LA STANZA DELL’ORRORE

Sono circa le 5,00 del primo dicembre 1947 e la campana del Convento dei Cappuccini di Chiaravalle Centrale sta suonando per ricordare ai fedeli che la messa sta per cominciare.

In casa di Maria Teresa Lucia ci sono sua sorella Antonia con i suoi tre figli, due bambini piccoli e la sedicenne Chiara.

– Andate a confessarvi, i bambini li tengo io.

– Ma… – Antonia non ha il tempo di dire ciò che vorrebbe, che sua sorella con tono perentorio ripete:

– Andate a confessarvi, è meglio.

In questi stessi momenti due uomini, con fare concitato, bussano alla porta dei Carabinieri e quando il piantone apre non gli danno nemmeno il tempo di chiedere cosa vogliano a quest’ora.

– Correte! Nel rione Cona abbiamo trovato morto ammazzato Luigi Sestito!

Accorsi immediatamente sul posto, i Carabinieri rinvengono Luigi Sestito disteso sul letto con la gola recisa profondamente, tanto che la testa appare quasi staccata dal busto. Chi può averlo ridotto in quel modo e per giunta in casa? Le informazioni che raccolgono dai vicini di casa raccontano di dissidi con la famiglia per i grandi maltrattamenti che ad essa infliggeva e siccome sua moglie, Antonia Lucia, ed i suoi tre figli non sono in casa, è elementare sospettare che si sia trattato di un omicidio maturato nell’ambito familiare; così cercano, trovano e mettono in stato di fermo la fresca vedova e sua figlia Chiara, che ha la camicia sporca di sangue:

– Sono stata io ad uccidere mio padre – confessa, piangendo, la ragazza.

– E perché lo avresti fatto? – le chiede, dubbioso, il Maresciallo, sospettando che Chiara stia tentando di coprire sua madre, ma la ragazza fa un racconto che lascia tutti sconcertati:

Nell’està del 1947, mentre mi trovavo in contrada Timpa a lavorare con mio padre – mia madre era in paese per la malattia del mio fratellino – fui vittima di ripetuti tentativi di violenza carnale da parte di papà… questo è il motivo…

Il fatto in sé è grave, ma non tanto da giustificare la violenza con la quale è stato consumato l’omicidio, per cui dopo qualche giorno Chiara, sperando che si sia ripresa dallo shock, viene interrogata di nuovo e aggiunge altri particolari:

Nel mese di ottobre di quest’anno, mentre ero da sola col mio fratellino e la mia sorellina che dormivano, sono stata violata da mio padre

Stavolta si parla esplicitamente di stupro e c’è bisogno di una visita ginecologica per capire se Chiara stia dicendo la verità o stia mentendo:

La ragazza è stata deflorata da tempo – riferisce il medico al Pretore, poi aggiunge – comunque presenta un gonfiore sulle piccole labbra, segno evidente di un coito di data recentissima, motrice di una particolare violenza da parte di chi si congiunse con lei

Chiara dice la verità, ma bisogna accertare pienamente se sia stato davvero il padre a violentarla o qualcun altro e stia usando tutto questo per coprire sua madre, il dubbio è sempre lo stesso. Antonia Lucia dovrebbe essere interrogata, ma è come pietrificata e non riesce a parlare, così si prosegue senza il suo contributo.  Le indagini, scrupolose, accertano che Luigi Sestito, pur essendo un lavoratore, era prepotente e disumano con i suoi familiari, che spesso per sfuggire ai suoi maltrattamenti, la moglie e i figli erano costretti ad abbandonare la casa per rifugiarsi presso Maria Teresa Lucia, che abita nei pressi dei Sestito. I vicini raccontano che la sera precedente all’omicidio si era ripetuta la scena selvaggia di sempre. Poi Chiara, interrogata di nuovo, racconta quello che sarebbe successo, ma non riesce ad arrivare fino in fondo, è ancora ovviamente molto scossa:

Papà, per avere maggiore libertà di possedermi a suo subito, si era separato dalla famiglia mediante un solido tramezzo di tavole; rientrato a tarda ora ubbriaco, bussò alla porta e mi chiamò perché gli portassi le chiavi della porta che immetteva nella stanza separata. Successivamente pretese che lo seguissi nella stanza col pretesto che gli dovevo slacciare le scarpe. Io gridai e protestai contro mio padre e la mia povera mamma, che aveva tutto compreso e che indubbiamente sapeva i precedenti, pregava e scongiurava papà attraverso il tramezzo di lasciarmi stare e di non ammazzarmi

Qualcosa di quello che potrebbe essere accaduto nella stanza separata potrebbero dirla i vicini, ma da loro si apprende solo che, dopo aver sentito le urla di Chiara e le implorazioni di sua madre, fu avvertito un gran fracasso, come di tavole che vengono depezzate a colpi di accetta ed il rumore di chi esce dalla casa. Secondo il Pubblico Ministero è questo il momento in cui fu commesso l’omicidio e quindi Antonia, che era in casa, è la responsabile, magari aiutata da Chiara. Secondo un’altra interpretazione, il rumore dei colpi, che sembravano di accetta, altro non erano che colpi dati da Luigi Sestito dalla parte interna della camera separata, per intimorire moglie e figli e proseguire nella sua turpe impresa, ottenendo l’effetto di far scappare di casa Antonia con i due bambini ed evitare alle due creature, almeno a loro, una fine orrenda, lasciando Chiara alle prese col padre snaturato. E che Antonia e i due bambini siano arrivati da soli a casa di Maria Teresa è certo, confermato da questa e da alcuni vicini che li hanno visti scappare.

Ma ancora non si riesce a ricostruire cosa diavolo sia accaduto nella stanza dell’orrore perché nei racconti raccolti c’è un buco di quattro ore, sembrando certo che da quando Antonia ed i due bambini si rifugiarono in casa di Maria Teresa a quando ci andò anche Chiara passò qualche ora, cioè poco prima che la campana del convento suonasse per la messa. Ma come mai Chiara non vuole dire il perché quella sera s’indusse al delitto, forse per tema di compromettere la madre? In realtà sarebbe facile immaginarlo, ma con l’immaginazione non si costruiscono prove. Forse la madre lasciò i bambini con sua zia e tornò a casa? Secondo il Pubblico Ministero andò proprio così e quindi continua ad insistere sulla piena responsabilità di Antonia. Anzi, adesso formula un altro, orribile, movente per l’altrettanto orribile delitto: Chiara sarebbe andata a trovare un suo presunto amante con cui congiungersi carnalmente e quindi non sarebbe vero che sia stato il padre a deflorarla e la madre avrebbe ucciso il marito per coprire la nefandezza della figlia. Ma questa teoria non regge essendo emerso che si è trattato di una semplice voce vaga ed isolata, non confermata neppure da indizi, voce svanita e poi contraddetta dalla unanime attestazione della indiscutibile serietà della ragazza.

A questo punto, caduto ogni indizio sulla partecipazione attiva di Antonia al delitto, si pensa che ella avesse potuto essere complice morale della figlia, determinandola ed incoraggiandola al delitto e ciò perché ella sarebbe rimasta impassibile dinanzi al fatto rivelato dalla figlia. Un altro elemento di colpevolezza che si cerca di accreditare a carico di Antonia consiste nel fatto che sua zia Maria Teresa, informata del delitto, avrebbe consigliato ad Antonia e Chiara di recarsi in chiesa per impetrare la benedizione: se davvero Antonia non c’entra niente col delitto, perché avrebbe dovuto chiedere la benedizione? Sembra una sciocchezza, ma questa tesi le costa, insieme a Chiara, il rinvio a giudizio davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro, per rispondere di omicidio volontario in concorso.

Il dibattimento si svolge il 30 ottobre 1950 e ci sono molte cose da chiarire, soprattutto cosa avvenne nella stanza separata, la stanza dell’orrore, perché l’esito del processo sarà determinato da quanto accaduto lì dentro e la Corte lo sa benissimo, infatti osserva che problema eccezionale dell’attuale giudizio è quello di stabilire le modalità e la causale prossima del delitto,servendosi dei genuini elementi specifici e generici afferenti dall’istruzione. E dati oggettivi da sfruttare, offerti dall’istruttoria e non sfruttati finora, ce ne sono parecchi: intanto le tumefazioni lasciate sulle piccole labbra dall’ultimo coito, di data recentissima, motrice di una particolare violenza. Poi c’è l’atmosfera di terrore che si viveva in casa dei Sestito: violenze, maltrattamenti gravi verso tutti di casa, che venivano scacciati nel cuore della notte ed obbligati a trascorrere la notte sugli scalini della corte vicina, quando non avevano la possibilità di rifugiarsi presso la zia. Tutto ciò era notorio ai vicini, ai parenti, ma nessuno osava intervenire per timore del Sestito, uomo rotto a tutti i delitti, e nessuno osava informare la locale caserma. Era tale il terrore che ispirava il Sestito, che sia la figlia che la moglie, pur vivendo sotto la sferza del bruto, non concepirono neppure la possibilità di denunziarlo. E tale sicurezza d’impunità servì al Sestito per spingere le cose agli estremi, creando nella stessa casa una camera separata per potersi godere a suo agio, in ogni ora del giorno e della notte, la figlia. E la Corte tira fuori altre situazioni nascoste nelle pieghe di un’istruttoria superficiale e fallimentare: la sera del fatto, mentre la famigliola dormiva quietamente e riteneva che il capo famiglia, quella notte, fosse assente avendo egli annunziato di doversi recare in campagna per sorvegliare una carboniera, improvvisamente, a tardissima ora tornò ubriaco e volle presso di sé la figlia, poco dopo si sentì costei gridare ed è facile capire il perché: il bruto, dopo aver allontanato la famiglia, volle sfogare la sua libidine sulla disgraziata, invano riluttante. Costei dovette subire ancora una volta l’ultimo oltraggio, se è certo, come è certo, che ella raggiunse la madre parecchio tempo dopo, quando era imminente l’ora della messa. E se è indubitabile che l’ultima violenza commessa produsse il gonfiore nella vagina, dimostra che il bruto, che era ubriaco, abusò di lei con tanta violenza da produrle quella lesione.

Chiarito ciò che avvenne prima del delitto, la Corte ritiene che è possibile ricostruirne le modalità ed è una ricostruzione alquanto puntuale e altamente drammatica: Chiara, dopo la violenza, dovette giacere, suo malgrado, col padre finché costui, sazio di vino e di libidine, si addormentò profondamente. Come sottrarsi alle continue violenze? Non aveva potuto liberarsi prima, non l’avrebbe potuto fare neppure nell’avvenire. Intanto il padre da un momento all’altro poteva risvegliarsi e ripetere le violenze, così si spiega come da quella debole creatura, finora passiva e succube, sia sorta, come estrema ratio di difesa, la risoluzione del delitto. Quindi Chiara si alza al buio senza fare rumore, cerca a tastoni la scure che il padre ha lasciato ai piedi del letto, l’afferra e si avvicina alla figura che adesso riesce a distinguere grazie ad un vago raggio della mezza luna gibbosa che filtra da una fessura dello scuro chiuso. Si ferma, alza la scure con tutte e due le mani e mira alla testa, poi colpisce una, due, tre volte con tutta la forza che la disperazione e la rabbia le danno e assiste tremando ai deboli strepiti che suo padre fa prima di morire con la testa quasi recisa. Adesso che è salva, adesso che sono salvi anche sua madre e i suoi fratellini, può uscire dalla stanza dell’orrore e andare a rifugiarsi nelle braccia di sua madre:

– L’ho ammazzato!

La Corte, svalutata la modalità del fatto, pensa che a costei spetti la diminuente della legittima difesa. Le violenze cui ella era soggetta si ripetevano ormai quotidianamente; ella era alla mercé del bruto senza possibilità di difesa, dato che la denunzia poteva significare richiamare su di sé la terribile vendetta. Il padre era là, addormentato, ma il risveglio significava nuove violenze, senza possibilità di scampo. Il pericolo era imminente ed immanente ed il delitto rappresentò l’unica via di salvezza.

Occorre riflettere che Chiara Sestito, dibattendosi fra il desiderio di nascondere la propria vergogna e l’ansia di scagionare la propria madre da qualsiasi responsabilità, s’irretì fin dal principio in tante contraddizioni da cui non è possibile ricavare la luce della verità se si prescinde dagli altri sicuri elementi che provengono da fonte esterna e sicuramente attendibile.

La madre è risultata estranea moralmente e materialmente dal delitto. È una povera martire che subì in silenzio i maltrattamenti più brutali, percosse, minacce con arma e, infine, l’abominevole oltraggio alla figlia e non bramò, nella sua debole umanità, la forza di ribellarsi.

Chiara, che ora ha 19 anni e ne ha passati quasi tre in galera, viene assolta per avere agito in stato di legittima difesa e può camminare a testa alta senza vergognarsi. Sua madre, Antonia Lucia, viene assolta per non aver commesso il fatto.[1]

È il 30 ottobre 1950. Lo stesso giorno a Roma, nei giardini del Vaticano, Pio XII assiste allo stesso fenomeno verificatosi il 13 ottobre 1917 a Fatima: il sole, che appare come un “globo opaco giallognolo”, rotea e si avvicina mentre al suo interno si vedono “con tutta chiarezza e senza interruzione fortissimi movimenti”. Pio XII rimane colpito dalla coincidenza, senza tuttavia mai parlare di miracolo.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Catanzaro.