OLIO DI SANGUE

Sulla strada che da Serra Aiello scende alla marina si incontra la contrada Salice, la quale appartiene al Comune di Amantea ed è sita in confine di questo con quello di Serra d’Aiello. Sulla sommità della collina di contrada Salice sorge una casa rustica abitata dalle sorelle Maria e Francesca Bruni. Sulla destra della via, per chi è volto a mare, si apre una pezza di terreno coltivata a grano e ad olivi che discende con lieve pendio fino ad una casa colonica di proprietà di Viola Ignazio. Questa casa, prospetta a mare, è costituita da due piani ed ha unica entrata, ossia un portone posto sul davanti, a destra di chi guarda. Entrando dal portone, che si chiude a due battenti, sulla sinistra si trova un locale adibido alla lavorazione dell’olio (vulgo trappito), mentre gli altri locali a pian terreno sono adibiti a magazzini. Salendo per la scala in pietra che parte dall’ingresso si accede all’abitazione della famiglia Viola. Poco staccato dalla casa c’è un piccolo fabbricato adibito a forno e un po’ più distante c’è un gruppetto di case abitate da contadini al servizio di Ignazio Viola.

La sera del 3 dicembre 1890 il mulo che fa girare la macina viene staccato e portato nella stalla, poi i due trappetari Antonio Bruni e Bruno Fata Agliuzzo vanno a coricarsi in uno dei magazzini.

Ormai tutti dormono in contrada Salice in quella notte buia ma finalmente serena dopo giorni di pioggia. All’improvviso una detonazione squarcia il silenzio e fa sobbalzare più d’uno nel letto, poi di nuovo un silenzio di tomba.

Anche Maria Bruni sta dormendo, sognando sua figlia di fresco morta, quando viene bruscamente svegliata dallo sparo e non riesce più a prendere sonno. Dopo un po’ sente bussare insistentemente alla porta. Si svegliano anche sua sorella Francesca e una loro amica, Isabella Bagarino, loro ospite. Maria accende un lume e si avvicina alla porta.

– Chi è a quest’ora di notte? Andatevene che non apriamo a nessuno!

– Sono tuo fratello Antonio… apri… – la voce, seppure molto flebile, viene riconosciuta e la porta aperta. Antonio entra barcollando come ubriaco e si butta su di un lettino che è accanto alla porta, ma c’è qualcosa che non quadra, non ha il berretto e dietro di sé lascia una scia di sangue che sta perdendo dalla testa aperta in due.

– O gesummaria! – urlano le donne a quella vista – che cosa è stato?

…Don Ignazio… perché gli avevo preso un po’ d’olio… mi ha ammazzato… manda a chiamare subito la mamma e Peppino… muoio…

Francesca ed Isabella corrono a chiamare la madre e il fratello, mentre Maria resta al capezzale del ferito  che accusa forti dolori alla testa e al ventre e non c’è modo di arrestare il sangue che scorre abbondante dagli squarci sulla fronte e sulla nuca e subito perde conoscenza. Maria cerca di rianimarlo e per far questo gli apre i vestiti, accorgendosi che non ha nemmeno la cintura militare che di solito porta ai calzoni. Quando arrivano la madre e il fratello, Antonio non parla più, solo mandava di quando in quando dei forti lamenti e poi, prima di far giorno, muore.

Appena fatto giorno la voce si sparge e qualcuno va ad avvisare sia i Carabinieri di Amantea, sia quelli di Serra Aiello, ma di don Ignazio Viola non c’è traccia, pare sia scappato quando ha saputo che si fa il suo nome come assassino di Antonio Bruni.

Carlo Pucci sta zappando in campagna e vede passare don Ignazio, con la faccia sconvolta e con l’animo sommamente agitato, che va a nascondersi in un basso lì prossimo. Don Ignazio vede il contadino, torna sui suoi passi e gli dice:

Mi raccomando, non dire ad alcuno che mi hai veduto

Il contadino fa un cenno d’assenso e torna a menare di zappa. Poi per giorni e giorni di Ignazio Viola non si hanno sue notizie.

Intanto a contrada Salice arriva il Pretore che va a constatare la morte di Antonio Bruni e qui trova Bruno Fata Agliuzzo che viene subito interrogato:

Ieri sera, verso due ore di notte, mentre eravamo nel trappeto io, il mio compagno Antonio Bruni ed il padrone, questi ci salutò e se ne salì nelle soprastanti camere d’abitazione; io lo seguii per mangiare, Antonio rimase nel trappeto. Dopo aver mangiato io scesi e il Viola se ne restò su con sua moglie. Poco dopo io e il mio compagno ci coricammo come al solito nell’unico letto che teniamo appositamente nel trappeto e mi addormentai. Dormivo quando verso la mezzanotte fui svegliato dalla detonazione di un colpo di arma da fuoco, esploso all’aperto in vicinanza al trappeto. Tastai allora sul letto e mi accorsi che mancava il mio compagno; immediatamente scesi a terra, mi assicurai che questi non era neanche nel trappeto e quindi mi avvicinai al portone per cui si accede alla casa Viola e al trappeto e il portone era aperto. Tutto era in silenzio. Guardai fuori dal portone e a circa cinque o sei metri verso il forno ho veduto un uomo in attitudine sospetta che teneva in mano un’arma che non ho potuto distinguere se era un fucile o un forcone e quest’uomo fece atto di muoversi verso me radendo il muro, come chi voglia sorprendere. Io allora, impaurito, mi ritrassi in casa dando il catenaccio alla porta. Quell’uomo lo riconobbi pel mio padrone don Ignazio e non vi ha dubbio che era lui perché l’aria era abbastanza chiara, vi era la luna e la distanza da me a lui poteva essere appena di un sei metri… ho subito pensato che quella sera prima di coricarci, Antonio avea detto di volersi prendere un po’ di olio per condire un po’ di patate, sicchè, conoscendo che il padrone era piuttosto sospettoso, gli risposi: “fa quello che vuoi… io non ci voglio entrare”.

– E quindi?

– E quindi ho pensato che don Ignazio aveva sparato col fucile…

Poi il Pretore, insieme all’Appuntato Vittorio Sabbetto e al maresciallo Paolo Amodei va verso l’abitazione dei Viola passando attraverso il campo seminato a grano quando scorge qualcosa nel terreno.

– Cos’è quello? Sembra un vaso…

– È un vaso di terracotta – conferma l’appuntato. Nessuno ci fa caso più di tanto siccome si supponeva vi fossero tracce dell’omicidio vicino alla casa Viola e il Pretore, quasi subito dopo fatta quella interrogazione, continuò a chiedere l’esito delle informazioni assunte e tirò avanti. Terminati gli accertamenti, in attesa di eseguire l’autopsia sul cadavere di Antonio, l’Appuntato Sabbetto e un Carabiniere vengono adibiti al piantonamento del corpo nella casa delle sorelle.

La mattina del 5 dicembre, di buon’ora, Sabbetto esce per fare un po’ di moto e, camminando nei pressi della casa Viola, trova un calcio di fucile sotto un ulivo, poi poco distante una piccola giara con olio con attorno una cinghia di cuoio, un berretto da militare e un misurino di latta. Corre a chiamare il Carabiniere e lo porta sul posto.

– Queste cose non devono essere spostate fino a che non arriva di nuovo il Pretore. La vedi la giara? È la stessa che abbiamo visto ieri…

Proprio negli istanti in cui i due Carabinieri stanno perlustrando il campo, nella casa delle sorelle Bruni accade qualcosa di potenzialmente dirompente: Peppino Bruni Paletta, fratello uterino del morto, ha una discussione con Bruno Fata Agliuzzo, unico testimone, almeno per ora, andato a fare la visita di lutto.

Osi pure venire alla mia presenza? Tu meglio di ogni altro puoi sapere chi à ucciso mio fratello, se pure non sei stato tu stesso perché ti trovavi con lui – gli urla in faccia afferrandolo per il petto e poi sferrandogli un pugno. Agliuzzo, intimorito, racconta il fatto esattamente come lo aveva già raccontato al Pretore, poi se ne va e lascia anche il posto di lavoro.

L’affermazione di Peppino Bruni Pagnotta offre lo spunto alla famiglia Viola per partire all’attacco e cercare di addossare la responsabilità dell’omicidio su Agliuzzo, sostenendo che gli oggetti rinvenuti e repertati nel campo seminato siano stati lasciati sul posto la notte seguente all’omicidio. La confusione è totale, ma da sopralluoghi più approfonditi si riesce a ricostruire la dinamica esatta dell’omicidio e le cause della morte di Antonio Bruni. Si vedrà in seguito chi ne è stato l’autore, fermo restando che l’unico indagato è don Ignazio Viola, sempre latitante.

 Un po’ più in sopra del posto dove è stata rinvenuta la giarretta, vengono repertate due impressioni concave sul terreno, morbido per la recente aratura e la pioggia recente, profonde circa dieci centimetri. Si nota che superiormente alle impressioni concave vi è un piccolo solco per lo scolo delle acque a circa due metri dalle impressioni stesse. Lì presso si rinvengono delle orme di piede umano nel terreno, ma non è possibile distinguerne la grandezza e la direzione perché vi sono orme sovrapposte ad orme. Continuando però verso la casa Bruni si trovano solo orme di piede di media dimensione e di uomo che calzava le cosidette “zampette”.

Questa è, come dicevamo, una scoperta importante per capire la dinamica dell’omicidio, infatti il perito è in grado di stabilire che Antonio Bruni, mentre portava appoggiata alla scapola destra la giara sudetta, tenendola per la cinghia, ed il misurino dell’olio, e correva in senso trasversale al declivio, sia inciampato nel piccolo solco o scolo d’acqua posto superiormente a poca distanza e sia caduto piantando a terra le ginocchia, battendo contro il suolo il ventre in modo che la giara d’olio per la spinta ricevuta andò a ruzzolare oltre tre metri distante e si fermò dove ora si trova, mentre il misurino si fermò lì presso. Dissi che Bruni doveva portare la giara alla scapola destra perché era questa la spalla opposta al declivio e ciò perché, dalle forme delle impressioni delle ginocchia si rileva indubiamente che quell’uomo caduto dovea essere volto verso la casa Bruni; ove la giara fosse stata appoggiata alla spalla sinistra, nel ruzzolare in basso avrebbe trovato ostacolo nella testa di chi la portava ed avrebbe ricevuto una scossa tale, passando dal corpo di Bruni sul terreno più in basso che si sarebbe rotta o almeno del tutto rovesciata. Dissi che Bruni correva e lo deduco dalla spinta che deve aver ricevuto dal cadere con le ginocchia, come apparisce dalla profondità delle impressioni stesse, deve, poi, aver battuto il ventre perché nel punto ove cadde deve essersi trovato con le ginocchia più in alto del rimanente del corpo e non deve aver potuto alleviare la scossa della caduta con le mani perché il terreno gli mancava sotto essendo in declivio.

Si, va bene, ma i colpi in testa?

Chi lo ha ucciso gli ha spaccato in testa il fucile, i cui pezzi erano sparsi intorno al luogo dove Bruni cadde: il fucile, che era ad una sola canna, deve essere stato rotto da uno che, tenendolo per la canna, abbia con violenza vibrato il calcio contro un corpo duro e questo colpo deve essere stato vibrato in questo luogo perché qui si è rinvenuta la scheggia sopra menzionata. Ma l’esito dell’autopsia contraddice parzialmente la ricostruzione del perito perché i traumi riportati da Antonio Bruni all’addome, cioè lo spappolamento della milza con conseguente grave emorragia interna, non furono causati dall’impatto sul terreno, bensì dai colpi infertigli col calcio del fucile prima dei colpi alla testa.

Quindi, Antonio Bruni esce dal trappeto con la giara piena di circa 6 litri di olio, che probabilmente ha rubato al suo padrone don Ignazio Viola, portandola a spalla con la cinghia dei pantaloni a cui ha appeso anche il misurino di latta. Qualcuno, per l’accusa è don Ignazio, lo vede e gli spara contro una fucilata senza colpirlo. Bruni, impaurito si mette a correre verso la casa delle sorelle per mettersi al riparo ma inciampa e cade malamente a terra restando stordito. L’aggressore lo insegue ma non può più sparargli perché il fucile ad una canna è scarico e teme di non avere il tempo di ricaricarlo, così prima lo colpisce all’addome col calcio del fucile e poi glielo spacca in testa, fratturandogli le ossa del cranio, causando un’emorragia cerebrale che portò Bruni alla morte del giro di poche ore.

Dopo vari tentativi andati a vuoto per arrestare Ignazio Viola, al Brigadiere Paolo Turra, comandante la stazione di Aiello Calabro, non interessata alle indagini, viene il sospetto che il Viola, nella ricorrenza delle feste natalizie si fosse rifugiato in Aiello nella casa di suo cugino Laurelio Scipione, esattore d’Aiello; alle ore 2 antimeridiane di oggi 25 dicembre 1890, ci siamo recati a circuire la casa del medesimo ove siamo rimasti in appiattamento fino alle ore 7, indi fatta aprire la porta, dopo di aver disposto che le diverse uscite della vasta abitazione del Laurelio fossero guardate dai Carabinieri, noi Brigadiere Turra e Appuntato Cristofaro siamo entrati e per ben due ore abbiamo passato infruttuosamente perquisizione, ma finalmente in un magazzino sotterraneo di detto fabbricato abbiamo rinvenuto il Viola Ignazio che erasi rannicchiato dietro una vecchia porta.

– Sono innocente. La sera del 3 dicembre, all’ora solita, prima di congedarmi da Bruni e Agliuzzo dimandai se avessero bisogno di qualche cosa ed avendomi risposto che difettavano di solfanelli, ne diedi loro circa dieci o dodici e ciò fatto me ne salii nelle mie stanze. La mattina seguente, alla buona ora, dissi a mia moglie di spedire subito la serva Carmina in Serra d’Aiello per comprare della carne macellata perché, essendo giorno di giovedì, si uccidevano pochi animali. Difatti la serva partì subito, ma la mia sorpresa fu grande quando la vidi immediatamente rientrare in casa e dirmi che avevano battuto Antonio e s’imputava me, per come aveva sentito nel pubblico. Io, ch’ero innocente, corsi subito al trappeto in cerca del Bruno Agliuzzo per sapere una tale faccenda ma non ve lo trovai, invece mi si disse che veniva trattenuto in casa delle sorelle Bruni e non vollero farlo uscire a qualunque costo dicendo che io l’avrei imposto di omettere il fatto che mi veniva addebitato. Vedendo che le cose pigliavano una brutta piega per me, sapendomi innocente, pensai scrivere una lettera al mio parente Vincenzo Laurelli in Aiello, pregandolo d’invitare i Carabinieri ad accedere in quel luogo, anche a mie spese, onde costatare il fatto accaduto, spedendo la lettera per la cennata mia serva. Prima che giungessero i Carabinieri m’imbattei in mio padre e poscia in Naccarato Luigi, Viola Battista e Bruno Vincenzo di Serra d’Aiello e questi tre ultimi, essendo venuti in conoscenza che Antonio Bruni era morto e che a me s’imputava l’omicidio, mi consigliarono alla latitanza. Io ripetute volte non volli loro sentire, sapendo la mia innocenza, anzi io volevo andare in casa del Bruni per accertarmi della disgrazia, ma mio padre me lo impedì ed essendomi poi persuaso alle premure del Naccarato e degli altri, mi son tenuto guardingo non già perché mi sentivo reo, ma invece perché la giustizia avesse liquidato il vero colpevole dell’omicidio.

– Se non siete stato voi, chi potrebbe essere l’assassino di Antonio Bruni?

Antonio Agliuzzo per la ragione che se in altre occasioni mi aveva sempre chiamato, anche notte tempo, avrebbe dovuto chiamarmi anche in quella notte per un fatto sì grave, e neanco la mattina dopo fatto giorno se n’è dato per inteso

– Si dice che eravate esasperato dai continui furti di olio dal trappeto e che per questo…

Durante la macina degli ulivi, da ottobre fino oltre dicembre volgente, non mi sono mai accorto che Agliuzzo e Bruni mi avessero rubato dell’olio, anzi li ho tenuti in buoni concetti di onestàlasciavo affidato a loro ulivi e quant’altro esisteva nel trappeto, chiudendo solo il magazzino che conteneva l’olio

– È vostro questo? Gli chiede il Pretore mostrandogli il calcio di fucile rotto.

– No.

Adesso la domanda è questa: non ammettendo il furto dell’olio come movente valido per don Ignazio Viola, poteva Bruno Agliuzzo avere un movente per uccidere Antonio Bruni?

Bruno Fata Agliuzzo, secondo alcune voci che cominciano a circolare, avrebbe avuto una relazione con Maria Bruni e siccome fu sorpreso quella notte da Antonio mentre stava andando a trovarla, lo uccise. Comincia a correre anche la voce che le sorelle Bruni sono delle donne di facili costumi e di notte lasciano sempre la porta aperta per ricevere i loro amanti. Niente di più falso, sostengono i Carabinieri della stazione di Aiello Calabro, se si tenta di far credere che il delitto sia stato commesso da Bruno Fata Agliuzzo, non possono essere altri che i parenti del Viola, anche perché Agliuzzo è l’unica persona che trovavasi presente al fatto e che certamente più di ogni altro potrà aggravare la condizione del Viola Ignazio nella causa. Di più, tutti i testimoni interrogati giurano che le sorelle Bruni sono donne dalla moralità specchiata. Adesso, il timore per la famiglia Bruni è che i ricchi e potenti Viola possano corrompere dei testimoni e falsare le carte del processo. Scrive la madre di Antonio: Signor Procuratore, suo padre che può spendere danari cerca di pagare delle testimoni onde constatare che il figlio è innocente, facendone pagare il fio della colpa ad un altro povero disgraziato. Per questo io ne prevengo le autorità dirigenti per vegliare a tutti gli atti.

Per questo motivo vengono ordinate nuove indagini e un confronto tra Agliuzzo e don Ignazio, ma i risultati tardano ad arrivare, siamo ormai ai primi di marzo 1891, e il Procuratore del re ne chiede conto al Pretore di Amantea, sospettato di voler favorire Ignazio Viola. Ma il Pretore ha delle scuse per giustificare i ritardi:

Non si potè fare il confronto richiesto perché l’imputato trovasi a Cosenza. Si avverte pure che, per quanto riflette questa Pretura e quella di Aiello, il processo era completato fin dal 14 febbraio, se non che la bufera della notte 14-15 detto mese, producendo guasti gravissimi a questo ufficio di pretura, ha disperso, fra altri incartamenti, quasi tutti gli atti ultimamente completati qui e ad Aiello e poiché nel 15 sudetto quanto si potè trovare sparso negli uffici e fuori, si dovette raccogliere alla rinfusa. Solo dopo alquanti giorni fu possibile ripigliare l’istruzione di questo processo rifacendo gli atti smarriti.

Per fare il famoso confronto ci vorrà il 7 aprile e l’esito è praticamente nullo perché i due, Agliuzzo e Viola, non si spostano dalle proprie posizioni, rinfacciandosi accuse e responsabilità.

Qualche nuovo spunto investigativo potrebbe venire da una lettera anonima arrivata sul tavolo del Giudice Istruttore proprio mentre sta assistendo al confronto:

Relativamente all’omicidio che D. Ignazio Viola commise in persona del povero Antonio Bruni, partecipo a V.S. che giacché oggi deve presentarsi una testimone la quale appositamente costà è stata chiamata per appurare la verità, la stessa teste è stata subbornata dal Sig. Vincenzo Viola, padre del reo, e da Filippo Carino, cognato del reo, che costà son venuti appositamente e da ier sera l’ànno tenuta in tormento per poterla persuadere a modo loro.

V.S. sia sicuro che l’esposto è sincera verità ed usando mezzi di rigore potrà ricavare la verità e giudicare sulla veridicità di quanto è esposto.

Umile servo

Può darsi che la lettera si riferisca a un imprecisato giorno precedente al 7 aprile, fatto sta che né prima, né dopo vengono interrogate testimoni, ma l’anonimo è senza dubbio una conferma ai timori della famiglia Bruni.

Agli inquirenti appare ormai chiaro che Bruno Fata Agliuzzi con l’omicidio non c’entri niente e, d’altra parte, ritengono che le prove a carico di don Ignazio Viola siano sufficienti per poterne richiedere il rinvio a giudizio con l’accusa di omicidio volontario e inoltrano gli atti alla Sezione d’Accusa che il 26 giugno 1891 accoglie la richiesta. A gravare su don Ignazio sono l’accusa fatta nei suoi confronti da Antonio in punto di morte, la latitanza e il maldestro tentativo di scaricare la responsabilità dell’omicidio su Bruno Fata Agliuzzi. Che ci sia stata la volontà di uccidere lo dimostrano le gravissime lesioni riportate da Antonio Bruni in parti vitali e che furono causa unica della sua morte.

Il 29 luglio 1891 la Corte d’Assise di Cosenza ritiene Ignazio Viola colpevole di omicidio volontario e, concessa l’attenuante della provocazione lieve (il furto di 6 litri di olio) e delle attenuanti generiche, lo condanna a 10 anni di reclusione, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e al risarcimento dei danni alle parti lese.

Il 30 novembre 1891 la Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell’imputato.[1]


[1] ASCS, Processi Penali.

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