Orlando Onofrio ha dodici anni e lavora in contrada Piorata, agro di Mottafollone, al servizio di Francesco Sagulo. La mattina del 24 ottobre 1932, verso le ore 8, il padrone lo chiama:
– Prendi l’asina e vai a Malvito. Con queste sette lire mi compri il tabacco e due gomitoli di spada. Questi due galletti vivi nella bisaccia li porti al dottor Salerno e gli dici che glieli mando in regalo. Hai capito bene?
– Sissignore! Statevi tranquillo che verso mezzogiorno sarò di ritorno – gli risponde, contento di poter fare quel servizio facile e leggero, poi sale sul dorso dell’asina e parte fischiettando.
Mezzogiorno è passato da un po’ e Orlando non è ancora tornato. Non torna né il pomeriggio, né la sera e nemmeno la notte. Il mattino seguente Sagulo è preoccupato e incarica un altro suo lavorante, Mario Labrosciano, che tra l’altro è fidanzato con la sorella di Orlando,di andare a Malvito per chiedere se avessero visto il ragazzino. Il giovane si incammina, ma poco dopo torna indietro scuro in volto riconducendo l’asina:
– Stavo andando a Malvito quando mi ha fermato Giovanni Lamonica e mi ha detto che la notte passata, essendo stato svegliato dal continuo abbaiare dei suoi cani, si è alzato e ha trovato un’asina che pascolava nel suo orto e l’ha legata ad un albero. Pensando che fosse la vostra, mi ha chiesto di andarla a vedere ed era proprio la vostra! E poi, guardate qua… nella bisaccia ci sono pure i due galletti… io, comunque, a Malvito ci sono andato lo stesso, ma nessuno ha visto Orlando…
– Allora a Malvito non ci è proprio arrivato… vai ad avvisare la madre!
Nemmeno Vincenza, la madre, lo ha visto. Presagendo qualcosa di brutto, va a segnalare la scomparsa di Orlando ai Carabinieri di Malvito e poi, aiutata da parecchie persone volenterose, si mette a cercarlo per le campagne adiacenti e per i paesi vicini. Niente da fare, Orlando sembra essere svanito nel nulla, ma Vincenza non si arrende e continua a cercarlo nei giorni successivi, senza risultato.
È il 5 novembre e dalla scomparsa di Orlando sono passati dodici giorni. Come ogni mattina Vincenza si mette a battere le campagne e questa mattina risale il corso del fiume Rose. Arrivata in un punto dove il fiume fa gomito, sobbalza, poi si mette le mani sul viso e comincia ad urlare e disperarsi: semi sommerso dalle acque c’è il cadavere di Orlando!
Avvertito del ritrovamento del cadavere, il Procuratore del re di Castrovillari si reca personalmente sul posto a fare le constatazioni del caso: a circa un metro dalla sponda sinistra del fiume, il cadavere è poggiato sul fianco sinistro, bocconi, con la giacca riversa, non interamente coperto dalle acque; nelle vicinanze, in una zona interamente priva di erba, c’è il cappello del ragazzino. Poi è la volta dei medici legali. Il cadavere presenta le seguenti sei ferite, tutte prodotte da arma da taglio, probabilmente scure: 1^) una vasta ferita al collo, sulla regione laringea, lunga circa dieci centimetri con recisione delle carotidi e profonda fino alle vertebre cervicali; 2^) e 3^) due ferite al lato destro del mento, con l’osso sottostante completamente scoperto; 4^) una ferita, della lunghezza della rima orale, interessante le parti molli, gl’incisivi superiori laterali destri, il mascellare e la parte alveolare degli stessi incisivi; 5^) una ferita sulla regione palpebrale inferiore destra, larga circa due centimetri, interessante solo le parti molli; 6^) una ferita alla base frontale nella regione sottocigliare, lunga sei centimetri, con scheggiamento dell’osso sottostante.
Una ferocia ed una violenza inaudite. Un orrido scempio.
I Carabinieri iniziano le indagini ascoltando Santo Marino, la cui casa colonica trovasi nelle vicinanze del ponte Rose, che potrebbe aver visto qualcosa di interessante:
– La mattina del 24 ho visto Orlando transitare sul ponte a cavallo di un’asina, diretto verso Malvito. Dopo un certo tempo l’ho visto ripassare davanti casa mia e gli ho chiesto il motivo di questo vai e vieni. Orlando mi ha risposto che aveva perso il denaro ricevuto dal padrone per comprare il tabacco. Dopo un po’ è ripassato di nuovo e poi, verso le due dopo pranzo, ritornare in compagnia di un certo Oscarino, che lo affiancava cavalcando un altro asino…
I Carabinieri non ci mettono molto a scoprire che Oscarino, Oscar Guerriero, ha quindici anni e fa il domestico nella masseria di Paolo Sorace ed è lì che lo vanno a interrogare:
– Il 24 ottobre mi sarei accompagnato con Orlando a cavallo di un asino? Io Orlando non lo vedo da circa quattro mesi!
– Davvero? Vieni con noi in caserma e vediamo se lo ripeti in faccia a chi ti ha visto quel giorno!
Oscarino è un duro e anche davanti a Santo Marino ripete la sua versione. Allora Marino fa una rivelazione sensazionale:
– Oscarino, prima che Orlando venisse ammazzato, mi confidò di tenere il ragazzo sullo stomaco e di doverlo, qualche giorno, far sparire dalla circolazione; dopo il delitto, lo stesso Oscarino mi incontrò al pascolo e mi disse: “A quando a quando me lo sono cacciato davanti!”
Davanti a questa rivelazione Oscarino sbianca in viso, si guarda intorno con gli occhi spalancati e lucidi, vacilla, balbetta qualcosa e poi, vinto dalla gravità della prova, guarda il Vice Brigadiere Manca e gli fa segno che vuole parlare:
– Il 24 ottobre incontrai Orlando nella contrada Lissiene mentre questi, su di un’asina, si dirigeva verso il ponte Rose. Mi accompagnai con lui fino alla curva della via in contrada Palombaro, dove ci separammo ed io presi la strada che conduce alla mia masseria. Nella sera, mentre passeggiavo, incontrai, nelle vicinanze del detto ponte, Amerigo Lamonica e Armando Greco, i quali mi invitarono ad andare con loro fino al greto del fiume, dove mi fermai e non volli passare sull’altra sponda. Essi si recarono nel vicino boschetto dove, raggiunsero Orlando e gli infersero diversi colpi non distinguendo per l’oscurità della notte se fossero pugni, bastonate o colpi di scure. Sentii gridare Orlando una sola volta e subito, di corsa, mi diressi alla mia masseria, senza sapere più nulla. Dopo tre o quattro giorni incontrai novellamente, nei pressi dello stesso ponte, Armando Greco il quale m’ingiunse di tacere quanto sapevo della morte di Orlando, se non intendevo fare la stessa fine. Trascorsero altri giorni e una notte vennero a bussare alla porta della masseria Amerigo Lamonica, Francesco Greco, il fratello di Armando, e Giuseppe Cerbelli, i quali vollero acceso il fuoco per asciugarsi, essendo caduti nel fiume. Poi andarono via senza rivolgermi alcun avvertimento, forse perché era presente il figlio del padrone…
Sarà vero? Per accertarlo, i Carabinieri arrestano Lamonica, i fratelli Greco e Cerbelli, ma tutti si dichiarano estranei ai fatti, nonostante Oscarino confermi le sue accuse sia davanti al Giudice Istruttore, sia in confronto con i quattro, ma il Procuratore Generale del re si convince che i quattro sono estranei ai fatti e chiede il rinvio a giudizio sono per Oscarino Guerriero. Il Giudice Istruttore, a sua volta, prima di decidere sul provvedimento da adottare, interroga nuovamente l’unico indiziato:
– Non è vero che la sera del 24 ottobre incontrai Lamonica e Amerigo Greco, in quanto quella sera non mi allontanai affatto dalla masseria…
– E perché li hai accusati?
– Sono stato indotto a fare quella dichiarazione dalle percosse ricevute dai Carabinieri e poi ho mantenuto la stessa versione per paura e per rendere più sollecita la trattazione della causa, riservandomi di dire la verità in udienza, mentre poi ho approfittato del nuovo interrogatorio della Signoria Vostra per dire la verità…
– Ma allora, come mai Santo Marino ha fatto il tuo nome?
– Non lo so…
Troppo puerile come motivazione, così il Giudice Istruttore, l’8 luglio 1933, lo rinvia al giudizio della Corte d’Assise di Castrovillari per rispondere di omicidio, mentre gli altri quattro vengono prosciolti per non aver commesso il fatto.
Nell’udienza del 25 novembre 1933, anche per la Corte la ritrattazione fatta all’ultima ora non è attendibile. E spiega: le sue giustificazioni sono inverosimili ed assurde perché egli, allorquando il teste Santo Marino, in un atto di confronto, gli rinfacciò le confidenze da lui ricevute prima e dopo l’uccisione di Orlando Onofrio, non solo accusò Amerigo Lamonica e Armando Greco, ma ammise di essere stato presente sul luogo del delitto, pur negando di aver preso parte alla strage dell’infelice giovinetto. Quindi, la dichiarazione che egli rese al Vice Brigadiere Manca immediatamente dopo il confronto, non gli poté essere estorta con la violenza, ma fu spontanea perché i molti particolari da lui narrati non erano conosciuti dai Carabinieri, né essi avrebbero potuto inventarli. Se, davvero, egli avesse parlato per effetto di violenze subite in caserma, si sarebbe limitato a confermare quanto il teste Marino gli aveva attribuito, senza lanciare accuse contro Lamonica e Greco, né le sue ammissioni ne avrebbero compromessa la responsabilità, giacché egli poteva essersi incontrato, la mattina del 24 ottobre, con Orlando Onofrio ed aver fatto con lui un tratto di strada, come poteva aver nutrito un certo risentimento verso di lui e aver dimostrato la sua soddisfazione apprendendone la scomparsa, senza che da tutto ciò si dovesse desumere che egli aveva partecipato all’omicidio. Invece espose al Vice Brigadiere Manca fatti diversi e particolareggiati e questi dovevano avere un fondamento di verità in quanto, se egli li avesse inventati in seguito a violenze, li avrebbe certamente smentiti appena cessato lo stato di coazione quando comparve dinanzi al giudice, mentre egli ciò non fece, anzi confermò quanto aveva narrato e perfino sostenne la narrazione nel confronto con gli altri imputati da lui nominati. Pertanto, puerili ed inverosimili sono le giustificazioni da lui addotte quando fu, l’ultima volta, interrogato dal Giudice Istruttore.
Va bene, la Corte ha spiegato perché la ritrattazione di Oscarino non è credibile, ma a questo punto c’è un problema perché se la ritrattazione non è credibile e la dichiarazione valida è, per il Giudice Istruttore e la Corte, quella resa durante il confronto con Santo Marino, come mai gli altri quattro sono stati prosciolti per non aver commesso il fatto e Oscarino, che non ha mai confessato l’omicidio è l’unico imputato? Perché, dice la Corte, a carico di Oscarino rimangono sempre le due gravi circostanze che egli, cioè, ammise di essersi trovato presente sul luogo del delitto e rese le note confessioni al teste Marino. Inoltre, le sue accuse contro Lamonica e Greco dimostrano chiaramente, per la Corte, che furono fatte col fine di precostituirsi la prova della propria innocenza, avendo previsto che quei due avrebbero potuto riversare su di lui ogni responsabilità. La prova di ciò risiederebbe nel fatto che, non appena fu messo a conoscenza della requisitoria del Procuratore Generale che scagionava gli altri quattro e che sarebbe rimasto l’unico a rispondere del delitto, pensò che fosse opportuno di ritrattare tutto per provvedere al proprio salvataggio, senza preoccupazione di chiamate di correo da parte degli altri imputati. Pensò, quindi, che bastasse ricorrere alla storiella delle violenze dei Carabinieri per indurlo ad accusare Lamonica e Greco, che i militari nemmeno conoscevano.
La conseguenza di questo tortuoso ragionamento è che, per la Corte, riesce evidente come Oscar Guerriero si sia reso colpevole dell’omicidio in persona di Orlando Onofrio.
La difesa, a questo punto, tenta l’ultima carta possibile: sostenere l’incapacità di intendere e di volere del suo assistito, ma la Corte respinge ogni possibile tentativo in questa direzione, sostenendo che egli, minore di 18 e maggiore dei 14 anni, ha agito con capacità di intendere e di volere giacché tale capacità si evince chiaramente da una serie di elementi soggettivi, intimamente connessi e cioè dalle confidenze fatte prima e dopo il delitto a Santo Marino, dalla confessione resa al Vice Brigadiere Manca, confermata davanti al Giudice Istruttore e sostenuta anche in confronto con gli altri arrestati, e dalla successiva ritrattazione, rivelando, con tutto ciò, la normalità delle sue facoltà psichiche ed la piena capacità di intendere e di volere.
Ma Oscarino volle veramente uccidere? Per la Corte non ci sono dubbi, lo dicono la ripetizione dei colpi, l’arma usata (scure) per sé stessa micidiale e la regione vitale presa di mira, il collo, avendo dovuto prevedersi che la recisione delle carotidi avrebbe prodotto, come produsse, imponente emorragia e quindi la morte.
In quanto alla pena, tenendo presente le condizioni morali e sociali dell’imputato, l’abbandono in cui egli è vissuto e il grado di pericolosità sociale da lui dimostrato, stima equo partire da anni 21 di reclusione che, diminuiti di un terzo per il beneficio dell’età minore, si riducono ad anni 14. Di questa pena, non ostandovi i precedenti penali, vanno dichiarati condonati anni 5 per effetto del R.D. 5 novembre 1932, N. 1403, restando anni 9 di reclusione, oltre le pene accessorie, spese e danni.
In tutto questo non è stata spesa una sola parola per indicare il movente che avrebbe spinto Oscar Guerriero ad uccidere orrendamente Orlando Onofrio. Forse perché “lo teneva sullo stomaco”? Certamente no perché né in fase di rinvio a giudizio, né durante il dibattimento gli hanno contestato l’aggravante dei futili motivi. Per rapinarlo delle 7 lire? Certamente no perché nessuno ha smentito il teste Marino il quale dichiarò che Orlando gli disse di avere “perso i soldi del padrone”. E allora perché lo ha ucciso?
Il 14 marzo 1938, la Corte d’Assise di Castrovillari dichiara condonati altri anni 4 della pena per l’indulto di cui al R.D. 15 febbraio 1937, N. 77.[1]
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Castrovillari.