La mattina del 18 marzo 1953 il Maresciallo Maggiore Francesco Paiano, comandante la stazione dei Carabinieri di Paola, sta leggendo la posta. Apre una busta più piccola delle altre, piuttosto sgualcita; l’indirizzo è scritto con calligrafia incerta e il timbro, che porta la data del giorno prima, è quello dell’ufficio postale di Paola. Paiano toglie il mezzo foglio uso bollo piegato in quattro e comincia a leggere:
Illustrissimo signor Maresciallo nella condrada Casalinelle abita la famiglia Filippo Santo la quale sua figlia Nicoletta aiutato del suo ex fidanzato à incinto lei. Capiti col suo fidanzato che lui proprio me là confidato che la fa abortire. Io mi trovo lontano del vicinato e sono un parente di lei padre di otto figli e non vorrei far commettere questo delitto e prego la S.V. pigliar subbito provvedimento altrimenti commette il delitto; il suo fidanzato si chiama Costantino io non mi firmo che sono un parente di lei e vi prego di portarvi un medico
Le lettere anonime sono sempre da prendere con le pinze, ma un minimo di indagine bisogna pur farla per capire se si tratta di una calunnia o se il reato esiste davvero e così il Maresciallo Paiano comincia con discrezione a prendere informazioni su Nicoletta Filippo e viene a sapere che è a letto, colpita da influenza. Influenza? Meglio andare a dare un’occhiata. Non appena Paiano vede la giovane, il sospetto che dietro la facciata dell’influenza possa nascondersi ben altro aumenta. Perché? Perché per lo stato di salute molto depresso della Filippo, non sembra vero che costei sia affetta da influenza. Così il Maresciallo segue il consiglio del suo anonimo informatore e manda a chiamare il dottor Pietro D’Urso per sottoporla ad una accurata visita. Ma il medico, riscontrando uno stato emorragico di probabile natura mestruale tale da non consentire di emettere sicuro giudizio in merito ad eventuale aborto subito dalla donna, rimanda la visita al 24 marzo successivo.
Ma nel pomeriggio del 23 il Maresciallo riceve, inaspettata, la visita del padre di Nicoletta, che gli dice:
– Mia figlia si è decisa a confessare di avere dato alla luce, il 13 di questo mese di marzo, una bambina, il cui cadavere si trova in una stanza disabitata della mia casa di abitazione e quindi potete venire a rilevare il cadavere…
Poche e drammatiche parole che lasciano per qualche istante di sasso il Maresciallo, ma il dovere non può lasciarsi sopraffare dai sentimenti, così con i suoi uomini va immediatamente a perquisire la casa dei Filippo e nella stanza che gli è stata indicata recupera il cadaverino di una bambina. Da questa triste e macabra scoperta è chiaro che Nicoletta ha dato regolarmente alla luce, al compimento del nono mese di gravidanza una creatura e viene dichiarata in arresto, ma è troppo debole per essere portata in camera di sicurezza e viene piantonata in casa.
Arriva anche il dottor D’Urso per verbalizzare lo stato del cadaverino e la tragedia appare più grande di quanto si possa immaginare: avvolto in dei panni e contenuto in una cesta troviamo il cadavere di una bambina appena nata. Il cadavere si presenta intatto in ogni parte del corpo, ma la testa è staccata dal corpo al collo, dove è tenuta unita al corpo dai soli tegumenti posteriori.
Ma perché tanto orrore? Bisogna indagare a fondo per capire. Intanto le condizioni di Nicoletta peggiorano rapidamente e viene trasportata d’urgenza all’Ospedale Civile di Cosenza.
Le indagini sono serrate e consentono di svelare molti aspetti della vicenda: Nello scorso anno 1952, primo semestre, tra Nicoletta Filippo e Costantino era sorta una relazione amorosa con promesse di matrimonio da parte di lui. I due giovani, profittando del fatto che Nicoletta restava quotidianamente sola in casa poiché i di lei genitori si recavano ogni giorno in contrada San Pietro per accudire ai lavori campestri, si congiungevano carnalmente. Da tali congiunzioni Nicoletta rimaneva incinta. Costantino continuava a prometterle che l’avrebbe sposata, ma il 10 agosto 1952, dopo un mese dalla prima congiunzione carnale con Nicoletta, sposava una signorina di San Lucido, alla quale si era fidanzato da qualche tempo. Di tale fidanzamento era a conoscenza la Filippo, la quale, evidentemente, aveva acconsentito alla congiunzione carnale per mettere Costantino di fronte a un fatto compiuto e costringerlo a sposarla.
Così, evidentemente, non fu. Ma c’è dell’altro: Anche dopo il matrimonio, Costantino si recava spesso a trovare e congiungersi con Nicoletta con la scusa di recarsi a fare visita alla propria famiglia, che abita vicino la casa di Nicoletta. Costantino, non volendo che la propria moglie venisse a conoscenza dei fatti e che la gente della contrada Casalinelle trovasse motivo di critica nei suoi riguardi, mediante continue esortazioni induceva Nicoletta nella determinazione di fare sparire il frutto delle loro relazioni, quando questo sarebbe venuto alla luce. La gravidanza non procedeva bene e Nicoletta fu costretta a letto per disturbi anemici, forte male di testa e di denti, cosicché, coperta come si trovava, riuscì a nascondere il pancione che cresceva di mese in mese. Nemmeno i genitori se ne accorsero, visto che uscivano di casa la mattina all’alba per rientrare solo a sera. Non poterono accorgersi nemmeno del parto perché la mattina del 13 marzo erano a zappare come ogni santo giorno e Nicoletta fece tutto da sola. E racconta al magistrato che la interroga in ospedale quei drammatici momenti:
– Ero sola nello sgravo e poiché non potevo più sopportare le doglie del parto, afferrai la testa della creatura mentre usciva dalla vagina e così, nell’aiutare l’espulsione, involontariamente l’uccisi…
Ma sembra impossibile che la testa della bambina si sia potuta strappare dal collo semplicemente “aiutando l’espulsione”, anche perché la ferita sarebbe dovuta essere alquanto diversa da come si presenta – a descriverla ed a dire l’ultima parola saranno i periti – e il magistrato la incalza. Nicoletta però insiste:
– Non è affatto vero che io mi sia servita di qualche arnese per recidere la testa della creatura. Ripeto, io afferrai la creatura da sotto il mento con le mani e feci molta forza per estrarla dall’utero. Fu evidentemente per tale mia azione che la creatura subì le lesioni…
– Da queste parole sembra quasi che non ti sia nemmeno accorta di averla praticamente decapitata…
– Non vidi le lesioni da me prodotte alla creatura, appena la estrassi dall’utero la riposi in un cestino e la lasciai nella stanza disabitata.
– E la placenta che fine ha fatto? In quella stanza non c’era…
– La placenta la lasciavo cadere per terra nella stanza e non mi curavo di raccoglierla. Se non è stata trovata, evidentemente debbono averla mangiata i topi durante i dieci giorni che sono trascorsi…
Doveva trattarsi di topi educati e sensibili per mangiare solo la placenta senza toccare minimamente il corpicino nella cesta!
Intanto, anche Costantino viene arrestato e dice di avere avuto una relazione, contenuta nei limiti della massima correttezza, con la ragazza nel 1948 e che suo padre parlò col padre di Nicoletta per combinare il matrimonio, ma ne ricevette un rifiuto. Da allora in poi non ebbe più rapporti con Nicoletta. Per il resto nega tutto: non è mai stato in casa della ragazza, non ha mai avuto rapporti sessuali con lei e, ovviamente, non può essere il responsabile della gravidanza, di cui era perfettamente all’oscuro. Nicoletta, però racconta un’altra storia:
– Da circa un anno, con inizio nel 1951, ero fidanzata a Costantino, il quale abitava vicino casa mia. Il 7 luglio 1952, dopo avermi promesso molte volte di sposarmi, mi deflorava, profittando della circostanza che io ero sola in casa. Dopo quel giorno, ripetute volte Costantino mi ha posseduta, sempre in casa mia di giorno, in assenza dei miei genitori. Dopo qualche tempo Costantino lo sapevo fidanzato ad una signorina di San Lucido, ma egli mi faceva sempre capire che con quella scherzava e che avrebbe sposato me, sicché continuavo a concedermi a lui. Costantino sposava la signorina il 10 agosto 1952 e dopo tale data mi veniva spesso a trovare quando ero sola in casa e mi ha frequentemente posseduta. Di ciò non ho mai detto nulla ad alcuno, anche perché lui mi diceva sempre che se io avessi fatto sapere alla gente quanto accadeva, mi avrebbe ammazzata…
– Ma Costantino ti ha mai detto di abortire o di sbarazzarti della creatura?
– Mi diceva sempre che quando sarebbe nato il bambino o bambina che fosse, dovevo buttarlo nel fiume per non farlo scomparire, intendendo con ciò che non dovevo farlo sfigurare al cospetto della gente – poi fa una smorfia, si passa le mani sul viso e aggiunge – ho avuto rapporti intimi con Costantino fino a quattro o cinque giorni prima del parto…
– Non si capisce il motivo per cui, una volta che lui si era sposato, hai continuato a vederlo… perché non hai parlato con i tuoi genitori? Perché non hai tentato di non farlo sposare?
– Non dissi niente ai miei familiari dei rapporti avuti con Costantino, né cercai di evitare che egli sposasse la ragazza con la quale si fidanzò perché avevo vergogna verso i miei e temevo che essi mi avrebbero mandato via da casa per l’onta fatta al loro onore…
– E quindi hai deciso di sopprimere la creatura per salvare l’onore tuo e della famiglia…
– Non ho mai pensato di sopprimere la creatura che avrei partorito e mi ero decisa a sfidare le loro ire dopo il parto. Sarei anche andata via di casa, se così avessero voluto i miei genitori…
Intanto arrivano i risultati dell’autopsia eseguita sul cadavere della creaturina e le cose si fanno davvero serie: trattasi di cadaverino di sesso femminile dell’apparente età di giorni dieci, in buone condizioni di nutrizione e conservazione. Una vasta soluzione di continuo alla regione anteriore del collo a margini netti, che in qualche punto si presentano frastagliati. Interessante oltre che i piani cutanei superficiali e quelli profondi, anche la recisione dell’esofago, trachea e colonna vertebrale. Tale lesione potrebbe essere stata provocata con meccanismo dello strappamento come con altro (arma da taglio). Dati i suoi caratteri netti, non può essere una lesione da strappamento perché tali lesioni si presentano a margini irregolarissimi per numerosi frastagliature a varie altezze e per la diseguale lacerazione dei diversi tessuti a vari livelli. Nella lesione da noi trovata, il margine di sezione della cute e dei sottostanti tessuti ed organi era netto e quindi ben diverso da quelle delle lesioni da strappamento. Pertanto resta il secondo meccanismo di produzione, quello con arma da taglio e l’aspetto della lesione è sovrapponibile a quello classico descritto per tali lesioni (margini netti, riuniti alle estremità, talvolta poco sfrangiati quando la lama dell’arma presenta qualche dentellatura). La causa della morte, perciò, è dovuta ad asfissia per recisione della trachea e a dissanguamento per recisione dei grossi vasi. Poi c’è un particolare che dovrebbe far riflettere, ma pare che nessuno ci faccia caso: il cordone ombellicale è lungo 20 centimetri e l’estremità si presenta con taglio dei margini netto. Ciò significa che, quasi sicuramente, il parto è stato assistito da persona esperta.
Nicoletta ha mentito sulla morte della bambina. Probabilmente ha mentito anche sulla data del parto e questo potrebbe voler dire che ha mentito anche sulla circostanza di aver fatto tutto da sola e se così fosse, la situazione potrebbe precipitare anche per Costantino, che viene di nuovo interrogato e dice:
– Confermo le dichiarazioni già fatte, ma debbo modificare due sole circostante e cioè: ho detto di non avere mai avuto rapporti carnali con Nicoletta e di non essere mai stato in casa di lei. Invece debbo confessare di avere avuto con lei, varie volte, rapporti intimi e di essere entrato altrettante volte in sua casa – poi si ferma un attimo, riprende fiato e continua –. Circa il parto e la morte della bambina io non so perfettamente nulla. Non so il giorno in cui Nicoletta diede alla luce la bambina, giorno che Vostra Signoria mi dice essere il 13 marzo decorso, ma è certo che io mancavo dalla casa di Nicoletta da circa tre mesi. Non posso mai credere che Nicoletta possa dire di averla io coadiuvata in qualsiasi cosa perché sarebbe una vergogna! Così pure, come Vostra Signoria mi contesta, ella avrebbe riferito che io le avessi detto “quando nascerà buttalo nel fiume”: anche questa è una pura invenzione.
In suo soccorso arrivano alcuni testimoni, i quali giurano che, davvero, nei tre mesi precedenti l’orrendo delitto Costantino non si è mosso da San Lucido perché lavorava in una bottega di falegname e ciò gli vale la libertà provvisoria. In verità ci sono due testimoni i quali, velatamente, insinuano il dubbio che potrebbero essere coinvolti nell’orrendo delitto i genitori di Nicoletta:
– Non ricordo bene il giorno e nemmeno il mese, ma ritengo sia il decorso marzo. Ero tornata da Cosenza ove fui operata all’utero e mi avevano prescritto delle iniezioni. Sapendo che Nicoletta era pratica di tal materia, mi recai a casa sua di mattina, non tanto presto, forse le 8 o forse le 9, ma ivi giunta trovai al vano terreno i genitori di Nicoletta. Il padre mi disse che la figliuola era malata, che si trovava nella stanza al piano superiore e che, pertanto, non poteva farmi l’iniezione. Ricordo benissimo di avere intesa la voce di Nicoletta, proveniente dal vano superiore, che si lamentava ad alta voce, anzi quasi gridava…
– Mia figlia si era recata da Nicoletta per farsi fare delle iniezioni. Al ritorno riferì a me e mia moglie che aveva trovato in casa il padre e la madre, i quali le avevano detto che poteva andarsene in quanto la figliuola era malata a letto. Mia figlia riferì di avere inteso Nicoletta che gridava, su nella stanza superiore… poteva essere l’11 o 12 marzo.
Se la data riferita è esatta, la domanda è: che cosa ci facevano i genitori di Nicoletta in casa in un giorno che sarebbe potuto essere proprio quello del parto o durante il travaglio? Non hanno detto tutti che escono sempre all’alba e tornano di sera?
La cosa non viene presa sul serio e il Pubblico Ministero invia le sue richieste al Giudice Istruttore e, concludendo, scrive: è emerso che Costantino da più mesi mancava da casa della Nicoletta e l’asserto di avere avuto l’ultima visita di Costantino nei primi del marzo non è corroborato da alcuna prova attendibile. In esito a tali risultanze, Costantino è stato scarcerato e lo stesso deve andare assolto dal reato ascrittogli con formula piena. Rileva il requirente che nell’azione di Nicoletta, che appartiene ad onesta famiglia di contadini, si ravvisano gli estremi del reato di infanticidio per causa d’onore, per il quale è competente a giudicare la Corte d’Assise di Cosenza. È il 30 luglio 1953 e il difensore di Nicoletta, l’avvocato Francesco Vaccaro del foro di Cosenza, non ci sta e scrive a sua volta al Giudice Istruttore, prima che questi emetta la sentenza, per evidenziare alcuni punti deboli nella richiesta del Pubblico Ministero ed elencare tutti gli errori che avrebbero commesso i periti che hanno effettuato l’autopsia. Scrive Vaccaro:
Il quesito centrale del processo è uno solo: la bambina partorita da Nicoletta è nata viva ed è stata poi soppressa dalla madre oppure è nata morta? Non è possibile affermare nessuna delle due ipotesi perché bisogna tener conto:
- Il parto di Nicoletta è avvenuto il 13 marzo 1953. Il cadaverino della bambina è stato esaminato il 23 marzo, cioè dopo DIECI giorni. Se si tien conto che il cadaverino fu abbandonato entro un cesto, all’aria aperta di una stanza sudicia, polverosa, in stagione calda (a Paola, a marzo, è già primavera inoltrata e quindi l’aria è calda!), si deve ritenere per certo che il corpicino era già in stato di avanzata putrefazione. È noto che al decimo giorno è assolutamente impossibile rintracciare organi nello stato descritti dal perito.
- Il perito dice, il 24/3, che l’età della bambina è di dieci giorni; al quesito, poi, del tempo al quale risale la morte, risponde da tre ad un massimo di sei giorni.
- La prova docimastica (immersione dei polmoni nell’acqua per stabilire se essi respirarono) è perfettamente inutile eseguirla quando il cadavere sia trovato in stato di putrefazione avanzata, perché l’aria che si trova nei polmoni, altro non è che il gas generato dalla putrefazione.
Non vi è perciò la prova sicura che la bambina sia nata viva e vitale.
Poi propone di nominare un nuovo perito che corregga gli errori (presunti), ma la richiesta non viene accolta ed il Giudice Istruttore, il 4 settembre 1953, accogliendo la tesi del Pubblico Ministero, dichiara non doversi procedere nei confronti di Costantino per non aver commesso il fatto e rinvia Nicoletta al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di infanticidio per causa d’onore. Il dibattimento si tiene il 10 dicembre 1953 e, dopo un’aspra battaglia tra il perito nominato dalla difesa e i periti che avevano effettuato l’autopsia, la Corte emette la sentenza: colpevole del delitto di infanticidio per causa d’onore con attenuanti generiche.
La pena è fissata in anni 2 di reclusione, più pene accessorie.[1]
La sensazione che Nicoletta non poteva fare tutto da sola rimane intatta.
[1] ASCS, Processi Penali.