La mattina presto del 24 giugno 1892 alcuni bonifatesi partono dal paese per andare a sbrigare degli affari a Belvedere Marittimo percorrendo la via rotabile ancora in costruzione tra i due paesi. Arrivati in contrada Sette del Giudice uno di loro, Antonio Pisciotta, nota proprio in mezzo alla strada una fonte di sangue rappreso e di là partire una striscia verso Belvedere, lunga un venti passi, che va a terminare alla bocca di un buco laterale della strada, detto tombino. Incuriositi, gli uomini scrutano dentro il tombino e cominciano a imprecare, sorpresi e terrorizzati da quello che vedono: i piedi di un uomo, poi il resto del corpo e più in basso, infine, la testa orrendamente sfigurata e coperta di sangue. Si fanno coraggio e, man mano che la luce del giorno si fa più luminosa, riescono a capire di chi si tratti: è il cinquantenne, loro compaesano, Pietro Gaeta.
– Dobbiamo andare ad avvisare i Carabinieri a Belvedere! – dice Pisciotta – qualcuno deve restare qui a sorvegliare il cadavere.
Ma nessuno se ne dà per inteso, tutti hanno da fare e non possono perdere troppo tempo, così qualcuno, sapendo che proprio sotto di loro c’è il fondo di Gaetano De Giovanni, che solitamente ogni giorno va a zappare, si sporge dalla strada, lo vede, gli dice di accorrere.
– Pietro Cozzo? Siete sicuri? – così è soprannominato Gaeta in paese.
– E guarda anche tu!
– Si, è lui… questa volta gliel’hanno fatta… – dice.
– I De Luca?
– E chi se no?
– Ma Luigi è in carcere…
– E Ciriaco, il figlio? Se non ha potuto farlo il padre, lo ha fatto il figlio!
– Sicuro, ma non tocca a noi dirlo. Tu resta qui, noi andiamo a Belvedere ad avvisare i Carabinieri e se la sbrigheranno loro.
Risolto il problema, il gruppo corre a Belvedere a fare il proprio dovere e tutti raccontano la macabra scoperta al Maresciallo Giovanni Tinti.
– Sapevo della loro inimicizia, ma non pensavo che si arrivasse a questo punto, anche se una settimana fa Gaeta era venuto a parlarmi per protestare contro i De Luca per le continue minacce di morte che gli facevano…
Tinti avvisa il Pretore ed il dottor Giuseppe Trombieri, che poco dopo arrivano sul luogo del delitto. Tirato fuori dal tombino il cadavere, viene subito portato al cimitero di Bonifati per l’autopsia, che accerta otto ferite a bordi acuti ed angoli semiacuti sul cranio, faccia e collo; delle otto ferite, due presentano maggiore interesse: l’una sita sulla regione giugulare destra, diagonale all’asse del corpo, lunga otto centimetri, profonda da tagliare la vena giugulare e la carotide; l’altra sulla gobba parietale sinistra, lunga cinque centimetri, profonda da penetrare nella massa encefalica. Aperto il cranio, la massa cerebrale è ferita per tre centimetri in corrispondenza della ferita esterna. La morte data da 48 ore; tutte le lesioni furono prodotte da colpi di strumento da taglio come scure, ascia o simili, vibrati con violenta forza; la morte avvenne quasi istantanea, propriamente per la profusa, irrimediabile emorragia venosa – arteriosa de’ maggiori grossi vasi, anziché per la ferita cerebrale la quale, se era pur essa letale, non era assolutamente mortale.
Letale ma non mortale, piuttosto incomprensibile.
Intanto, mentre avviene tutto questo, i Carabinieri vanno a casa dei De Luca per arrestare il diciottenne Ciriaco, unico sospettato, se non autore certo del barbaro assassinio, ma non lo trovano e, mentre due militari perquisiscono a fondo l’abitazione, altri due vanno a Cittadella del Capo dove la madre del giovanotto, Maria Rosa Barone, dice che deve essere andato il figlio, ma non è neanche lì.
Dov’è Ciriaco De Luca? Se ne sta tornando a casa, dove trova il Maresciallo Tinti, con in mano una scure trovata in casa, che lo arresta.
Però c’è qualcosa di strano: o in casa c’erano due scuri ed una è stata fatta sparire o quella sequestrata non può essere l’arma del delitto perché non vi è la minima traccia di sangue, come non vi sono tracce di sangue in tutti i panni ivi esistenti. Ma Tinti ha la risposta pronta al dilemma: poiché il delitto è stato commesso da circa 48 ore, in questo periodo il Ciriaco ha avuto campo di fare sparire ogni traccia.
– Non so la causa per la quale fui arrestato – esordisce davanti al Pretore che lo interroga il 25 giugno – se forse è di avere ucciso Pietro Gaeta, io ne sono innocente e solo lo seppi con mio dispiacere nelle ore meridiane di ieri che facevo ritorno da Cittadella del Capo alla mia dimora in campagna…
– Ci risulta che eri nemico acerrimo di Gaeta.
– Niuna inimicizia passava tra me e Gaeta, né mi consta che ve ne passasse fra lui e mio padre e mia madre…
– Come hai passato i giorni del 22 e 23 giugno?
– Il mattino di mercoledì 22 giugno, pria di uscire il sole mi posi al lavoro nel mio fondo in compagnia di Francesco Carrozzino fino alle tre pomeridiane, ma non vidi passare Gaeta che andava a Belvedere o viceversa ritornava a Sangineto. Il giorno successivo lavorai nel fondo da mattina a sera con altri lavoranti e neppure vidi passare Gaeta; la sera del 22, come al solito, all’imbrunire chiusi la porta della mia abitazione ed andai a letto e non più uscii fuori.
– Perché e con chi, ieri, sei andato a Cittadella?
– Ieri andai a Cittadella unitamente ad altri miei compagni perché colà si celebrava una piccola fiera ed eravamo andati a divertirci.
Interrogate, tutte le persone nominate da Ciriaco De Luca confermano il suo racconto.
Il Maresciallo Tinti sa tutto ciò che è intercorso tra Pietro Gaeta e Luigi De Luca, il padre di Ciriaco, ma c’è bisogno che qualche testimone metta nero su bianco tutte le informazioni possibili che possano aiutare a formulare un movente plausibile per l’orrendo omicidio. Così Concetta Marino, la sessantenne vedova, racconta quel poco che sa o che dice di sapere:
– Il mattino del 22, il fu mio marito mi disse che doveva recarsi in Belvedere senza dirmi per quale affare, perché poca stima faceva di me, avendomi sposata circa tre anni dietro e mi teneva di malgenio. La sera non fece ritorno ed io, supponendo che si fosse trattenuto nella casetta rurale del suo fondo in contrada Marco, ove era solito pernottarvi, ieri nelle ore meridiane mi recai colà a portargli da mangiare perché supponevo che quivi stava lavorando, ma non ve lo rinvenni; attesi fino a circa un’ora pria di tramontare il sole e non avendolo visto ritornare, supposi che era rimasto a dormire a Belvedere e mi ritirai in mia casa qui in Sangineto.
– Conoscete i motivi dell’inimicizia con i De Luca?
– Luigi De Luca nell’agosto del decorso anno, di buon mattino, nel medesimo punto dove è stato ucciso mio marito, lo percosse e lo lasciò semivivo a causa che mio marito si era vantato di aver posseduto la moglie di esso De Luca, che ora si ritrova rinchiuso nelle carceri di Belvedere ad espiare la pena cui è stato condannato. È da supporsi, perciò, che l’autore del misfatto sia stato ora il figlio di De Luca, Ciriaco, che ha voluto vendicare, invece del padre, l’onta commessa.
Hai capito? La causa di tutto sarebbe una storia di corna! Una storia molto comune, d’altra parte.
Ma, a pensarci bene, ci sono delle circostanze che stonano. Per esempio sembra troppo puerile aver scelto, per uccidere, lo stesso posto usato un anno prima per aggredire Pietro Gaeta, quasi quasi mettendo la firma sul cadavere; per esempio suona strano che una banale storia di corna sia sbandierata ai quattro venti e che, dopo aver subito un tentativo di omicidio, Pietro Gaeta non abbia preso serie precauzioni; e suona anche molto strano che Pietro Gaeta tenesse a malgenio sua moglie e che questa riveli la circostanza per dire di non sapere granché e quindi accusare il presunto, ma si potrebbe ormai dire certo, assassino di suo marito. No, ci deve essere qualcos’altro sotto e speriamo che gli inquirenti riescano a scoprirlo.
Gaetano De Giovanni, amico intimo e vicino sia di casa che di fondo agricolo del fu Pietro Gaeta, pare essere in possesso di informazioni importanti:
– Il mattino di mercoledì 22 giugno, albeggiando mi avviai dal paese al mio fondicciuolo e vi giunsi al levar del sole; vi stiedi tutto il giorno a lavorare e mi trattenni fino al tramonto del sole, ma non vidi affatto Pietro Gaeta neanco passare per la via che sta di rimpetto. Giovedì 23, poi, come al solito ero ritornato nello stesso luogo a lavorare, quando nelle ore meridiane venne colà la moglie di Gaeta a portargli da mangiare, credendo che l’avrebbe rinvenuto nel fondo a lavorare, ma non avendolo rinvenuto se ne fece la meraviglia perché mi diceva essere partito il mattino precedente per andare in Belvedere e si credeva che la sera era giunto nel fondo e vi avesse pernottato, ma poi spiegò il ritardo perché si ricordava di averle detto che forse andava a Diamante e suppose, e supposi anch’io, che era andato lì. La moglie attese fino un’ora pria del tramonto e indi ritornò a Sangineto ed io, calato il sole mi avviai pure – strano, la circostanza che forse Gaeta sarebbe andato a Diamante, la vedova non l’ha riferita agli inquirenti –. Ricordo che in un giorno di febbraio ultimo stavo pulendo la vite, erano le ore antimeridiane, quando passarono Luigi con un bastone in mano e suo figlio.
– Luigi?
– Luigi De Luca… stavo dicendo che lui aveva un bastone e suo figlio Ciriaco aveva la scure alla cintola e domandatili per dove erano diretti, risposero che andavano a Bonifati a comprare un maiale e si diressero verso la strada che passa dal fondo di Pietro Gaeta e dal mio, ma si fermarono in un oliveto poco distante. Domandati da Lucrezia Gaeta, cognata del povero Pietro, che cosa erano andati lì a fare, risposero che stavano cercando una pecora che avevano smarrito. Tale risposta mise in sospetto Lucrezia, cioè che andavano cercando suo cognato, forse per ucciderlo, e tale sospetto lo confidò subito a me ed a suo cognato…
– Siete a conoscenza dell’inimicizia tra Gaeta e i De Luca?
– È potente e nota a tutti la inimicizia ed a me più degli altri perché vicino ed amico di Pietro, che spesso si confidò meco dicendomi che temeva di essere qualche volta ammazzato dalla famiglia De Luca.
– Si, questo lo sappiamo, dovete dirci qualcosa in più sulle cause dell’inimicizia…
– So quello che sanno tutti…
No, non ci siamo e non si capisce perché nessuno voglia rivelare ciò che sta dietro alla relazione tra il fu Pietro Gaeta e Maria Rosa Barone, la moglie di Luigi De Luca. Gli inquirenti provano con Lucrezia Gaeta:
– Forte rancore contro Pietro Gaeta nutriva Luigi De Luca, ma anche ne nutriva suo fratello Nicola perché mio cognato Pietro si vantava di aver goduto i favori della moglie di Luigi De Luca e costei, per attenuare la sua prava condotta, aveva fatto correre la voce che non solo Pietro aveva avuto commercio carnale con essa, ma ben anche con la sua cognata, moglie di Nicola De Luca, e credendo che tale diceria era stata sparsa da Pietro Gaeta, Nicola e sua moglie l’avevano minacciato di vita, per come lo stesso mio cognato mi raccontò…
– Voi dovete sapere altre cose più importanti e questo è il momento di dire tutto, altrimenti vi faccio arrestare come teste reticente!
– Il fu mio cognato da più anni dietro è stato in illecita tresca con la moglie di Luigi De Luca ed essendo stato costui in quell’epoca di cagionevole salute e mio cognato vedovo, avevano concertato di unirsi in matrimonio non appena sarebbe morto il marito; da qui la fatalità di Pietro di pensare e parlare sempre dei suoi amorazzi con Maria Rosa Barone. Luigi De Luca però guarì e cercò di vendicarsi nel decorso anno, quando poco mancò che mio cognato rimanesse vittima delle mortali ferite ricevute da Luigi, sulla stessa località ove ora è stato finalmente massacrato. La sera del 21, Pietro venne in mia casa e mi disse che il mattino seguente doveva recarsi in Belvedere per suoi affari e siccome la lingua batte dove il dente duole, come suol dirsi, uscì a parlare della sua amorosa, la moglie di Luigi De Luca, e fra l’altro mi disse di essere stato consigliato da molti di andarla a visitare, ora che il di lei marito si ritrova rinchiuso in carcere. Lo dissuasi dal suo pensiero dicendogli che doveva temere non Luigi, ma suo figlio Ciriaco o qualche altro della famiglia di costoro…
Ecco, adesso è tutto più chiaro, non si è trattato di una banale vanteria, ma di una storia d’amore. Il problema è che Pietro e Maria Rosa non hanno fatto i conti con la guarigione di Luigi e non hanno potuto coronare il loro sogno di sposarsi, fino ad arrivare alla tragedia.
Si, ma ancora qualcosa non quadra: va benissimo sospettare Ciriaco De Luca di essere stato l’autore del barbaro omicidio, ma perché non indagare anche suo zio Nicola dopo le accuse di Lucrezia Gaeta? E perché non approfondire i rapporti tra Pietro Gaeta e sua moglie che ha raccontato agli inquirenti di essere maltrattata?
Silenzio assoluto. C’è e continua ad esserci un solo sospettato, Ciriaco De Luca, ma nessuno si pone il problema che non è stata trovata alcuna traccia riconducibile a lui, che non c’è un solo testimone che lo abbia visto nelle vicinanze del luogo del delitto e nessuno si pone il problema che non c’è un solo testimone che ha visto la vittima passare lungo la strada da Sangineto a Belvedere e viceversa.
Teoricamente potrebbe essere stato ucciso la notte tra il 23 e il 24 giugno, ma questo problema, però, pare che sia in condizione di risolverlo il teste Pasquale Palermo, che racconta:
– Verso le tre pomeridiane del 23 giugno mi avviai verso Belvedere e, giunto nel punto della strada detto Sette del Giudice, distante circa mezzo chilometro dalla casa dei De Luca verso Belvedere, vidi nel mezzo della strada una pozza di sangue rappreso e di là ne partiva una lunga striscia per circa 20 passi, che andava a terminare in un tombino. Passai oltre senza sospettare nulla di sinistro, tutto al più mi suggerì l’idea di esservisi ucciso qualche animale…
Quindi la sera o la notte del 22 e il problema che nessuno vide la vittima passare per quella strada rimane e pesa come un macigno.
Comunque sia andata, il 9 settembre 1892 la Sezione d’Accusa rinvia l’imputato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di omicidio aggravato dalla premeditazione, e l’unica cosa che potrebbe salvarlo dall’ergastolo è la sua età minore dei 21 anni.
Il dibattimento viene fissato per le ore 9,00 di sabato 19 novembre 1892 e l’avvocato Luigi Fera, difensore di Ciriaco De Luca, dovrà sudare sette camicie per convincere la Corte delle sue ragioni, ma alla fine ce la fa, grazie alla superficialità dell’istruttoria, e la sera stessa la giuria emette il verdetto di assoluzione[1], e l’omicidio resterà senza colpevoli.
[1] ASCS, Processi Penali.