Antonietta Bianco, contadina di San Giovanni in Fiore, orfana di guerra, vive con la madre cieca ed una sorella più piccola e tutto sommato non se la passano malissimo con la pensione che lo Stato ha assegnato alla famiglia. Nel 1930, a diciotto anni, Antonietta comincia ad amoreggiare con Luigi Ruggiero ed il fidanzamento va avanti tranquillamente fino alla notte del primo luglio 1933, quando Luigi, stanco di aspettare, scalando un muro esterno della casa di Antonietta ed attraversando un finestrino della soffitta, riesce a penetrare nell’abitazione e ad arrivare come un fantasma nella stanza della fidanzata. Nel massimo silenzio si sfila i calzoni e le mutande, si avvicina al letto dove Antonietta è stesa con indosso solo la camicia da notte che le lascia scoperte quasi tutte le gambe. Alla vista della pelle nuda, illuminata dalla luce fioca della luna, sente il membro inturgidirsi fin quasi a scoppiare e allora preme con forza una mano sulla bocca della ragazza che, mancandole l’aria, si sveglia di soprassalto proprio mentre Luigi è sopra di lei e sta armeggiando per violarla. Antonietta scalcia, tira pugni all’impazzata, ma non c’è niente da fare, la poca aria che le entra nei polmoni non basta a farla restare lucida, sbarra gli occhi e perde le forze nell’attimo stesso in cui sente quel dolore così forte da sembrarle una spada che la trafigge dal ventre fino al cuore per un tempo che sembra infinito, ma che in realtà dura solo pochi secondi. Finalmente Luigi si sfila e con la mano libera fa segno alla fidanzata di non fiatare, poi fa un altro gesto, ancora più terribile: si passa il pollice da un lato all’altro della gola ed il messaggio è chiarissimo. Taci o ti ammazzo!
Finita la sua ignobile impresa, come se niente fosse accaduto, fa a ritroso lo stesso percorso e sparisce nel buio della notte.
E come se questa ignobile impresa sia stata una cosa normale, la mattina dopo si presenta a casa di Antonietta per parlare con la madre:
– Ormai la cosa l’ho fatta, non fate la denuncia perché me la sposo!
Con questa promessa e con questa premessa, Luigi continua a godere dei favori della fidanzata, addirittura convivendo con lei quasi more uxorio, scroccandole anche del denaro e dei piccoli doni, ma più passano i mesi, meno si parla del benedetto matrimonio riparatore.
Antonietta sta perdendo la pazienza e Luigi, in seguito alle minacce della giovane, pensa bene di darle una calmata con una denuncia per porto abusivo di coltello e facendola, così, condannare a 6 mesi di arresto. Ma poi pare capire che si sta cacciando in un vicolo cieco e si convince a fare le regolari pubblicazioni di matrimonio dinanzi al Parroco e l’ufficiale dello stato civile.
Si è davvero convinto? No, è tutta una messa in scena perché alle persone dabbene del paese che gli muovono aspri rimproveri per la sua riprovevole condotta e gli fanno vive premure di addivenire al progettato matrimonio, non senza fargli presenti i pericoli a cui andrà incontro in considerazione che Antonietta, per il suo carattere fiero e risoluto non avrebbe subito in pace l’onta patita, risponde sempre:
– Le nozze, alle quali è decisamente contraria anche mia madre, non si celebreranno mai!
– E quindi quali sono le tue intenzioni?
– La mia unica intenzione è quella di continuare a godere i favori di Antonietta!
E si va avanti così fino al 22 giugno 1935, il giorno in cui scadono i sei mesi di termine massimo per la celebrazione del matrimonio.
Antonietta aspetta nei pressi della casa di Luigi che lui torni dalla campagna. Quando finalmente lo vede, gli si avvicina e gli dice:
– Che dobbiamo fare? Oggi scadono le pubblicazioni, il Municipio è ancora aperto, andiamo a sposarci…
– Ma sei pazza? Non ci penso nemmeno!
Antonietta lo prega più volte con le lacrime agli occhi, ma Luigi è irremovibile; no, no e ancora no! Allora, mentre lui sta aprendo la porta di casa, lei passa alle ingiurie e alle minacce, ottenendo soltanto di vedersi sbattere la porta in faccia. A questo punto Serafina Pulice, cognata di Antonietta, avendone sposato il fratello maggiore, tiene in bella vista un coltellino, come per dirgli: “ti conviene uscire e parlare, altrimenti…”: il gesto ottiene l’effetto sperato di far aprire la porta di casa a Luigi, che si avvicina alla fidanzata ed i due cominciano un breve colloquio:
– Lo sai che se non mi sposi, per causa tua sarò per sempre perduta?
– E che me ne fotte?
– Luigi, ti prego, sposiamoci, poi farai quello che vuoi… – arriva a dirgli mentre i singhiozzi le squarciano il petto.
– No, ora cominci a seccarmi davvero! – le risponde con tono aspro mentre va verso la stalla per governare l’asino. Antonietta lo segue e nella stalla la discussione diventa davvero accesa perché, ad un certo punto, Luigi spinge violentemente la ragazza, facendola cadere per terra. Al colmo dell’esasperazione, Antonietta estrae dalla tasca il coltello che teneva nascosto sotto la veste e con tutta la forza che ha lo pianta nel ventre dell’ormai ex fidanzato e mancato marito, poi se ne va.
Luigi fa i pochi metri che lo separano da casa con passo incerto, premendosi le mani sulla gravissima ferita, che dopo due giorni di agonia lo porterà alla morte.
Antonietta si costituisce tre giorni dopo e viene interrogata:
– Luigi, non solo si era recisamente rifiutato di sposarmi e mi ha anche percossa facendomi stramazzare a terra, ma ha anche cercato di estrarre una rivoltella di cui era armato col non dubbio proposito di uccidermi… dovevo sottrarmi a morte certa e gli ho vibrato il colpo…
I riscontri investigativi non le sono favorevoli su un punto centrale: aveva o no una rivoltella la vittima? In tasca al cadavere non ne sono state trovate e la testimone oculare Caterina Loria esclude che Ruggiero fosse armato di rivoltella. Ma ci sono un altro paio di circostanze che fanno dubitare della legittima difesa: la prima consiste in una lettera scritta da Antonietta al Maresciallo dei Carabinieri di San Giovanni in Fiore, nella quale si limita ad esprimere il suo fermo proposito di aver voluto uccidere il suo seduttore, senza accennare neppure vagamente di avere commesso il delitto perché costretta dalla necessità di respingere l’ingiusta aggressione dell’ucciso; la seconda è che Luigi Ruggiero, in occasione di altro diverbio aveva esploso un colpo di rivoltella contro Antonietta e quindi, se il 22 giugno fosse stato armato di pistola, certamente ne avrebbe fatto uso o prima o immediatamente dopo che fu ferito.
L’impressione degli inquirenti è che la versione fornita da Antonietta sia stata preparata da qualcuno esperto in materia durante i tre giorni di latitanza e il reato che le imputano è quello di omicidio preterintenzionale, reato per il quale viene rinviata al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.
E la Corte sgombra subito il campo da eventuali dubbi: non si tratta, come continua a sostenere il difensore di Antonietta, di un caso di legittima difesa e tutta l’istruttoria lo ha già dimostrato. Piuttosto, restando nell’ambito dell’omicidio preterintenzionale, è giusto riconoscere all’imputata innanzitutto l’attenuante di avere agito per un motivo di particolare valore morale, quello, cioè, di tutelare il proprio onore che era stato gravemente e per sempre compromesso dall’ucciso. Poi le compete anche l’attenuante della provocazione, dato che è risultato in modo incontestabile che ella compì l’azione delittuosa in stato d’ira suscitata nell’animo suo in seguito all’ingiusto ed inumano comportamento dell’ucciso, il quale si dimostrò insistentemente e senza plausibili motivi contrario a sposarla, nonostante l’avesse con inganno e violenza deflorata e non ebbe, altresì, ritegno a percuoterla violentemente. A proposito di quest’ultima attenuante, la Corte ricorda un fatto emerso durante il dibattimento: se era notorio che Luigi Ruggiero traccheggiò per circa due anni per allontanare e quindi evitare il matrimonio, adesso veniamo a sapere anche che durante questo periodo contrasse relazioni amorose con altra giovane, tal Isabella e questa è un’ulteriore conferma che le malvagie intenzioni esasperarono l’animo di Antonietta, la quale, tuttavia, continuò ad amare il suo fidanzato, sperando nel di costui ravvedimento.
Ma poi si arrivò al categorico rifiuto da parte di Ruggiero di volerla sposare ed alle percosse e, quindi, ella al colmo della esasperazione commise il delitto. Quest’ultima osservazione serve alla Corte per giustificare la terza attenuante che si appresta a concedere all’imputata: lo stato di mente tale da grandemente scemare, senza escluderla, la di lei capacità di intendere e di volere.
È il momento di fare qualche conticino per determinare la pena da infliggere all’imputata: in considerazione della causale del delitto, delle modalità di esso, dei precedenti penali della giudicabile, stimasi giusto infliggere la reclusione nella durata di anni dieci e ridursi dapprima ad anni sei e mesi otto per la diminuente del vizio parziale di mente, poscia ad anni 4 e mesi 6 per i motivi di particolare valore morale ed infine ad anni 3 per la provocazione. Oltre, naturalmente, alle pene accessorie, spese e danni.
Poi c’è il reato di porto abusivo di rivoltella, di cui Luigi Ruggiero e sua madre l’hanno accusata e per il quale è stata rinviata a giudizio, senza che nessun altro le abbia visto armi da fuoco in mano: la Corte decide di assolverla per insufficienza di prove. In relazione a ciò, la Corte osserva che non può, con sicura e tranquilla coscienza, adagiare una sentenza di condanna sulla semplice accusa di Ruggiero e di sua madre, evidentemente interessati ad aggravare la responsabilità della prevenuta.[1]
Non risultano ricorsi in Appello o per Cassazione.
[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.