La mattina del 29 settembre 1918, il Maresciallo Antonino Miragliotta, comandante la stazione dei Carabinieri di Aiello Calabro, trova nella posta una busta da biglietto da visita con la scritta: URGENTE. La apre e ne legge il contenuto:
Egregio Signor Marasciallo
Si avvisa con la presente che la Sicoli Mariannina figlia di Giovanni Cutugno sia incinta a circa 5 mesi. E questa tale siccome il proprio marito vive nell’estere a 6 anni. Ora vorrebbe con i suoi modi e regiri anche della zia volpe Carmela Picune abbortirsi con medicine. Si avvisa vostra signoria acciò faccia subito osservazioni altrimenti si farà ricorso al Delegato di Paola.
Con osservanza e sicuri che al piu presto possibile vorrà fare il suo dovere.
Con stima la salutiamo. Si avverte che detta Sicoli abita in contrada Borgile.
Aiello 28-9-1918
– Abbortirsi… ricorso… Delegato… dovere… la salutiamo… abbiamo capito tutto… – il Maresciallo parla da solo a voce alta mentre mette da parte il biglietto anonimo e va avanti con il resto della posta.
La mattina dopo, 30 settembre, la storia si ripete: nella posta c’è un’altra busta con la scritta URGENTE, scritta con certezza dalla stessa mano di quella del giorno prima:
Egregio S. Marasciallo
Con un’altra antecedente abbiamo avvisato vostra signoria che in contrada Borgile la Sicoli Mariannina era in cinta. Aspettavamo da lei che fosse venuto a fare il suo dovere. Intanto come gli dicevo all’altra mia, ella d’accordo colla levatrice di aiello ha fatto gia tutto. Perché giorno 22 all’ufficio Postale la sicoli à ritirato lire 500 per fare i suoi comodi è stata per non farsi accorgere a curarsi e per andare di notte la levatrice a casa di sua sorella Peppina ieri sera è iuta a casa sua con la scusa che sua sorella la cura la levatrice e ha fatto pure i comodi suoi
A questo punto Miragliotta decide che è il caso di vederci più chiaro e va a conferire col Pretore: la prima cosa da fare è convocare in caserma la levatrice Maria Buffone e poi far sottoporre a visita Mariannina.
– Ma quando mai! Non ne so proprio niente! – dice, sdegnata, la levatrice. Il Maresciallo scuote le spalle e la congeda.
Verso le 7,00 del primo ottobre, il Maresciallo con un Carabiniere va in contrada Borgile e comincia a chiedere ai residenti se hanno sentito o sanno qualcosa intorno al presunto aborto: nessuno dei tanti interrogati si vuole pronunziare in merito, ma dal modo di rispondere, dalle mezze parole fanno ben comprendere che qualche cosa di vero deve esistere sul voluto aborto della Cotugno, nota come Sicoli. Con questo sospetto, Miragliotta va a parlare con Mariannina.
– Io abortita? Io sono donna onestissima e moglie esemplare! Anzi, pretendo di essere sottoposta a visita medica per rifulgere la mia innocenza e onestà!
Il Maresciallo è confuso, le parole di Mariannina, il suo atteggiamento fiero e deciso lo hanno quasi convinto che si tratta delle solite malelingue paesane, ma per dovere di onestà, prima di archiviare tutto, va ad avvisare il Pretore.
– Vuole essere visitata? E facciamola visitare così non restano dubbi di sorta! – ordina il Pretore.
– Osservando Cotugno Mariannina – detta il dottor Guglielmo Civitelli – trovo che la medesima è di colorito estremamente pallido. Presenta le mammelle ingorgate e l’areola dei capezzoli d’ambo i lati fortemente pigmentate d’un colorito bruno nerastro. Premendo i capezzoli ne vien fuori secrezione lattea – Mariannina diventa rossa come un peperone quando tutti gli sguardi dei presenti si posano su di lei. Poi il medico le ispeziona le parti intime e il rossore diventa un fuoco ardente –. Introducendo lo speculum in vagina, ci appare il collo dell’utero ingrossato ed iperemico e dal suo orifizio cervico-vaginale, slargato ed irregolare, fuoriesce una secrezione muco-sanguinolenta (lochi). Una candeletta del diametro di circa un centimetro attraversa liberamente detto orifizio e liberamente sorpassa l’orifizio interno cervico-uterino, penetrando così in cavità. La percussione e la palpazione rilevano l’utero un po’ aumentato di volume. Da quanto ho osservato, giudico che la Cotugno è di recente abortita e dalla natura dei lochi, nonché dalla dilatazione residuale dell’orifizio dell’utero, ritengo che l’aborto risale ad otto giorni circa. Data la dilatazione residuale del collo dell’utero, ritengo che il feto aveva raggiunto il quinto mese.
L’anonimo era bene informato: Mariannina è fritta e viene portata in caserma per essere interrogata formalmente. Dopo non poche contraddizioni, finalmente confessa:
– Tre o quattro mesi fa, in un momento di pazzia, mi abbandonai nella braccia di un forestiero che non conoscevo. Essendomi recata a legnare in contrada Monacelle fui violentata da uno sconosciuto… Dopo tale fallo non mi vennero più le regolari mestruazioni e così pure per altri due mesi consecutivi, e ne attribuii la scomparsa, più che all’avvenuta unione, alla paura avuta. Pazza di dolore mi recai in casa della levatrice autorizzata Maria Buffone, alla quale raccontai la mia disgrazia e della forte paura avuta. La levatrice mi visitò e mi assicurò trattarsi di sangue ristagnato e mi praticò una lavanda, di cui non vidi né conobbi la natura di essa, poi mi introdusse della garza nella vulva. Prima di mezzogiorno del 28 settembre ritornai dalla levatrice. Mi estrasse la garza, che era insanguinata, fuoriuscì quindi del sangue anche aggrumito, ma non mi accorsi di fuoriuscita del feto abortito. Mi trattenni in paese per affari e verso le quattro accompagnai mia sorella Peppina dalla Buffone, dalla quale era solita farsi fare delle iniezioni di jodio, ordinate dal locale sanitario. Poco dopo uscimmo e ci fermammo a discutere con Angela Pedatella. Fui colta allora da forti brividi di freddo e rimasi a letto a casa di mia sorella fino all’indomani…
– Tua sorella e tua zia ti hanno aiutata ad abortire?
– No, assolutamente no!
A questo punto sarebbe logico correre a casa della levatrice e portarla in caserma, ma il Pretore ed il Maresciallo pensano che sia prima di tutto opportuno chiedere al dottor Civitelli alcuni chiarimenti sulla storia, che ha quasi dell’incredibile con le irrigazioni raccontate da Mariannina
– Ma è possibile che abbia abortito spontaneamente dopo avere avuto minacce d’aborto o attraverso manovre esterne? – gli chiede il Pretore.
– Nella minaccia d’aborto la donna deve essere lasciata nel più assoluto riposo a letto… – risponde in modo allusivo, poi continua – è risaputo, anche dalle levatrici, che qualunque manovra in vagina come irrigazione o, peggio, introduzione di garza nella medesima, può determinare l’aborto anche in una donna gravida, che di aborto non è minacciata…
Ora è il momento di ascoltare ciò che ha da dire Maria Buffone:
– Sono innocente dell’imputazione che mi si contesta. Non ho mai praticato alcuna lavanda a Mariannina Cotugno, né intromesso garza nella di lei vagina, né tanto meno ho avuto confidenze dalla stessa d’essere stata violentata, né mi ha mai consultato circa l’arresto delle mestruazioni. Soltanto le ho praticato dal 19 al 27 settembre ultimo iniezioni di ferro che ella stessa mi ha fornito. Alla sorella, invece, facevo iniezioni di jodio, ordinatele dal medico.
Iniezioni di ferro? Mariannina non le ha nominate.
– Non ebbi praticato alcuna iniezione dalla Buffone… chiedo la libertà provvisoria.
Nel frattempo il Maresciallo perquisisce lo studio della levatrice e rinviene alcune fiale di chinino, spesse volte utilizzate a scopo abortivo.
– Io non ho mai praticato iniezioni di chinino alla Cotugno, tanto meno a scopo di farla abortire e se in casa mia si trovano delle iniezioni di chinino, le stesse servivano per comodità mia e della mia famiglia. Confermo la mia innocenza, tanto più che io sono stata continuamente ammalata dal giorno diciassette settembre fino al ventotto… chiedo la libertà provvisoria
E la libertà provvisoria viene concessa ad entrambe. Però Mariannina, appena uscita dal carcere, l’11 ottobre, si presenta spontaneamente dal Maresciallo Miragliotta e dice:
– Il 24 settembre consegnai alla levatrice Buffone la somma di lire trecento in biglietti di banca di lire cento ciascuno, quale compenso che mi richiese per il procurato aborto. Il compenso fu stabilito il 21 settembre, giorno in cui la Buffone mi disse che per tale servizio sporco voleva essere pagata lautamente e anticipatamente. In quel giorno, per tale cagione, ritirai dall’ufficio postale locale lire duecento, con altri depositati alla cassa di risparmio. Il 24 settembre, dopo la consegna del denaro, la Buffone, che si trovava malaticcia, mi fece il primo lavaggio, lasciandomi nella vagina della garza e l’indomani la tolse e succedette l’aborto. Non potei vedere cosa venne fuori dalla vagina perché mi trovavo nella posizione di parto, solo ricordo un forte dolore e poscia un’abbondante emorragia.
Poi Mariannina comincia a stare male e suo padre, il 24 ottobre, scrive al Pretore per chiedere che altro perito visiti senza indugio, nell’interesse della giustizia, la propria figlia per determinare se la gravità nella quale essa si trova, abbia dipendenza e relazione dell’aborto subito. Pare che ci siano discordanze nei pareri medici e perciò chiede altro perito. Questa levatrice Buffone Maria, donna perversa nel suo mestiere di levatrice, consigliava la figlia ad abortirsi per nascondere al pubblico ed al marito e parenti il frutto d’illecite relazioni. Ben altri consigli poteva dare la levatrice per evitare lo scandalo, ma abituata allo scrocco sceglieva questa via. Ora siamo a pochi giorni che l’aborto è avvenuto e mia figlia s’è gravemente ammalata. A tale malattia s’è aggiunta la febbre spagnola, determinando uno stato grave d’infezione.
Le dure parole di Giovanni Cotugno si prestano a diverse interpretazioni. È lo sfogo di un padre preoccupato per la vita della propria figlia o è una strategia per cercare di scaricare tutta la responsabilità del reato sulle spalle di Maria Buffone?
Comunque, il Pretore accoglie la richiesta ed incarica il Sottotenente medico Pignataro, ad Aiello per sovrintendere le azioni di contrasto all’influenza spagnola, di visitare Mariannina, cosa che fa il 15 novembre 1918:
Ho visitato Cotugno Mariannina e l’ho trovata affetta da broncopolmonite conseguente all’influenza epidemica sofferta dalla Cotugno. L’ho anche interrogata circa le circostanze dell’aborto avuto poco tempo prima e ho potuto convincermi che il grave stato di debolezza ed anemia in cui la Cotugno è rimasta dopo l’aborto, l’ha potuta predisporre alla infezione e certamente l’ha aggravata. Ho visitato in seguito la suddetta, che pur avendo superata la grave malattia, n’è rimasta talmente debole e spossata da non poter tuttora lasciare il letto.
Dopo tre settimane, intanto in questo lasso di tempo il Maresciallo Miragliotta muore di spagnola, viene nuovamente interrogata Maria Buffone, che continua a respingere ogni addebito:
– Insisto nel dichiarare che io non ho in alcun modo preso parte al procurato aborto della Cotugno e tanto meno pretesi dalla stessa trecento lire, né altra somma di qualsiasi genere per i pretesi servizi sporchi di cui lei mi accusa. Sono, anzi, disposta a mettermi a confronto con essa Cotugno.
Ha ragione Maria Buffone: mettere a confronto le due imputate potrebbe essere la chiave per stabilire le singole responsabilità, così il 16 dicembre 1918 le due donne sono una di fronte all’altra e si scatena la guerra
– Ti ricordi, o levatrice Buffone – attacca Mariannina – quando il 24 settembre mi presentai a casa tua, tu eri malaticcia al letto e ti parlai delle mestruazioni che mi si erano arrestate in seguito a rapporti illeciti avuti e tu mi dicesti che per tali servizi sporchi, per riavere le mestruazioni, ci volevano delle medicine del costo di lire trecento, somma che io ti consegnai e che tu mettesti sotto il guanciale, trovandoti a letto, e che poi ti sei levata e mi hai fatto la lavanda in vagina, lasciandoci della garza?
– Non è vero quanto tu dici – risponde la levatrice – tu hai deposto alla giustizia quanto sopra perché mi porti rancore, avendomi offerto cento lire per parlare col sanitario locale il giorno del nostro arresto, primo ottobre scorso, perché li avessi offerti al sanitario stesso e se però ne avesse voluto più, gliene avresti dato perché avesse occultato il tuo aborto, ma io mi rifiutai perché convinta che il sanitario locale non avrebbe accettato e anche per mia dignità!
– Non travisare i fatti, o levatrice Buffone! Io, il giorno dell’arresto, essendo stata la mattina stessa interrogata dal compianto Maresciallo Miragliotta e poi fatta cercare dal Pretore prima del mezzogiorno, sono tornata a casa vostra – ove il giorno successivo al 24 settembre avvenne il mio aborto con abbondante emorragia, dopo avermi estratta la garza alla vagina – perché se volevate salvarvi dall’aborto che mi avevate procurato, io, come vi avevo dato le trecento lire, ve ne avrei offerto altre cento per voi, non mai per il dottore, se aveste potuto trovare un mezzo per salvare voi e me. Voi mi rispondeste che, se caso mai la giustizia mi avesse minacciato di sottopormi a visita medica, io mi sarei dovuta mostrare franca e avrei dovuto dichiararmi disposta a sopportare cento visite mediche, ostentando l’infondatezza dell’aborto, ma pur troppo alla visita del sanitario locale risultai bugiarda…
– Quanto tu dici non è vero – ribatte Maria Buffone – mentre corrisponde a verità quanto ho detto io. Anzi, se lo vuoi detto, l’aborto te l’ha procurato tua sorella Peppina nella stessa sua casa, ove ti ha bollito all’uopo dei malvarotti, somministrandoteli durante tutta la nottata e che poi, verso due ore di mattina, tu hai chiamato tua sorella dalla soffitta, mentre tu stavi nella stanza sottostante, a letto, da dove, dal lato dello spigolo le hai consegnato un involto dove certo vi era il feto abortito e ciò lo so per certo, per avermelo raccontato Angela Pucci, la quale lo seppe da sua sorella Carmina, ora defunta, suocera di tua sorella Peppina. Angela, dopo avere saputo dell’aborto ti è venuta a trovare la mattina, chiedendotene conto. Tua sorella soggiunse che tutto ciò era vero e che era stata tutta la nottata in piedi; tanto ciò è vero, che Angela Pucci, essendosi recata in contrada Tubbolo in casa di Maria Gentile, ebbe tutto a narrarlo e la Gentile lo ha divulgato.
– Che mi vai contando, o levatrice Buffone, tutte queste fandonie! – controbatte Mariannina – tu prima hai sempre detto di non saper nulla di nulla ed ora vieni a dire tutte queste ciance! Sei stata proprio tu a procurarmi l’aborto, mentre durante l’operazione di aborto hai chiuso in un’altra stanza tua figlia per non farla assistere al mio aborto. Non sei tu, o levatrice Buffone, che in un giorno della scorsa settimana ti sei intromessa nel magazzino di casa di mia sorella Peppina e le hai imposto di far dire a me alla giustizia che ero caduta lungo la via scoscesa di Copano e che in seguito alla caduta mi si era procurato l’aborto, mentre tutto quello che avevo dichiarato prima doveva andare a monte. Tu dicesti: “devi fare come ti dico io, altrimenti incolpo te, Peppina Cotugno, dell’aborto procurato e ti faccio bastonare da tuo marito!”. Mia sorella, dapprima impaurita, soggiungeva che questi erano fatti che te li dovevi sbrogliare tu, o levatrice Buffone! Io tutto ciò l’ho saputo da mia sorella, in casa della quale sono stata davvero, ma dopo l’aborto ed in seguito alla febbre sopraggiunta all’aborto, come ho dichiarato fin dal primo interrogatorio.
– Non è vero! Non è vero! – urla Maria Buffone – Ciò che è vero è che anzitutto tua sorella chiamò l’ottuagenaria Carmina Briglio Nigro ed offrendole un bicchierino d’acquavite le propose di procurarti l’aborto, ma Carmina trangugiò l’acquavite e si rifiutò!
Il Pretore le esorta a mettersi d’accordo, ma le due donne restano ferme sulle proprie posizioni, anche se l’impressione è che Maria Buffone sia stata meno convincente di Mariannina.
Interrogate le donne chiamate in causa da Maria Buffone, solo Carmina Briglio conferma di essere stata contattata da Peppina Cotugno, che le ha davvero offerto un bicchierino di acquavite, per eseguire un aborto su di una donna di cui non fece il nome, ma che rifiutò di prestarsi a farlo.
Per gli inquirenti ci sono tutti gli elementi per chiedere il rinvio a giudizio delle due imputate, richiesta che viene accolta ed il 15 maggio 1919 si apre il dibattimento, ma c’è subito un intoppo: l’avvocato Pietro Mancini, difensore di Maria Buffone, chiede che gli atti vengano rinviati al Giudice istruttore per la nullità della perizia medica effettuata dal dottor Civitelli, unico perito, invece dei due previsti dalla legge. La Corte rigetta l’istanza per l’urgenza con la quale venne disposta la perizia, ma Mancini si oppone strenuamente ed ottiene che un nuovo perito sia chiamato ad esaminare il lavoro svolto dal dottor Civitelli. La nuova perizia eseguita dal dottor Lorenzo Giannuzzi, supportata da numerosi casi clinici simili per le condizioni degli organi esaminati, è clamorosa: si giudica che Cotugno Mariannina non ha abbortito.
Ed ora come si metteranno le cose?
Il 31 ottobre 1919 viene emessa la sentenza che salva capra e cavoli: poiché trattasi di reato per il quale devesi dichiarare estinta l’azione penale per l’amnistia del 2-9-19, la Corte dichiara non doversi procedere in ordine al reato perché l’azione penale è estinta per amnistia.[1]
Scusate, abbiamo scherzato.
[1] ASCS, Processi Penali.