È sabato 8 ottobre 1892, sono le quasi 18,30 e il sole è ormai tramontato da un’oretta. Nella Piazza del Municipio a Rende c’è parecchia gente. C’è anche Achille Armentano che discorre del più e del meno con Giuseppe Lo Celso. Quest’ultimo, facendosi serio all’improvviso, dice:
– Don Achille, stasera avremo una grandinata! – Armentano non afferra il senso dell’affermazione e guarda perplesso il cielo sereno, poi chiede all’amico di spiegargliene il motivo e Lo Celso continua – Come? Non hai veduto che Salvatore De Luca sta in colloquio con Vincenzo Scaglione, il guardiano del signor Giuseppe Magdalone?
Mentre Armentano cerca di vedere in quale parte della piazza si stia svolgendo la discussione, Salvatore De Luca, maestro elementare comunale da poco licenziato, sta andando nella loro direzione con passo accelerato e quindi verso il Vaglio del Castello. Incuriosito, Armentano lo segue con lo sguardo e vede che De Luca, giunto all’angolo della casa della maestra Lucia Sacco, si ferma ed esclama:
– Venite qua se avete coraggio, qua vi voglio!
Armentano allora volge lo sguardo verso l’angolo inferiore della Chiesa del Rosario e vede Scaglione con accanto Domenico Palermo, l’altro guardiano di Magdalone, e gli sembra che i due rispondano alla sfida. Presagendo che qualche grandinata stia davvero per cominciare, Armentano si avvicina a De Luca e, per due volte, lo esorta ad andarsene. De Luca, assai concitato, si muove come per seguire il consiglio, quando gli si avvicina Domenico Palermo puntandogli contro una rivoltella e dicendogli:
– E pure tu… e pure tu sei persona?
Armentano, sempre più preoccupato, si avvicina ai due per cercare di calmarli e nota che anche De Luca ha in mano una rivoltella. Mentre si adopera per evitare una tragedia, Salvatore De Luca indietreggia di qualche passo, spara un colpo in direzione dell’avversario e poi scappa. Domenico Palermo, colpito, fa un giro su sé stesso, poi un passo, getta una boccata di sangue, poi qualche altro passo verso la casa dei Magdalone, gira l’angolo della casa e stramazza a terra, morto. Armentano non può far altro che guardarsi intorno senza vedere nessuno e segnarsi con la croce.
Il Brigadiere Angelo Foroni, comandante ad interim della stazione dei Carabinieri di Rende, arriva dopo pochi minuti e comincia le indagini, ricostruendo il fatto secondo il racconto fattogli da Achille Armentano, ma accerta che sul posto c’erano altri testimoni e sembra che le cose siano andate diversamente:
– Mi chiamo Michele Lo Celso e sono cugino di Salvatore De Luca. Mi trovavo in piazza col dottor De Rose sotto il lampione e udii farsi quistioni presso la Chiesa del Rosario. Vidi mio cugino Salvatore e i due guardiani Vincenzo Scaglione e Domenico Palermo che si diverbiavano. I due guardiani dicevano a De Luca: “Non ti muovere, non ti muovere!”. De Luca però fuggì salendo sul Vaglio lì prossimo e, ivi giunto, così si espresse: “Ve la volete vedere? Venite qua!”. I due guardiani, che impugnavano la rivoltella, rispondevano: “Si, si viene!” e difatti Domenico Palermo, quando vide che De Luca scendeva dal Vaglio per andarsene, gli corse dietro colla rivoltella impugnata, dicendogli: “Non ti muovere!”. Non vidi più Scaglione. Allora De Luca, indietreggiando, rivolto a Palermo gli intimava di lasciarlo andare, ma costui, fattoglisi più appresso colla rivoltella impugnata, colpendolo con questa alla faccia, si fece a gridare: “Fermati che ti devo uccidere!” e, in così dire, vidi che forzava il grilletto della rivoltella per esplodere. C’era l’usciere Achille Armentano che si era messo di mezzo pregando i contendenti di allontanarsi, ma inutilmente. Fu allora che De Luca, così incalzato e percosso da Palermo, gli esplose contro un colpo, dandosi quindi alla fuga.
Il dottor Gabriele De Rose conferma sostanzialmente il racconto fatto da Michele Lo Celso, anche se potrebbero esserci dei dubbi su una sua affermazione:
– De Luca, indietreggiando rasente il muro, seguito da Palermo colla rivoltella impugnata, si internò nella strada. A quel momento io mi ero ritirato alquanto più dentro la strada, sul portone della casa dei Zagarese, domandando a Lo Celso spiegazioni di quel fatto. Frattanto vedevo che Palermo agitava il braccio, nella di cui mano impugnava la rivoltella, come se desse colla punta della canna colpi nella faccia di De Luca.
Il dubbio è: se il dottor De Rose, che si era ritirato alquanto più dentro nella strada, sul portone della casa dei Zagarese domandando a Lo Celso spiegazioni sul fatto, ha intuito ciò che stava accadendo? Lo Celso che, secondo le sue parole era con lui, ha visto davvero ciò che ha raccontato o ha raccontato ciò che ha intuito? Purtroppo nessuno nota queste incongruenze e nessuno ne chiede conto.
Secondo Gaetano Caputo, a discorrere del più e del meno con Armentano c’erano lui stesso, Salvatore De Luca e Domenico Pisano, quando sopraggiunsero i due guardiani di Giuseppe Magdalone e Vincenzo Scaglione chiamò da parte De Luca e tutti e tre si allontanarono di una ventina di metri. Subito dopo cominciò il diverbio, senza che il gruppetto di amici potesse capire ciò che i litiganti dicessero. Poi Caputo dice di aver visto De Luca che si allontanava ed i due guardiani che lo seguivano colle rivoltelle alla mano, dicendogli “non ti muovere, non ti muovere!”. De Luca, invece, andò sul Vaglio e disse: “Venite qua se avete coraggio!”. A questo punto anche Caputo perse di vista Scaglione e racconta il seguito della scena sostanzialmente come lo hanno raccontato gli altri testimoni.
Va bene, particolare in più o particolare in meno, sulla ricostruzione dei fatti non dovrebbero esserci troppi dubbi. Ciò che va accertato, per definire le responsabilità, è il motivo della lite e al momento si può sentire una sola versione, quella di Vincenzo Scaglione, che non è indagato:
– Le cose passarono nei seguenti termini: Salvatore De Luca, come maestro elementare di questo Comune, accreditava un mese di stipendio, che non gli era stato pagato alla scadenza per mancanza di cassa. De Luca, la mattina dell’8 ottobre, avendo bisogno di riscuotere lo stipendio pregò me di farne premura presso mio fratello ch’è il Cassiere del Comune. Non mancai di prestarmi a quella preghiera, ma mio fratello mi fece intendere che la cassa era esausta di danaro e che al momento non avrebbe potuto pagare né De Luca, né altri. Allora, la sera stessa, dovendo rendere risposta a De Luca andetti a ricercarlo e lo trovai presso il portone della casa comunale in compagnia di altre tre o quattro persone, che non mi curai vedere chi fossero. Era in mia compagnia Domenico Palermo e, discostici alquanto con De Luca, gli riferii quanto mi avea detto mio fratello circa il pagamento dello stipendio. Di ciò De Luca si indispettì ed incominciò ad irrompere in parole contro il Sindaco, e mio padrone, il signor Giuseppe Magdalone, facendo intendere che il cassiere non avrebbe dovuto lasciarsi senza danaro in cassa, che il Sindaco avrebbe dovuto provvederlo e proteggere col proprio danaro non il cassiere, ma bensì il Comune. In quel mentre io fui chiamato per andare a casa del mio padrone onde accudire ad alcuni miei incombenti e lasciai sul luogo Palermo, senza venirmi fatto nemmeno di dubitare che potesse avvenire ciò che avvenne in quanto, dopo quelle parole, anche De Luca erasi allontanato. Giunto che fui nella casa del mio padrone, udii un colpo d’arma da fuoco per cui ne riuscii onde vedere cosa fosse stato. In ciò fare vidi un individuo che mi veniva incontro e che, a un tratto, precipitò a terra. Mi avvicinai e trovai che era il mio compagno Domenico Palermo immerso nel proprio sangue e che, da me chiamato, non dette segni di vita. Seppi che era stato colpito da De Luca. Debbo soggiungere che di seguito alle parole di risentimento che profferì De Luca alla risposta che gli portai per il suo stipendio, dispiaciuti delle invettive che profferì alla volta del nostro padrone, ci fu un po’ di accapigliamento ed urto vicendevole in quanto De Luca si espresse, tra le altre cose, dicendo che se il nostro padrone voleva proteggere qualcuno, doveva farlo col proprio danaro, non con quello del Comune.
– Avete idea di come si è potuto arrivare alla revolverata fatale?
– No, non me lo so spiegare. Posso solo dire che né io, né il mio compagno si aveva intenzione di nuocere a De Luca perché se diversamente fosse stato, noi che eravamo regolarmente armati, ne avrebbe egli certamente avuto la peggio.
– Avete notato, quando avete visto Palermo morto, se teneva la rivoltella in mano?
– Non mi venne fatto di vedere se tenesse la rivoltella in mano, anche perché l’oscurità della notte si era fatta assai fitta…
Dopo la deposizione di Scaglione, ma in verità anche prima, sarebbe stato opportuno per gli inquirenti porsi una domanda: se è vero che Scaglione, data l’oscurità, non ha visto armi in mano a Palermo, come hanno fatto gli altri testimoni, alla fioca luce dell’unico lampione a petrolio che c’è nella piazza, ad essere così sicuri di aver visto ciò che hanno raccontato? Una risposta non c’è perché a nessuno viene in mente questo particolare. Gli inquirenti, però, si pongono un’altra domanda: come mai Palermo, potendo uccidere De Luca non lo fece e invece lo percosse con la rivoltella, secondo quanto hanno dichiarato i testimoni? A rispondere è il Carabiniere Vincenzo Zacchini:
– Fui io che raccolsi la rivoltella presso la mano del cadavere di Domenico Palermo. In ciò fare trovai che il cane ne stava alzato o, meglio, armato e che per quanta forza facessi sul grilletto e sul cane, questo non scattava, quantunque fosse alzata la sicura, ma non so spiegare per quale combinazione ciò avvenisse. Solamente posso aggiungere che l’abbassamento del cane potei poi conseguirlo seguitando a fare molta forza sul grilletto, accompagnando il cane col pollice affinché l’arma non esplodesse, essendo carica in tutti i sei colpi.
Alle ricerche per rintracciare Salvatore De Luca, formalmente imputato di omicidio volontario, partecipano anche agenti e funzionari di Pubblica Sicurezza mandati dal capoluogo e l’11 ottobre il ricercato viene segnalato in contrada Fiume Canaletta. De Luca, notati i poliziotti, si consegna nelle mani del Delegato Fortunato Arnone e della Guardia Ferdinando Ciaccio. Portato in Questura, dice:
– Si, l’ho ucciso io, ma l’ho fatto nell’atto di legittima difesa mentre ero stato aggredito da Palermo e da Vincenzo Scaglione, entrambi armati di rivoltella. Palermo tentò ripetutamente di esplodermi contro ed a brevissima distanza la rivoltella, ma non avendo fatto fuoco mi percosse con la medesima sul viso, producendomi le contusioni che vedete intorno l’occhio destro ed al naso.
Qualche giorno dopo De Luca viene formalmente interrogato dal Giudice Istruttore e ricostruisce le fasi della tragedia:
– Il tre ottobre si trovava sulla piazza del Municipio un piccolo ragazzo, mio figlio naturale, quando di tutta corsa ebbe a passare il trainiere del signor Giuseppe Magdalone conducendo biroccio e muli e poco mancò che non investisse mio figlio, se una donna lì prossima non l’avesse liberato. Io vidi quel brutto caso da una certa distanza e provato poi la guardia municipale, non potei fare ammeno di muovergliene lagnanza, domandandogli se in Rende v’erano regolamenti municipali per togliere simili inconvenienti o se i servi dei prepotenti ne erano immuni. Egli mi replicò che avrebbe denunziato l’accaduto ed infatti seppi che il trainiere era stato multato. La sera dell’otto, mentre mi ritiravo a casa mi incontrai, in vicinanza della piazza col medico De Rose, con Domenico Pisani e Gaetano Caputo, coi quali mi misi a discorrere. Stando così, venne a chiamarmi Vincenzo Scaglione il quale, prendendomi pel pettino della giubba, mi invitò a seguirlo, accennando di volermi dire una cosa e chiedendone il permesso ai presenti, io lo seguii fino avanti la porta della chiesa del Rosario, dove trovavasi pure Domenico Palermo. Scaglione, dopo avermi ricordato il fatto del mio ragazzo, soggiungendo che il trainiere ne era stato punito con multa, irruppe nelle seguenti espressioni: “Ma che tu sei persona di metterti in bocca il nome del mio padrone, vigliacco?”. Quindi, proseguendo a dirmi improperi, mi dette un pugno sotto gola e, afferrandomi per la barba con una mano, coll’altra estrasse la rivoltella, puntandola contro di me col cane inarcato. Confuso ed atterrito per quella attitudine di Scaglione, lo pregai di lasciarmi in pace e che non meritavo, né eravi bisogno di quel trattamento ed in ciò fare gli feci abbassare la mano colla quale mi aveva afferrato la barba. Allora si fece avanti Palermo, impugnando anch’esso la rivoltella, dandomi uno schiaffo e profferendo anch’esso mille improperi, con dirmi anche: “fatti avanti, fatevi avanti vigliacchi, se avete coraggio!”, alludendo agli altri compagni che avevo lasciato. Vedendo quei due così inferociti verso di me, nonostante le mie scuse e le mie preghiere, cercai allontanarmi rasentando il muro che circonda la piazza, ma costoro mi incalzavano sempre colla rivoltella alla mano per cui, giunto alla piccola salita che mena al Vaglio, girai per raggiungerlo. Palermo seguitò a tenermi dietro, mentre Scaglione mosse alla direzione della casa del padrone per armarsi di fucile, come poi ebbi a vederlo. Allora io, dubitando che costui mi prendesse alle spalle, scesi il Vaglio e sempre rasentando il muro giunsi fino alla bottega di Michele Iantorno, sempre inseguito da Palermo, che mi costrinse a fermarmi e, sempre inveendo, mi colpì ripetutamente colla punta della canna dell’arma alla faccia, tentando di fare scattare il cane della rivoltella, quantunque si fossero avvicinati Achille Armentano ed altri per indurlo a lasciarmi. Fu allora che io, esacerbato dal dolore delle percosse ricevute e per tema che Palermo giungesse a spararmi, estrassi la rivoltella ed esplosi un colpo, non con l’intenzione di uccidere, ma per intimorirlo. Dopo di ciò e senza vedere l’esito del colpo, mi sottrassi con la fuga.
– Scaglione sostiene che la discussione avvenne per lo stipendio che non vi era stato pagato…
– Non è affatto vero, mai ho avuto bisogno di far simili premure!
– Ci sono dei testimoni che asseriscono di avervi sentito dire parole oltraggiose e di sfida contro i due guardiani.
– Potrà essere stato ed era ben naturale, ma non ricordo di averli sfidati.
Ma, come abbiamo visto, la sua versione dei fatti su molti punti cruciali non combacia con le versioni offerte dai testimoni. Per esempio, nessuno ha visto Scaglione prenderlo per il petto e nessuno ha sentito Palermo sfidare gli amici di De Luca, anzi esattamente il contrario. E poi, se dopo aver sparato contro Palermo, come ha fatto a vedere Scaglione armato di fucile?
La conseguenza dell’interrogatorio, però, è che Vincenzo Scaglione, querelato dal maestro, viene arrestato per minacce con arma e ingiurie pubbliche. Interrogato, nega le minacce e conferma la sua versione dei fatti e nemmeno il confronto a cui vengono sottoposti serve a chiarire qualcosa.
Ascoltato come testimone, il signor Giuseppe Magdalone dice di non sapere nulla circa i motivi della tragica lite, solo dichiara:
– De Luca è un mio beneficiato ed anche di mio cugino Giovanni, non essendo pochi né indifferenti i vantaggi che ha avuto da noi, me egli ne ha malissimo corrisposto in modo che, per la sua condotta, ha dovuto pure essere, recentemente, licenziato da maestro comunale, posto che aveva conseguito per opera mia e di mio cugino. Ripeto che non so se l’azione dispiegata da esso contro il disgraziato Palermo possa avere relazione con la di costui qualità di mio guardiano. Palermo era un uomo di indole buonissima, avendolo così sempre riscontrato nei lunghissimi anni in cui si è trovato al mio servizio.
L’istruttoria può considerarsi chiusa e la Procura chiede ed ottiene, il 17 gennaio 1893, il rinvio al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza di Salvatore De Luca, in stato di detenzione, per omicidio volontario e Vincenzo Scaglione, a piede libero, per minacce a mano armata e ingiurie pubbliche.
Il dibattimento si apre il 15 marzo 1893 e dopo due udienze, la Corte, letti gli atti, ascoltati i testimoni e le richieste delle parti in causa, si ritira per mettere ai voti i quesiti posti alla giuria.
La prima questione posta ai giurati è: Siete convinti che l’accusato Salvatore De Luca nella sera 8 ottobre 1892 in Rende esplose un colpo di rivoltella contro Domenico Palermo, cagionandone la morte, avvenuta quasi istantaneamente?
La risposta è, e non potrebbe che essere, SI.
Alla seconda domanda: Siete convinti che l’accusato Salvatore De Luca commise il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sé o da altri una violenza attuale e ingiusta?
La risposta è, anche in questo caso, SI.
Non c’è bisogno di altro, Salvatore De Luca ha agito per legittima difesa e non è punibile per l’omicidio, ma viene condannato a 4 mesi di arresti per il porto abusivo di rivoltella, pena espiata con la carcerazione preventiva.
La conseguenza dell’assoluzione di De Luca non può che essere la condanna di Vincenzo Scaglione a 2 mesi e 23 giorni di reclusione, oltre le pene accessorie, spese e danni.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.