetta, che intendeva pagare lire mille, cosa che non avrebbe potuto fare se non si fosse trovato in possesso del denaro necessario. D’altro canto, la Mercuri non poteva possedere quelle mille lire, giacché aveva consegnato quasi tutti i suoi averi al dottor Garcea e la vendita della partita di olio, della piccola partita di olio, non giustifica il possesso di tale somma da parte della Mercuri. Non ha nemmeno importanza il rinvenimento del lume a petrolio nell’orto accanto alla casa della vittima giacché Brancolino, scaltro delinquente, non sarebbe stato così sciocco da gettare il lume di sua pertinenza in quell’orto, se davvero se ne fosse servito per aiutare i compagni nell’impresa criminosa, ma lo avrebbe fatto sparire in modo da non farlo ritrovare. Per la Corte, anche questi elementi, che sembravano gravissimi, non possono ritenersi decisivi per una sentenza di condanna.
Dopo tutto ciò è evidente che la Corte ha già deciso l’esito della causa: da quanto si è esposto, apparisce che deficiente è la prova circa gli autori dell’omicidio in persona della Mercuri, onde gli imputati debbono, a tal titolo, essere assolti per insufficienza di prove. Parimenti non ha fondamento l’accusa a carico di Rosano Domenico circa il furto, giacché la parte lesa, Gatto Gregorio, ha dichiarato di non avere riconosciuto, a causa dell’oscurità, il giovinetto che si avvicinò al suo letto per derubarlo, sebbene questi per la statura somigliasse all’imputato e quindi va assolto per insufficienza di prove.[1]
Siamo a Palmi ed è il 14 febbraio 1940.
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Palmi.