La mattina del 27 marzo 1893 il Brigadiere Gesualdo Santilli, comandante la Stazione dei Carabinieri di Scalea, prende carta e penna e scrive al Pretore per esternargli le sue preoccupazioni circa una indiscrezione che da qualche giorno gira insistentemente in paese:
dalla pubblica voce si è appreso che Stummo Giuseppina d’anni 27, contadina da Scalea, fosse stata gravida e che il 24 corrente poi fossesi sgravata e quindi ucciso il figlio. La detta Giuseppina nega perfino di essere stata in istato di gravidanza. Da quest’Arma stassi indagando con ogni possibile impegno per stabilire la reità della colpevole. La prego (se lo credesse opportuno) far sottoporre a visita medica la Giuseppina per raccogliere la necessaria prova se effettivamente fosse sgravata di recente, ciò che non posso io ordinare.
Quello che il Brigadiere Santilli non sa è che qualcuno in questi stessi momenti sta scrivendo un biglietto al Pretore per denunciare la medesima cosa:
Signor Pretore
Vedete che Peppina Stummo, figlia di Teresa e moglie di Ntonio Guirrise sono piu giorni, ha figliato e di concerto con la sua matre anno ammazzato il figlio e lanno nascosto e la domenica e andata alla missa per non farne accorgire a nessuno e tutto il paise sa il fatto.
Ovviamente il biglietto non porta alcuna firma e il Pretore, forte del verbale di Santilli e del biglietto, si convince che è il caso di far visitare Giuseppina dal dottor Carmelo Del Giudice. Lo stato obiettivo della giovane donna non lascia alcun dubbio:
– Osservata Giuseppina Stummo, trovo in questa tutti i segni del puerperio. Difatti, la vulva è allargata, le grandi e piccole labbra sono tumefatte, la bocca dell’utero dilatata e dalla vagina sgorga discreta quantità di sangue sieroso. Sulla parte non si osservano segni od impronte di manovre o mezzi usati per procurare l’aborto. Giudico, quindi, che la Stummo sia sgravata da cinque o sei giorni.
Giuseppina abbassa gli occhi mentre il Pretore le rivolge uno sguardo severo e le dice:
– E adesso come la mettiamo? Racconta come sono andate le cose e dicci dov’è il bambino o la bambina.
– Venerdì 24, ritiratami da campagna da dove portai un fascio di legna, m’intesi un incomodo nel ventre. Ero gravida, non so di quanti mesi, per relazioni illecite avute con Peppino Filippone della provincia di Reggio Calabria. Sospettando uno sgravo, per nascondermi da mia madre, andai in San Nicola Arcella da una mia comare a nome Carmela, di cui ignoro il cognome perché forestiera, ma lo sanno i Carabinieri. Ero partita da qui sotto mezzogiorno; dopo tre ore dall’arrivo diedi alla luce un feto morto di cui ignoro il sesso. La mia comare lo prese e lo andò a seppellire, ignoro dove. Dopo ciò feci ritorno in casa e tacqui l’avvenimento a mia madre, la quale ignorava pure la mia gravidanza… – un racconto scarno con troppi “ignoro” non può bastare ed il Pretore insiste finché non ottiene qualche altra indicazione – Non è vero che partorii a San Nicola perché, portatami colà dalla mia conoscente Carmela, costei mi consigliò andare in campagna e così prendemmo la via della Petrosa e sgravitai in uno scarazzo diruto ed aperto. Ciò che avvenisse dopo il mio sgravo non ricordo perché fui presa da deliquio, però posso assicurarvi ero io sola con la vecchia e poscia sgravata sopraggiunse Peppino, il mio innamorato. Non so se in quel momento il bambino era vivo o morto, né se è nato vivo o morto…
Non è ancora molto, però adesso si sa che c’è sicuramente un’altra persona coinvolta ed un’altra che potrebbe esserlo. Bisogna rintracciare Peppino Filippone e la misteriosa Carmela. Il primo ad essere rintracciato è l’uomo:
– Ebbi relazioni carnali da circa otto mesi con Peppina e con la stessa convissi, abitando in sua casa, dove abitava anche sua madre. Uscita gravida, mi manifestò il pensiero di involare il parto perché, avendo il marito in America e prossimo a ritirarsi, non avrebbe voluto far conoscere a costui l’onta al suo onore. Persistendo nell’idea di esporre il feto, le feci conoscere Carmela Prioli e null’altro volli saperne.. essa, dopo avere io indicato a Giuseppina l’abitazione della Prioli, si pose in concerto con costei. E poiché la Prioli chiedeva del denaro in anticipo, le diedi dieci lire, non avendo altro. La mattina del 24 Giuseppina mi disse di andare alla Petrosa, ove si sarebbe trovata anche la Prioli. La sconsigliai di andarvi, ma poiché era passato qualche tempo senza ritornare, mi portai colà e trovai Peppina in preda a dolori e dopo meno di un’ora partorì un bambino vivo – così adesso sappiamo che il bambino (o la bambina) è nato vivo –. La Prioli, che assisteva Peppina, raccolse il bambino entro una tovaglia e poiché così non lo vide morire, si strappò un laccio rosso dalle vesti e, legandolo al collo del bambino, lo strinse forte da strangolarlo. Vistolo, così, morto, se lo pose sotto le vesti e lo portò via. La madre rimase abbassata al suolo e diceva “sono stanca”. Non so se si accorgesse di quell’avvenimento. Io però, quantunque impressionato, pure vedendo agire in quel modo la Prioli, più volte le replicai: “lascialo stare, lascialo stare”, ma la vecchia proseguì. Ignoro quali cose certe fossero state tra loro stabilite, io però non volevo quella morte, tanto vero che quando Peppina mi manifestò il divisamento di trafugare o allontanare il parto, la sconsigliai promettendole financo che l’avrei tenuta con me, alimentando lei ed il frutto del parto. La Prioli non cessava di promettere che avrebbe fatto in modo da non fare appurare nulla. Dopo l’avvenimento Peppina si ritirò dalla via di sopra ed io da quella di basso e ci riunummo nella sua casa, ov’era al solito la madre…
Gli si potrebbe contestare che invece di limitarsi a dire di lasciare stare il bambino avrebbe potuto agevolmente fermare Carmela Prioli, se veramente non voleva quella morte, sempre ammesso che abbia detto la verità, perché ci sono alcune palesi contraddizioni che fanno pensare. Ma per le contestazioni c’è tempo, meglio ascoltare cosa ha da dire Carmela:
– Più mesi dietro Filippone mi parlò che una donna di sua conoscenza aveva paura di dare alla luce qualche bambino poiché trovandosi il marito in America, se avesse saputo che lei era ingravidata non l’avrebbe più trattata. Fu allora che io le promisi assistenza ed avendo conosciuto da lei che ancora avrebbe dovuto scorrere un altro mese e mezzo o due per partorire, si rimase che si sarebbe adottata una misura onde nascondere il fatto. La mattina del 24 la donna mi fece chiamare a San Nicola da una sua comare perché l’erano comparsi i dolori; ci avviammo per un casaleno aperto sulla Petrosa, in un luogo più solitario. Poco dopo giunse Filippone e tutti e due assistemmo la partoriente, che dopo circa un’ora diede un bambino maschio, vivo e ben formato – ecco, finalmente sappiamo che si trattava di un maschietto –. Io lo raccolsi sopra una tovaglia e senza fargli male. Avvicinandolo a Filippone gli chiesi cosa se ne dovesse fare. Costui, allora, con un laccio rosso o meglio con una straccia rossa, lo strangolò. Quindi, avendomi domandato che cosa farsi del cadaverino, io lo consigliai nasconderlo in qualche buco, onde io me lo presi nascondendolo nelle mie vesti e lo posi in un buco nel muro di cinta del Camposanto di San Nicola. Ricordo pure che quando ripresi dalle mani di Filippone il feto poco fiatava, sicché egli si affrettò a legargli la gola, mentre io lo sorreggevo. Io non mi accorsi come fece perché badavo alla partoriente e ignoro se costei avesse voluto la morte del bambino, ma ricordo che mentre Filippone era intento a legargli la gola, essa diceva “fate presto”… – una ricostruzione confusa e contraddittoria.
– È vero che Filippone vi diede dei soldi?
– È vero, dieci lire, ma io non intendevo cooperare all’uccisione, sebbene aiutarla nel parto, quella donna. Tanto vero che le applicai nella vulva l’aruta per contentarla nelle richieste di affrettare il parto, mentre sapevo che ciò a nulla sarebbe valso…
Come prevedibile, è cominciato il palleggiamento delle responsabilità tra i due indiziati e se nessuno dei due cederà confessando pienamente, si rischia di non poter condannare nessuno. Ma è ancora presto per pensarci, adesso bisogna correre al cimitero di San Nicola Arcella e trovare il bambino.
Sul tavolo di marmo della camera mortuaria del cimitero c’è il cadaverino, nudo come è stato trovato nel buco. Accanto a lui c’è il dottor Carmelo Del Giudice che ha sistemato i suoi attrezzi. Più distanti il Pretore ed il Cancelliere seduti dietro un tavolino portato per l’occasione, pronti a verbalizzare tutto:
– Si osserva un bambino di sesso maschile, ben conformato, con capelli lunghi ed unghie che superano l’estremità dei polpastrelli. La pelle’è ricoperta sulle pieghe articolari da materia sebacea. Il collo è avvolto con un laccio o straccio rosso; il cordone ombelicale è lungo quarantadue centimetri e termina sfrangiato per strappamento dello stesso…
– Siete in grado di stabilire se alla nascita era vivo o morto?
– Dalle risultanze ottenute dalla mia osservazione porto giudizio che il bambino nacque vivo e vitale e visse poche ore e posso contare cinque o sei giorni dalla nascita.
– La causa della morte?
– Giudico che causa della morte sia stata lo strangolamento avvenuto col laccio o straccio rosso, mercè il quale è morto per asfissia.
Orrore.
Ma c’è qualcos’altro da accertare per arrivare a circoscrivere le singole responsabilità: chi ha davvero procurato il laccio o straccio rosso? Intanto viene effettuata una perizia per stabilirne la natura: è lungo centimetri ventuno e mezzo, ha circonferenza di centimetri uno e mezzo e si osserva chiaramente che il detto straccio rosso è stato appositamente cucito allo scopo di ottenere un laccio. E questo fa pensare che, contrariamente a quanto dichiarato da Filippone e confermato da Carmela Prioli, non sia stato strappato sul momento dalle vesti della donna ma preventivamente preparato per l’orrendo scopo e quindi si potrebbe configurare la premeditazione del delitto.
Filippone però insiste:
– Lo straccio non l’ho procurato io, lo ha procurato la Prioli strappandolo dalle vesti.
– Lei dice che lo ha dato a te in braccio e che tu lo hai strangolato.
– Io non ho avuto in braccio il bambino; essa lo teneva ed essa strinse la gola al bambino con quello straccio; io badavo invece a coprire con uno sciallo Peppina per ripararla dal freddo.
Carmela Priori, da parte sua, ritratta tutto:
– Non nego di aver confessato che lo straccio rosso lo strappai da una mia sottoveste, ma in quel momento dell’interrogatorio io non reggevo con la mente e dissi con ciò una inesattezza. Ora che ricordo meglio le cose, vi dico: io porsi e consegnai il bambino appena nato a Filippone e non so come, dove e chi procurasse quello straccio rosso e lo legasse alla gola del bambino. Dovette certamente essere Filippone. Peppina non fu, essa disse a Filippone, che aveva il bambino in braccio: “Peppino fa presto che passano i Carabinieri”. Infatti ciò era da temere perché il casaleno ove eravamo è vicino alla via tra Scalea e San Nicola Arcella ed è frequentato dai Carabinieri.
Per caso, si scopre che Peppino Filippone non si chiama così, ma Domenico Surace. Filippone è il cognome del secondo marito di sua madre, colui il quale lo ha cresciuto. Chiarito questo equivoco si può continuare ad indagare, ma ormai gli inquirenti si sono incartati nelle continue ritrattazioni dei due indagati. Per esempio, adesso Domenico Surace (alias Peppino Filippone) dice che si è trovato a passare per caso dal luogo dove si trovavano le due donne e si accorse che Carmela Prioli aveva già effettuato il divisamento di Peppina, strangolando il feto. Peppino si dice molto dispiaciuto e dolentissimo di non aver potuto impedire lo strangolamento perché era già stato consumato.
L’ultima ritrattazione di Carmela Prioli è un capolavoro:
– Nel mese di marzo scorso ritornavo da Scalea e lungo la strada vidi una donna ed un giovane, che credevo marito e moglie; la donna si contorceva e lamentava. Io mi avvicinai per sapere cosa ella soffrisse e mi accennò a dolori di parto. Allora io la incoraggiai e, benché poco esperta in materia ostetrica, cercai di assisterla, per quanto ho potuto, tenendo il feto un po’ sospeso dopo lo sgravio e dando agio a lei perché avesse espulso la placenta. Ebbi cura di legare con un filo il cordone ombelicale del neonato, che consegnai all’uomo. Dopo ciò cercai di aiutare la puerpera apprestandole delle cure e non m’interessai del neonato, che avevo già affidato a quell’individuo. Ricordo che la donna disse al giovane: “Peppino fai subito perché è facile che in questo luogo si trovano a passare i Carabinieri e saremo compromessi”. Dopo qualche istante io chiesi del bambino al giovane ed egli, tutto stizzito, rispose: ”pensate di assistere e curare la puerpera perché il neonato è già morto ed io non ne voglio sapere!”. In seguito, siccome egli manifestò l’idea di voler sotterrare in quel punto il neonato, io mi sono opposta perché poteva essere divorato da qualche animale e mi offrii spontaneamente di portarlo nel camposanto di San Nicola, dove difatti lo portai, deponendolo in un buco. Ripeto che se il neonato fu strangolato, ciò avvenne non per opera mia, ma per opera di quel giovane a cui lo avevo affidato, né vi è stato tra me, lui e la donna alcun precedente concerto, né ebbi alcuna somma dal giovane o dalla donna in compenso del servigio prestato.
Ogni commento è inutile.
Se è chiaro che Peppina non è ritenuta responsabile materiale dell’infanticidio, è altrettanto chiaro che dalle dichiarazioni di Peppino Surace e Carmela Prioli potrebbe essere responsabile almeno di istigazione a delinquere, quindi viene richiamata davanti al Magistrato:
– Dichiaro di essere innocente e di non aver preso parte alcuna nell’infanticidio commesso da Carmela Prioli – come esordio non c’è male, anche perché adesso scopriamo non essere vero che mentre cadde in deliquio non si rese conto di ciò che le accadeva intorno, perché qualcosa la vide: Carmela che strangolava il bambino!
– Cosa potete dire sulla circostanza di cui vi accusa Surace e cioè che, mentre eravate incinta, gli avete parlato di sbarazzarvi del bambino per non farlo sapere a vostro marito e vi siete fatta aiutare dal Surace e dalla Prioli?
– È del tutto falso che io abbia manifestato l’idea a Peppino che avrei distrutto e fatto sparire il feto.
– E dei soldi offerti a Carmela Prioli per aiutarvi a sopprimere il bambino?
– Io non offrii, né diedi alcuna somma a Carmela perché si prestasse ad effettuare il mio divisamento criminoso, ma la chiamai soltanto per assistere allo sgravo. Non mi sono neanche accorta se il feto fosse nato vivo o morto e molto meno se la Prioli lo avesse strangolato perché svenni… se in me vi era davvero l’idea di fare sparire il feto, avrei eseguito tutto ciò da me senza il concorso di altri, infatti non è vero che tra me, Carmela Prioli e Peppino Surace si fosse, precedentemente al parto, formato il disegno di disfarci del feto appena fosse venuto alla luce.
– Peppina, Peppina cosa combini? Insomma sei svenuta o hai visto Carmela strangolare il bambino? – il Magistrato cambia tono – Come fai in 5 minuti ad affermare una cosa e dire esattamente il contrario? – Peppina non risponde ed il Magistrato continua a incalzarla – Andiamo avanti… ci risulta che Carmela Prioli ha provato più volte a farti abortire…
– Non è vero, come non è vero che conoscessi la Prioli prima dello sgravo, né che Peppino avesse dato lire dieci a quella!
– Ah! E scommetto che Surace è arrivato dopo lo sgravo…
– Io vidi Surace nel casaleno alla Petrosa dopo che sgravai e non prima.
– Allora, torniamo al punto cruciale: hai visto chi ha strangolato il bambino?
– Quando rinvenni dal deliquio non trovai il neonato e tanto Surace che Carmela Prioli mi dissero che era morto e me lo fecero vedere tale.
In molti punti è praticamente la stessa versione di Carmela Prioli, che si siano messe d’accordo?
La situazione non cambia nemmeno dopo i numerosi confronti a cui i tre vengono sottoposti e non sembra esserci via d’uscita, la Procura però vuole procedere ugualmente e chiede il rinvio a giudizio per tutti gli imputati con la medesima ipotesi di reato, ma con una sorpresa: per avere, a fine di uccidere e con premeditazione, in qualità di esecutori e cooperatori immediati del delitto medesimo, cagionata la morte mercé strangolamento di un bambino procreato da Stummo Giuseppina, con la speciale circostanza di essersi da costei commesso l’omicidio, in cooperazione con gli altri, per salvare il proprio onore. E forse così la Procura potrà salvare capra e cavoli perché se riuscirà ad ottenere la condanna di Peppina quale esecutrice materiale, ovviamente ad una pena molto mite trattandosi di delitto d’onore, di conseguenza verranno condannati gli altri due.
Il 19 settembre 1893 la Sezione d’Accusa accoglie la richiesta e rinvia i tre al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza. Il dibattimento è fissato per il 5 dicembre successivo.
La Corte non ha dubbi: sono tutti e tre responsabili, ma per determinare le pene bisogna fare i conti con il movente: l’onore!
La Corte motiva così le proprie scelte: Attesoché la pena dell’Omicidio con premeditazione è dell’ergastolo, che per le attenuanti viene sostituito dalla pena della reclusione per anni trenta; atteso ché l’infanticidio per salvare il proprio onore sia punito da tre a dodici anni di detenzione e la Corte, per le circostanze del fatto, crede di applicare il minimo, cioè anni tre, che si riducono ad anni due e mezzo per le attenuanti; atteso ché il reato fu commesso prima del 22 aprile 1893 e quindi devono condonarsi tre mesi sulla pena della reclusione e sei mesi sulla pena della detenzione.
Per questi motivi la Corte condanna Domenico Surace (alias Peppino Filippone) e Carmela Prioli alla pena della reclusione per anni trenta per ciascuno, di cui condona mesi tre; condanna Giuseppina Stummo alla pena della detenzione per la durata di anni due e mesi sei, di cui condona sei mesi.
Per tutti le pene accessorie e le spese.[1]
I danni in questi casi non sono contemplati perché si tratta semplicemente della barbara morte di un figlio della colpa.
[1] ASCS, Processi Penali.