È giorno inoltrato quando il 30 luglio 1942 una ragazza, visibilmente agitata, bussa alla porta dei Carabinieri di Belvedere Marittimo e dice di voler fare una denuncia.
– Come ti chiami e di dove sei? – le chiede il Maresciallo.
– Mi chiamo Rosina Longo, ho diciassette anni e sono di Bonifati.
– Cosa devi denunciare?
– Ad aprile, non ricordo con precisione il giorno, mentre ero intenta a zappare il terreno di proprietà di mia madre in località Marianna di Bonifati, mio padre, che lavorava con me, cominciò a palparmi sessualmente… – la voce le si fa incerta e gli occhi cominciano a riempirsi di lacrime mentre toglie un fazzoletto dal petto e comincia a tormentarlo tra le mani – interpretando le sue prave intenzioni, mi sono data alla fuga ma mio padre mi ha inseguito, raggiunta, rovesciata al suolo e, fra le più gravi minacce, vincendo la mia resistenza, tanto più che non indossavo mutande, mi ha deflorata e posseduta… – adesso la voce è rotta dal pianto mentre nasconde il viso tra le mani. Il Maresciallo, visibilmente turbato, ordina ad un Carabiniere di portarle dell’acqua, poi Rosina continua – intimorita dalle minacce di morte fattemi e successivamente ripetute da mio padre, ho taciuto a mia madre il doloroso episodio. Frattanto ero diventata sua succube e ha continuato a possedermi sia in campagna e sia in casa tutte le volte che riusciva a trovarsi da solo con me. Ieri, 29 luglio, ho dovuto ancora una volta sottostare alle sue bestiali voglie e, stanca di tollerare tanta infamia, ne ho parlato a mia madre e oggi…
– Stai tranquilla, è tutto finito, ora scrivo la denuncia…
– No Marescià, aspettate!
– Perché?
– Perché, se malgrado la denuncia mio padre dovesse rimanere in libertà, voglio evitare l’immancabile violento suo risentimento…
– Questo pericolo non c’è, fatta la denuncia lo arrestiamo!
Rosina si sente tranquillizzata, tira un lungo respiro, e fa segno al Maresciallo di andare avanti.
Carmine Longo, viene arrestato e, interrogato prima dal Maresciallo e poi dal Pretore, ammette:
– In un momento di aberrazione mentale ed in stato di semi ubriachezza ho posseduto mia figlia, che peraltro non mi ha opposto una viva resistenza…
– Quante volte è successo?
– Quella volta ed altre due o tre volte… credo che mia figlia ha parlato con la madre perché decisa a sottrarsi ai miei amplessi…
Poi viene sentita la madre di Rosina:
– Ieri mia figlia, preoccupata e tremante, mi ha detto che non sarebbe più andata in campagna col padre, insistendo in tale affermazione pur non dicendone i motivi. Io ho insistito molto e Rosina ha finito per dirmi di essere stata deflorata e posseduta con violenza e minacce dal padre…
La visita specialistica ordinata per verificare lo stato di Rosina conferma il suo racconto: la Longo si presenta deflorata da tre o quattro mesi ed adusata al coito. A questo punto l’istruttoria può considerarsi conclusa, ma Carmine Longo chiede di essere interrogato dal Giudice Istruttore e cambia versione:
– Ho un difetto di memoria che deriva dall’intervento chirurgico subito allo stomaco tra anni or sono e non ragiono bene, non ho fatto niente…
Non funziona. Il 2 dicembre 1942 Carmine Longo viene rinviato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di violenza carnale continuata ed aggravata dall’abuso di relazioni domestiche e di abitazione.
La discussione della causa si svolge il 23 marzo 1943 e Carmine cambia ancora versione:
– Sono stato indotto a confessare il delitto per le percosse dei Carabinieri…
– E come mai quello che avete detto ai Carabinieri lo avete confermato al Pretore, invece di denunciargli le percosse ricevute? – gli contesta il Presidente della Corte e l’imputato non sa cosa rispondere. Evidentemente ha tentato di ricorrere all’estrema, comune difesa di tutti i delinquenti, osserva la Corte, che poi decide di affrontare il problema del presunto consenso di Rosina a giacere col padre: il contegno consensuale è resistito dalla logica, dalla natura dei fatti umani, dalla condizione subiettiva delle parti, dall’indiscussa moralità della parte lesa che, perciò, si presenta degna di fede. Il contegno della ragazza che, anche quando disgustata dal bestiale rapporto, finisce per superare il timore e si decide, ancora tremante, a parlare a sua madre e si presenta al Maresciallo sotto il palese incubo della minaccia paterna.
La Corte nega anche ogni effetto psicologico nel Longo dal subito intervento chirurgico allo stomaco e quindi conclude che nessun elemento offre il processo per poter prendere comunque in considerazione l’invocato beneficio dell’infermità di mente.
Accertata la piena responsabilità di Carmine Longo, la Corte lo condanna ad anni 12 di reclusione, più pene accessorie, spese e danni. Ma l’imputato si trova nella condizione di poter godere del condono di tre anni della pena, previsto dall’articolo 4 del regio Decreto 17 ottobre 1942, N. 1956, quindi la pena da scontare scende a 9 anni.
Infine, la Corte d’Appello di Catanzaro, con ordinanza del 5 maggio 1943, ordina l’esecuzione della sentenza.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.