Sono le 6,50 del 13 gennaio 1941. Alla stazione ferroviaria di San Lucido marina molte persone stanno aspettando il treno per Paola. Tra questi ci sono il ventottenne messo notificatore Mario Conti che deve andare per servizio a Cosenza, il maestro elementare Espedito Scarcello, gli studenti Giovanni Pizzotti, 12 anni, Fiorina Losso, non ancora diciassettenne, e le sue due sorelline Elena, 14 anni, e Silvia, 12 anni. Mario Conti si avvicina a Fiorina Losso e le dice:
– Perché non mi dai più confidenza e non mi prometti più amore? – poi tira fuori dalla tasca una fotografia della ragazzina e, platealmente, la mostra a tutti.
– È vero che ti ho detto si, ma questo si non è stato poi coltivato perché l’ho fatto perché tu mi costringesti e per dimenticarmi del vecchio amore… – gli risponde.
– Tu mi hai detto di si! – continua Mario.
– Mario, io non posso accordarmi alle tue intenzioni, sia perché sono una ragazza, sia perché mia madre non vuole…
– Ah! Poi domani ci vedremo… – termina Mario, puntando l’indice contro Fiorina e allontanandosi.
Intanto arriva il treno. Il maestro elementare ed i quattro studenti montano e, come ogni mattina, si siedono vicini; Fiorina è pensierosa, sente la necessità di spiegare, visto che non ha intenzione di cedere alle richieste di Mario Conti, come mai ha gli dato la sua fotografia e racconta:
– Un giorno, mentre ero in casa della cognata di Mario che mi aveva chiamata per tenerle il bambino, approfittando che eravamo soli, mi obbligò a dargli la fotografia scrivendo anche una dedica…
– Obbligata? E come? – le chiede il maestro.
– Avevo portato una scatolina con delle fotografie mie e delle mie sorelline per farle vedere alla cognata – dice mentre riceve un cenno di assenso da Elena e Silvia – e lui, approfittando che eravamo andate in un’altra stanza, ne prese una. Quando rientrai nella stanza dove c’era Mario, mi disse che se non avessi apposto una dedica alla fotografia, avrebbe detto a mia madre che quel ritratto glielo avevo dato io. Poiché avevo paura di mamma e specialmente con la tema di non essere più mandata a scuola, feci la dedica…
Poi il treno arriva a Paola ed il gruppo si divide tra le varie scuole. Quello stesso pomeriggio il maestro elementare va a casa di Fiorina e racconta tutto alla madre, visti i rapporti di amicizia tra la famiglia Losso e quella di Mario Conti, ma la madre di Fiorina, forse per non dare adito a pettegolezzi, gli risponde:
– Non è il caso di dare importanza a simili sciocchezze…
È il 15 gennaio e Mario Conti, contro le sue abitudini, esce di casa di buon mattino.
– Mario, dove vai? ancora mancano venti minuti alle sette… – gli fa sua madre, ma lui non risponde e scende i pochi gradini che immettono alla strada – Mario! Mario! – lo chiama, ma nemmeno stavolta ottiene risposta.
Mario arriva in Via Umerto I° e si ferma accanto alla casa di Pasquale Cannone. Tira fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette “Milite”, ne prende una e l’accende.
Sono le 6,50 e, come ogni giorno, il gruppetto composto dal maestro elementare, da Giovanni Pizzotti, da Fiorina e dalle sue due sorelline svicola su via Umberto I° per andare a prendere il treno. Mario li vede, si stacca dal muro a cui si era poggiato e si avvicina. A circa dieci passi dal gruppetto si ferma e dice:
– Beh, Fiorina…
Poi fulmineamente estrae una pistola Mauser 7,65 e fa partire un colpo in direzione della ragazza che, mentre gli altri scappano terrorizzati, urla:
– Mamma!
Scarcello, il maestro elementare, capisce che le cose stanno per finire male e gira alle spalle di Mario per abbrancarlo ed impedirgli di continuare a sparare, ma l’altro se ne accorge e fa due o tre passi di corsa verso Fiorina che sta cercando di scappare e spara altre due volte, colpendola alle spalle. La ragazza stramazza al suolo e Mario Conti scappa.
La casa di Fiorina non è distante e la madre sente distintamente le tre detonazioni. Qualcosa le dice che deve correre a vedere perché potrebbero essere rimaste coinvolte le tre figlie. Corre come una forsennata e quando arriva trova Fiorina moribonda, tra le braccia del maestro elementare che la sta portando dal dottore Busaino il quale, dopo superficiale visita, estrae un proiettile penetrante dalle spalle e fermatosi alla regione mammellare, attaccato al foro di uscita.
– Portatela a casa, sta per morire…
E ha ragione perché Fiorina muore non appena l’adagiano sul letto.
Mario Conti, consumato il delitto, torna a casa. Le grida del vicinato e il rimorso della coscienza decidono la sua esistenza. Giunto all’inizio della scalinata che porta alla sua abitazione, mette la mano in tasca, estrae la Mauser, poggia la canna all’orecchio destro e si spara. Anche qui le urla strazianti di una madre.
Quando arrivano i Carabinieri lo trovano in posizione rovesciata, leggermente poggiato sul fianco destro; la parte sinistra del viso rivolta in alto; alla fronte, per metà, una larga chiazza di sangue scende all’occhio destro, al naso e alla bocca. La mano destra impugna ancora strettamente la Mauser. In una tasca del vestito una fotografia di Losso Fiorina.
– So che Mario Conti non è mai stato in relazione, neanche platonica, con la mia figliuola, che era più di una bambina, quindi nessun motivo di tal genere ha potuto spingere l’insensato al criminoso gesto. Sapevo pure che Conti era un po’ esaltato e che non era mai stato fortunato nelle sue profferte amorose, come nelle sue diverse richieste di matrimonio a diverse ragazze, ma certo, come ho appreso, il suo folle disegno era stato premeditato – dice il padre di Fiorina, tra le lacrime, al Vice Pretore.
– Sono la madre della fanciulla Fiorina Losso, uccisa da Mario Conti. Con la famiglia di costui, oltre ad essere un po’ parenti, eravamo in relazioni di amicizia, onde spesso per sentire la radio le mie bambine si recavano in casa del Conti, ove erano i suoi familiari. Mai nulla vi fu tra i due che lasciasse pensare anche ad un amoretto frivolo perché la mia povera bambina, amante dello studio e decisa a conseguire un titolo accademico, aveva anche rifiutato le profferte di fidanzamento di un giovane serio di Cosenza. Soltanto la cognata di Mario Conti qualche volta aveva insinuato che la mia figliuola faceva all’amore col cognato, ma ebbi sempre le prove che, se il giovane aveva nella sua mente qualche interesse, la mia povera piccola era ignara di tutto…
– Ma, secondo voi, è possibile che qualcuno abbia istigato Mario Conti a fare ciò che ha fatto?
– Non posso dire se vi sia stata istigazione da parte di chicchessia verso quell’esaltato giovane.
– La mia povera madre, seriamente malata ed aggravatasi dopo il triste evento, non è in condizioni di potere venire davanti alla Signoria Vostra, onde ha mandato me – dice Giovanni Conti, il fratello di Mario –. Non ci spieghiamo come il mio disgraziato fratello abbia potuto compiere tale gesto criminoso; egli è sempre stato calmo e gioviale e mai ebbe a fare o dire alcunché da far pensare a quanto è successo. Così pure siamo convinti che nessuno lo abbia spinto, consigliato o incoraggiato.
E siccome anche in paese tutti negano che Mario Conti possa essere stato istigato a compiere la strage, anche se i Carabinieri dicono che la Mauser 7,65 usata da Conti non risulta dichiarata e, senza che a nessuno venga in mente di scoprire come se la procurò, le indagini possono considerarsi concluse ed il Giudice Istruttore, il 10 febbraio successivo, non può che dichiarare: Non doversi procedere contro l’imputato di omicidio Conti Mario in ordine ai reati scrittigli, perché estinti in seguito a morte dello stesso. Ordina la confisca della pistola, caricatore, cartucce e bossoli sequestrati.[1]
In memoria di Fiorina e di tutte le altre donne uccise per un sacrosanto rifiuto.
[1] ASCS, Processi Penali.