LE BULLE DEI BASSIFONDI

Le tristi vicende che ci accingiamo a raccontare ebbero luogo nel più basso degli ambienti sociali, fra gente afflitta dalla miseria economica e priva di ogni educazione del sentimento morale.

Lo spazzino Umberto Mesuraca era stato l’amante della quarantenne donna di fatica Maria Arice, separata dal marito, sordomuto merciaio ambulante, in un tugurio a pianterreno nella città di Catanzaro. In seguito, Umberto era diventato il concubino di Cardamia Cardamia e ci aveva procreato anche dei figli. Anche Cardamia era sposata e viveva separata dal marito, un manovale disoccupato, tenendo presso di sé i figli avuti da lui, tra i quali la diciassettenne Anna, giovanetta di carattere impulsivo.

La notte del 5 marzo 1947, Umberto esce dalla casa di Cardamia e decide di andare a dormire con la sua vecchia amante Maria. Cardamia, però, insospettita dalle parole evasive con cui Umberto ha detto di doversene andare, lo segue e lo trova in casa dell’ex amante. Apriti cielo! Comincia ad urlare come un’ossessa, la sua rivale, esasperata, esce sulla porta e cominciano a litigare. Umberto, vistosi scoperto, ritiene prudentemente opportuno andarsene in fretta non visto, mentre le due donne continuano a litigare, scambiandosi degli epiteti dettati dagli interni sentimenti e dall’eccitazione del momento. Quando la furia verbale scema, Cardamia se ne va, ma non senza avvertire Maria che si sarebbe vendicata:

– Adesso mando mia figlia e ti faccio rompere il culo!

E Cardamia infatti non perde tempo. Non appena arriva a casa, tanto fa e tanto dice da convincere sua figlia Anna ad andare da Maria per picchiarla. Anna, però, non vuole andare da sola, e la madre le dice di andare a chiamare la sua amica Giuseppina e così fa. Le due ragazze, insieme, si dirigono nel buio della notte verso la casa di Maria. Quando arrivano davanti al tugurio cominciano ad insultare, a sfidare, a minacciare Maria che, ben comprendendo di trovarsi in condizioni di netta inferiorità, urla per chiamare aiuto. Qualcuno sente, e sbircia di nascosto senza intervenire.

Le due ragazzine, vedendo che la loro vittima designata non si decide a mettere il naso fuori, cominciano a tirare sassi contro la porta sgangherata, forse soltanto socchiusa, che alla fine cede, si apre e Anna irrompe nel tugurio, dove regna il buio assoluto e non si capisce più cosa accade. Fatto sta che Maria si ritrova a terra con il naso rotto. A questo punto, le assalitrici, avuta dalle urla di dolore della vittima la conferma di avere portato a termine la missione, se ne vanno tronfie e per strada a qualcuno raccontano perfino quello che hanno combinato.

Maria, la notte stessa va in ospedale a farsi medicare e la mattina dopo, col naso gonfio e ancora sanguinante, va a sporgere querela contro la sua rivale in amore e contro le due ragazzine per violazione di domicilio e lesioni personali. Ma sembra che nemmeno lei sappia esattamente come e con cosa è stata colpita, sa solo che a colpirla è stata Anna:

Mi ha colpita con una sedia… credo. Era buio…

In attesa di svolgere le indagini, le tre denunciate vengono lasciate a piede libero. Maria non sta bene, continua a perdere sangue e ha strani fastidi. Finalmente, il 10 marzo, cinque giorni dopo l’aggressione, si decide a tornare in ospedale, dove i medici si accorgono subito che la situazione è grave e la ricoverano sospettando una infezione da tetano. Hanno ragione ma è troppo tardi, la mattina dell’11 Maria muore. Adesso non si tratta più di lesioni, ma di omicidio preterintenzionale e le tre denunciate vengono arrestate. La posizione più delicata è, ovviamente, quella di Anna.

– Non le ho dato nessuna sediata, le ho dato uno schiaffo, ha perso l’equilibrio ed è andata a sbattere col naso contro un mobile o a terra, non ve lo so dire.

– Cosa ti aveva fatto Maria per andarla ad aggredire in casa?

Mia madre mi pregò di recarmi in quello stesso momento in casa di Maria

– E in tutto questo cosa c’entra Giuseppinai?

Mia madre mi consigliò di non recarmi da sola a casa di Maria, ma in compagnia di Giuseppina… in casa di Maria, però, sono entrata solo io.

Ma un testimone, che incontrò due ragazze mentre stavano tornando nelle rispettive abitazioni, sostiene che Anna gli confidò di essersi servita del manico di un vaso rotto, trovato per caso nell’abitazione della povera Maria. Un altro testimone riferisce, invece, che un pezzo di legno o canna o bastone era stato, nella circostanza, portato ad Anna dal fratello di costei. Una gran confusione in cui le uniche cose certe sono l’irruzione in casa, prima di Cardamia e poi delle due ragazzine, il naso rotto e la susseguente infezione che ha determinato la morte di Maria Arice. Questi dati sono sufficienti per rinviare le tre donne al giudizio della Corte d’Assise di Catanzaro.

Nel dibattimento, la Corte deve risolvere due questioni relative al reato di omicidio preterintenzionale: 1) se ne siano colpevoli, come concorrenti, tutte e tre le imputate; 2) se l’evento, ossia la morte di Maria Arice, sia conseguenza dell’azione criminosa, ossia dell’atto lesivo ascritto alle imputate. Secondo la Corte la risposta è affermativa e spiega: sebbene non si è potuto accertare con perfetta sicurezza con qual mezzo ed in qual modo Anna ebbe a ferire Maria Arice, certo è, però, che L’Arice fu ferita e fu ferita da Anna con un atto pienamente volontario, qualunque sia stato il mezzo ed il modo adoperati. Ed è certo, altresì, che nel fatto commesso da Anna concorsero anche Giuseppina e Cardamia Cardamia. La Giuseppina perché si accompagnò alla Anna col deliberato proposito di andare ad aggredire, in quell’ora inoltrata della notte, la sventurata Arice, che se ne stava tranquilla in casa sua, e perché, pur non avendo partecipato alla fase esecutiva culminante del reato di lesioni, vi partecipò, nondimeno, psicologicamente, per come è anche dimostrato dal fatto che le ingiurie, le minacce, i colpi di pietra che precedettero immediatamente e quasi prepararono le lesioni, vengono dai testi attribuiti alla Anna ed alla Giuseppina, congiuntamente. La Cardamia perché fu proprio lei che istigò la figliuola a recarsi dall’odiata rivale per malmenarla ed a provare ciò ci sono numerose testimonianze, una delle quali è drammatica. Un vicino di casa di Cardamia e di sua figlia Anna assistette ad un discorso fra le due, durante il quale la ragazzina rimproverò sua madre per averla rovinata e gli spiegò che: “è stata lei a mandarmi a picchiare Maria”. Infine, la riprova della colpevolezza di Cardamia si legge chiaramente negli interrogatori della figlia.

Riguardo al nesso causale tra le lesioni inferte dalle imputate e la morte di Maria, la Corte è sicura che sia fondatamente provato da due circostanze, concretamente accertate: 1) è indubbio che Maria Arice morì di tetano in quanto la diagnosi dei sanitari dell’ospedale, dove la defunta ebbe le ultime cure, venne confermata sperimentalmente dall’esame biologico per la ricerca della tossina tetanica nel liquido cefalo-rachidiano, estratto dal cadavere; 2) sul cadavere, oltre alla lesione riportata dalla Arice in vita, ad opera di Anna, non fu riscontrata alcun’altra lesione di continuo che potesse rappresentare una diversa porta d’ingresso per l’infezione tetanica.

Poi la Corte passa ad esaminare il reato minore di violazione di domicilio ed analizza per prima la posizione di Giuseppina: non vi sono elementi sicuri per dire che anche la Giuseppina sia entrata, né per far rientrare l’ingresso abusivo nell’orbita del piano o concerto criminoso che, anzi, dalle deposizioni acquisite, parrebbe che la Giuseppina fosse contraria a che l’aggressione fosse portata dentro casa. Pertanto Giuseppina va assolta dalla minore imputazione per insufficienza di prove. Nemmeno per Cardamia ci sono prove sufficienti che dimostrino il suo ingresso abusivo nel tugurio di Maria e anche per lei c’è l’assoluzione con formula dubitativa.

Adesso bisogna stabilire le singole responsabilità nel concorso in omicidio preterintenzionale: Giuseppina ebbe, nell’esecuzione materiale delle lesioni, una parte di minima importanza, giacché il reato fu eseguito solo da Anna che, a sua volta, fu istigata dalla madre. Tutte e due le ragazzine godono delle attenuanti relative al caso specifico. Oltre a questo, ad Anna spetta l’attenuante della minore età.

Detto questo, è evidente che la Corte ritiene Cardamia Cardamia la principale responsabile dell’aggressione a Maria Arice e respinge la richiesta della difesa tendente a riconoscere l’attenuante della provocazione, per avere Maria accolto in casa il suo amante, con queste parole: da una relazione immonda ed immorale non può sorgere alcuna pretesa giuridica o anche semplicemente morale.

Stabilito ciò, la Corte dichiara Giuseppina, Anna e Cardamia Cardamia colpevoli del delitto di omicidio preterintenzionale con le attenuanti generiche per tutte e tre le imputate, con l’attenuante della minima partecipazione per Giuseppina, con le attenuanti della minore età e di essere stata determinata a commettere il reato dalla madre per Anna.

Tradotto tutto in cifre fanno: anni 4, mesi 5 e giorni 10 di reclusione per Giuseppina; anni 4 e mesi 6 di reclusione per Anna, più mesi 9 per la violazione di domicilio; anni 4 e mesi 8 di reclusione per Cardamia Cardamia. Per tutte e tre le pene accessorie e le spese. Danni non dovranno pagarne perché nessuno si è costituito parte civile. È il 7 luglio 1949.

La Suprema Corte di Cassazione, il 7 marzo 1953 dichiara inammissibili i ricorsi delle imputate.[1]

[1] ASCS, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Catanzaro.