LA PIÙ BELLA DI TUTTE

– Giggì, me la devi presentare, io esco pazzo, non sai quanto ne sono innamorato! – l’innamorato è Pietro Paolo Cristiano, ventisettenne contadino di Carolei. La ragazza è la ventenne Adelina Fiorino di Domanico, la più bella di tutto il circondario.

– Pietro, devo trovare l’occasione giusta, non avere fretta…

L’occasione si presenta nella primavera del 1936 e Pietro comincia subito a frequentare la casa di Adelina recandovisi tutte le domeniche per nove mesi. Nove mesi durante i quali assume le più ampie informazioni sulla ragazza che gli risultano ottime sotto ogni riguardo, quindi può fare il grande passo di chiederne formalmente la mano e la richiesta è benevolmente accolta sia da Adelina che dai suoi genitori.

Il consenso non è stato affatto scontato, tutt’altro, perché Adelina aveva già ricevuto altre due formali proposte di matrimonio, la prima da un paesano, Raffaele, e la seconda da un soldato lombardo, Eugenio Testa, ma alle nozze si erano opposti i genitori, non trovando in Raffaele alcuna convenienza economica e inoltre perché il giovanotto, durante il servizio militare in Libia, avendo interrotto i rapporti epistolari con Adelina, questa si credette autorizzata a riprendere la propria libertà; per il militare le ragioni furono diverse perché Eugenio Testa non volle dilazionare le nozze che essi genitori stimavano necessario per ragioni di lutto. Ma pare che altri giovanotti avrebbero voluto impalmare Adelina, essendo questa per le sue virtù e la sua prestanza ammirata da tutti.

Adelina e Pietro Paolo si sposano il 28 ottobre 1937, giovedì, ma il giorno prima una sciocchezza ha rischiato di far saltare tutto perché Pietro Paolo, recatosi al Municipio per sbrigare le ultime incombenze, ha notato su di un tavolo metà di un biglietto di partecipazione del suo matrimonio, nel rovescio del quale erano scritte le parole: “Certificato di morte della bambina, certificato di povertà, ecc.”. Un’assoluta sciocchezza per qualsiasi persona normale, ma non per Pietro Paolo che in questo preciso momento ha scoperto di essere pazzo di gelosia e quindi per lui è evidente che qualcuno ha lasciato lì quel biglietto per fargli capire che la bambina morta l’aveva partorita Adelina e quindi che certamente si era data al paesano o al militare o a chissà chi!

Afferrato il pezzo di carta, corre a cercare Giovanni Fiorino, suo prossimo cognato, e gli fa leggere il biglietto.

– Ma che ti viene in mente? Non ti accorgi che l’hanno scritto per chiedere un certificato di morte? E poi perché anche un certificato di povertà?

– Continui a non capirlo? Per farmi sapere che tua sorella non è una donna onesta!

– Questo non lo devi nemmeno pensare! Tu non ti rendi conto che, ammesso che qualcuno abbia voluto farti avere questa notizia, chi ha scritto il biglietto non poteva certo sapere che tu saresti andato al Municipio stamattina e l’avresti trovato e letto! Facciamo così, andiamo dal Segretario Comunale e chiediamo a lui.

Ovviamente la risposta del Segretario non può essere altra che spiegare a Pietro Paolo come quella metà di partecipazione col retroscritto era stata portata da persona alla quale occorrevano i documenti che vi erano stati elencati.

Ma ancora non è convinto e racconta tutto a sua madre che lo rimprovera e anche lei gli fa lo stesso ragionamento degli altri due.

Finalmente rasserenato, il giovane va dalla sua amata per organizzare la festicciola di matrimonio. Forse “rasserenato” non è la parola giusta perché, nonostante tutto, Pietro Paolo nel suo intimo continua a rimuginare su quelle parole.

Pronunciato il fatidico sì e salutati gli invitati, Pietro Paolo e Adelina vivono la loro prima notte amandosi appassionatamente perché lo sposo è rinfrancato dall’aver trovato la sposa illibata e la mattina dopo, appena alzato, corre da sua madre per darle la buona notizia.

Era vergine! È inutile che i cristiani vadano dicendo che Adelina aveva già fatto all’amore!

Quelle parole erano false. Forse. Forse perché nei giorni seguenti tutti notano Pietro Paolo in preda come ad una mania di persecuzione derivante dal noto episodio, ma questo contrasta fortemente con il suo comportamento tra le mura domestiche, dove fin dalla prima notte regna la pace ed il pieno accordo, che certamente sarebbero dovuti mancare se il talamo nuziale gli avesse dato dolorose sorprese.

Un solo fatto è certo: Pietro Paolo è morbosamente geloso e due insignificanti episodi accaduti nei giorni seguenti le nozze lo dimostrano chiaramente.

La mattina del 4 novembre, cioè 7 giorni dopo il matrimonio, uscendo dalla messa, Pietro Paolo si imbatte nel fratello dell’ex fidanzato di Adelina e gli pare di sentire che questi dica: “certificato di morte della bambina… certificato di povertà…”. Nessuno sa se ciò sia avvenuto per innocente coincidenza o per cattiveria, ma è certo che Pietro Paolo si sente irriso da quelle parole e per tutta la mattinata tiene il broncio ad Adelina, facendo ancora una volta risalire alla sua condotta la responsabilità di quella irrisione.

Il secondo episodio accade la sera stessa del 4 novembre, durante una festicciola in casa dei novelli sposi. Si suona e si balla allegramente, ma quando Pietro Paolo nota che un suo intimo amico rivolge lo sguardo verso Adelina si rabbuia. Va dalla moglie e, nella sua muta collera,  pretenderebbe che, vistasi guardare, si allontanasse da casa o andasse a pigliar posto in un angolo in cui non è possibile all’amico di scorgerla.

Da questo momento le ombre prendono corpo e le illusioni diventano realtà.

È la sera del 12 novembre. Pietro Paolo ed Adelina cenano dalla mamma dello sposo, poi tornano a casa in piena armonia. Sono felici, le ombre sembrano essere finalmente svanite, e non perdono tempo: si buttano abbracciati sul letto e danno libero sfogo al loro ardore congiungendosi carnalmente.

Verso l’una di notte Pietro Paolo sente il bisogno di orinare e, lasciato il letto, va nell’attigua ritirata. Qualcosa non va, avverte impedimento di urina. Un lampo nella sua mente: Adelina lo ha infettato di blenorragia! Diventa una furia, afferra un bastone, torna in camera da letto ed assesta un poderoso colpo in testa a sua moglie. Adelina, nonostante sia ferita ed intontita, si alza e comincia ad urlare per chiedere aiuto. Prova anche a lanciarsi contro il marito per difendersi dal colpo che sta per tirarle. Resiste finché può, poi altri due tremendi colpi sulla fronte la fanno stramazzare esanime al suolo.

Pietro Paolo sbuffa, ha le narici dilatate mentre guarda sua moglie immobile a terra. Si china, la tocca, le mette una mano sul petto per sentire se il cuore batte ancora. No, è fermo. Si rialza e si passa le mani tra i capelli. Un sorriso beffardo dice che deve prepararsi l’alibi per farla franca. Prende Adelina in braccio e la posa delicatamente sul letto nuziale. La pulisce al fine che il suo apparente atto di pietà ostacoli il sospetto. Si libera degli indumenti sporchi di sangue e del bastone che gli è servito per il delitto, poi corre da sua madre.

– Una disgrazia! Ohi madonna mia! – urla con le mani che gli coprono il viso, forse per la vergogna di mentire a sua madre – Stavamo dormendo, mi sono svegliato per andare a pisciare e sono penetrati nella mia stanza due sconosciuti, uno alto ed uno basso, che hanno aggredito Adelina con un bastone… la picchiavano in testa… io ho avuto paura e sono scappato dalla finestra… poi… poi sono rientrato e… ohi madonnella mia… l’ho trovata morta! L’ho presa e messa sul letto… ohi che mi doveva capitare!

Pietro Paolo, sua madre e altri parenti vanno nella casa del delitto e lui continua ad insistere nel trucco e con pensiero macabro va a sdraiarsi sul letto a fianco della povera morta, rimanendovi fino a farsi trovare in quella posizione dai vicini accorsi, quasi ad ostentare che la sua amorevolezza lo unisce alla moglie anche dopo morta!

Né ciò è tutto!

Quando più tardi arrivano i carabinieri, si fa trovare seduto su una sedia prossima al letto e col busto piegato nello stesso, fingendo di essere talmente abbattuto da non rispondere alle domande che gli rivolgono, mirando con ciò a dimostrare che il suo dolore gli impedisce di capire, nonché gli toglie la forza di rispondere.

Ma i Carabinieri, sospettosi per mestiere, notano che in lui manca ogni eccitazione nervosa ed ogni sintomo di emotività riferibile a pianto e sgomento. Notano l’assoluta mancanza di violenza alle finestre ed alla porta di entrata, aventi le chiusure interne. Notano, infine, che è leggermente ferito e questo fa supporre una colluttazione. Il Maresciallo, elevando dei sospetti, lo porta in caserma. Qui Pietro Paolo decide che è arrivato il momento di aprire bocca e ripete la storiella dell’aggressione dei due sconosciuti, ma i Carabinieri non bevono grosso perché ormai sono convinti della sua colpevolezza e di quella di sua madre, così arrestano entrambi.

Pietro Paolo continua la sua sceneggiata anche davanti al Procuratore del re, urlando la sua innocenza e lo fa così bene che il suo avvocato (nemmeno a lui ha detto la verità) ci casca e presenta, il 15 novembre 1937, un’istanza per chiedere la scarcerazione dei due sospettati perché immuni da qualsiasi colpa ed angosciati e mortificati dall’ingiusto sospetto.

Ma più passano i giorni e più si aggiungono indizi e contraddizioni fino a costituire prova schiacciante. A questo punto Pietro Paolo non può più appigliarsi alla tesi dell’innocenza e, il 22 novembre, confessa, ma lo fa a modo suo, infarcendo il racconto di episodi non veri, confidando che bastino a discriminarlo e a ridurre la sua pena, certamente confessa dopo che gli sono arrivati accorti suggerimenti e quando ha avuto tutto il tempo di maturare delle giustificazioni.

L’ho uccisa per ragioni d’onore, precisamente due ragioni distinte. La prima ragione perché la notte del fatto, non potendo orinare pensai di essere stato inficiato da mia moglie; la seconda perché non la trovai vergine

L’ingenuo non sa, però, che sua madre ha già raccontato quanto le aveva detto la mattina dopo le nozze: “Era vergine!”. In più ci sono molte testimonianze che raccontano del suo pieno accordo con la moglie fino a poco prima di ucciderla e questo è inconciliabile con la sua tardiva affermazione. Ma Pietro Paolo non si arrende e getta ancora infamia ai danni della disgraziata, dicendo:

Mi sono mantenuto in pieno accordo per la pietà da cui fui vinto verso la donna che si umiliò confessandomi il suo fallo

– Quale sarebbe questo fallo?

– Come vi ho detto, la prima notte di matrimonio non l’ho trovata vergine; alle mie insistenze finì col dirmi che se io non l’avessi mandata via, così svergognandola in paese, mi avrebbe detto tutta la verità e, senza aspettare la mia risposta, mi confessò che due o tre anni prima aveva avuto la disgrazia di essere stata rapita da quattro persone di Amantea che l’avevano portata via in automobile e poi l’avevano disonorata. Io non ho creduto a quel che diceva, ma da quel giorno cominciò la tempesta nel mio animo. Vi erano dei momenti in cui tendevo a dar credito alla confessione e dei momenti in cui pensavo che non era possibile che io sopportassi il disonore

È troppo grossa, non è possibile credergli, soprattutto perché non ci sono riscontri. Possibile che un fatto così grave non si sia saputo in paese? Possibile che i genitori di Adelina non si siano rivolti alla Legge o, al limite, abbiano cercato la vendetta? No, è solo una infamità inventata per perseguire il suo unico scopo di non essere chiamato responsabile dell’omicidio.

Allora racconta un po’ di più, ma sempre con qualche menzogna:

Quella notte fatale, dopo essermi congiunto con mia moglie, i brutti pensieri si affacciarono alla mia mente con più violenza… mi alzai dal letto per fare un bisogno e quando mi accinsi ad orinare mi accorsi che non potevo farlo e mi sentivo male… fu con uno sforzo che finalmente riuscii ad emettere l’urina. Allora non ebbi più dubbi che mia moglie mi avesse infettato e, rientrato nella camera da letto, afferrai un bastone e le tirai un colpo alla testa mentre era sveglia a letto. Ella saltò dal letto e mi pare che si lanciò contro di me, tanto che siamo caduti a terra. Io mi rialzai e tirai, mi pare, altri due colpi di bastone ed ella restò immobile… negli ultimi rantoli della morte ebbi pietà di lei e per non farla soffrire più le misi le mani alla gola e la strangolai. Dopo la presi da terra e la posi a letto. L’ho coperta e le ho pulito la faccia tutta insanguinata con una mia camicia. Indi mi sono tolto l’abito che avevo tutto insanguinato ed insieme con quella camicia ho fatto un involto, che non ricordo dove ho deposto. Poi mi sono lavato le mani, la faccia e ho indossato l’abito che ho indosso, dopo essermi cambiato anche la maglietta, che era imbrattata di sangue, e sono uscito recandomi a casa dei miei genitori

– Non è chiaro. Se avevi tutti questi dubbi sull’onestà di tua moglie e soprattutto dopo che lei ti confessò il suo fallo, come mai ti congiungevi carnalmente con lei e poi vorremmo sapere se era una pratica quotidiana o è capitato solo la prima e l’ultima notte.

– Erano i primi giorni di matrimonio…  mi congiungevo con mia moglie ogni notte e per parecchie volte la notte – poi aggiunge – ma quel giramento di capo non lo attribuii alle tante volte, bensì ad infezione

Siccome non è ben chiaro quando Pietro Paolo mente e quando dice il vero, gli inquirenti vogliono stabilire con esattezza la causa della morte di Adelina per calibrare il capo di imputazione e per arrivare a questo risultato è necessario riesumare la salma e stabilire se sia morta per le bastonate in testa, come si è sempre pensato, oppure per lo strangolamento di cui ha parlato l’indagato.

La perizia stabilisce che non ci sono segni riconducibili ad uno strangolamento e quindi anche stavolta Pietro Paolo ha mentito, ma i periti accertano che i colpi inferti sulla testa della vittima non sarebbero stati di per sé mortali non avendo causato fratture alle ossa del cranio, ma la morte è sopraggiunta per un ematoma cerebrale causato da una bastonata. Questo potrebbe giovare a Pietro Paolo.

Intanto il Giudice Istruttore rinvia l’imputato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza per rispondere di uxoricidio e proscioglie la madre per non aver commesso il fatto.

Il dibattimento si svolge tra il 21 ed il 24 ottobre 1938 e la Corte respinge con lunghe e argomentate motivazioni tutte le richieste della difesa, tendenti a dimostrare le non buone condizioni mentali dell’imputato e quindi o la non imputabilità o la parziale responsabilità: egli agì sotto la influenza di una triste passione, la gelosia, che esacerbandogli per la concorrenza di un casuale fenomeno – la ritenzione di urina – un preformato e doloroso dubbio, generò una violenta emozione che l’indusse al delitto. È da escludere, pertanto, ch’egli al momento del delitto difettasse o godesse limitatamente della capacità di intendere o di volere quale conseguenza di uno stato morboso preesistente. Peraltro, il comportamento immediato al delitto, in verità oculato, logico, astutamente macabro, tutto teso al fine dell’impunità, dà la misura che il prevenuto era tanto in possesso delle facoltà psichiche, da poterle conservare integre anche quando il rimorso della strage della sua donna avrebbe dovuto mortificargliele. Onde egli deve andar riguardato quale soggetto di diritto penale pienamente imputabile.

Ma se da un lato la Corte ritiene Pietro Paolo pienamente imputabile, dall’altro è convinta che la volontà del prevenuto non fu diretta ad uccidere la moglie, anzitutto, per la quasi inidoneità del mezzo usato; egli si servì di un bastone, quando nella sua casa di contadino agiato non dovevano mancare scuri, zappe, roncole, coltelli o che so io, né può pensarsi che egli non ebbe il tempo di munirsi di un’arma opportuna, poiché egli andò a consumare il delitto a danno di vittima ignara, la quale amorevolmente attendeva a letto il suo ritorno. Né può pregiudicare la reiterazione dei colpi perché essi furono inferti senza eccessiva violenza, onde più per ledere e seviziare che per uccidere. I tre colpi non altro produssero che tre lesioni di continuo, sulla bozza frontale sinistra, di pochi centimetri ciascuna, tutte poi non interessarono il periostio né il pericranio e molto meno il tavolato osseo. La morte avvenne per commozione cerebrale, essendosi formato un grumo sanguigno della grandezza di dieci lire, in corrispondenza della regione frontale, quale disgraziata e non fatale conseguenza del trauma. Peccato che la stessa Corte abbia già descritto la prima bastonata come un poderoso colpo.

Pietro Paolo può tirare un grosso sospiro di sollievo e farsi il segno della croce perché per molto meno, altri hanno preso trent’anni di reclusione. Per lui, invece, la Corte crede equo irrogargli la pena nella misura di anni 17 di reclusione, più pene accessorie e risarcimento del danno alle parti civili.

È il 24 ottobre 1938, annus horribilis.

Il 16 giugno 1939 la Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell’imputato.[1]

Adelina Fiorino era la più bella di tutte.

[1] ASCZ, Sezione di Lamezia Terme, Sentenze della Corte d’Assise di Cosenza.