LA SCOMPARSA DI CATERINA MIRABELLI

È il 18 aprile 1947 quando il cinquantatreenne Giuseppe De Cicco si presenta alla stazione dei Carabinieri di Cassano Ionio:

– Marescià, ieri mia moglie si è allontanata da casa per andare a Napoli ed espatriare clandestinamente in America. Aveva sicuramente sedicimila lire più altri soldi suoi…

– Come si chiama vostra moglie?

– Caterina Mirabelli di anni quarantanove…

– E quindi? La volete denunciare per abbandono del tetto coniugale o per espatrio clandestino, cosa che non è affatto certa? – gli fa il Maresciallo Maggiore Pantaleo Nicoletti.

– No… mi sono indotto a tanto per evitare qualche delitto siccome tra noi non corrono buoni rapporti

– Scusate, ma proprio non capisco… – il Maresciallo vuole cavargli di bocca qualche altra informazione, sospettando che si tratti di una falsa denuncia per coprire qualcosa di veramente brutto.

– Volevo dire che qualcuno, sapendo la somma che aveva con sé, potrebbe approfittarne per rapinarla, come minimo… e poi magari la devo pagare io!

Ci può stare, sembra sincero. Il Maresciallo allora informa della questione il Commissariato di P.S. del porto di Napoli e, in attesa di novità, comincia a sondare qualche vicino della coppia e le informazioni che raccoglie non sono rassicuranti perché la popolazione ventila una voce molto vaga sulla uccisione della Mirabelli. Il Maresciallo all’inizio è tentato di pensare trattarsi di una voce infondata che, come tante altre, la popolazione mette in giro, ma poi, ripensandoci, trova alquanto strana la denuncia del marito e decide di indagare circa la veridicità della notizia e sulla persona che l’ha messa in circolazione. Intanto quella che era una voce molto vaga comincia ad aumentare d’intensità e di ora in ora. Sembra che quanto in Cassano si dice, risponda in qualche modo alla realtà, ma il problema è che nessuno si presenta in caserma per fornire notizie più precise e né, tantomeno, arrivano notizie dal marito che lavora tranquillamente nella sua proprietà in contrada Cimitero.

Sono passati 8 giorni, è il mattino del 26 aprile quando il Maresciallo, assalito da mille dubbi e avuta notizia che Giuseppe De Cicco ha un’amante, Maria Gazzaneo, con la quale convive, decide di dare una svolta alla faccenda e li arresta tutti e due. Interrogato sommariamente, De Cicco precisa che sua moglie partì la sera del 17 con la littorina delle ore 17 che muore a Rotonda, dove doveva prelevarla il suo compare Biase Gazzaneo, accompagnandola in casa sua in Castelluccio Inferiore e da dove, la mattina successiva, dovevano partire entrambi per Napoli ed imbarcarsi clandestinamente per l’America a mezzo delle aderenza che Gazzaneo vantava a Napoli e che nulla ha sentito circa l’uccisione di sua moglie.

Il Maresciallo non ci pensa due volte. Con le informazioni sul percorso che Caterina avrebbe dovuto fare per arrivare a Napoli, requisisce un’automobile e va alla stazione ferroviaria di Rotonda per accertarsi se la donna era arrivata a quello scalo.

– Ricordate se la sera del 17 una donna sulla cinquantina con indosso un soprabito nero e con una piccola valigia e con una borsetta è scesa qui dalla littorina proveniente da Cassano?

– No… mi dispiace, non ricordo… ma credo proprio di no perché il treno muore qui ed arriva quasi sempre vuoto… una donna sconosciuta l’avrei di certo notata. Però… però posso telefonare alle altre stazioni della linea per sapere se l’hanno vista…

– Perfetto! Grazie!

Dalle telefonate arriva solo la conferma che l’unico biglietto per Rotonda staccato nel pomeriggio del 17 aprile è stato emesso a Cassano. Caterina di sicuro è partita, ma dove è scesa? Il Maresciallo e il capostazione hanno un’idea: se nessuno ha visto la donna scendere dalla littorina, perché non chiedere al personale viaggiante? Per un fortunato caso, il capotreno in servizio il 17 aprile è lo stesso in servizio sul treno che sta per arrivare, quindi il mistero potrebbe essere svelato. Niente da fare, il capotreno non ricorda e il Maresciallo, sconfortato, va a Castelluccio Inferiore per chiedere informazioni ai suoi colleghi. Sono ormai le 22,00 e l’unico modo per cercare di sapere qualcosa è andare a prendere Biase Gazzaneo e portarlo in caserma con un pretesto.

– Vi dichiaro in arresto per l’omicidio di Mirabelli Caterina avvenuto la sera del 17 aprile 1947! – bluffa il Maresciallo Nicoletti, contestandogli il reato, immediatamente e improvvisamente, senza dargli il tempo di riflettere.

– Quale omicidio? Io sono innocente! Non ho visto affatto la mia comare Caterina la sera del 17!

– L’avete vista, avevate appuntamento alla stazione di Rotonda per accompagnarla a Napoli il giorno seguente.

– Non è vero! Non avevamo appuntamento! – intanto Gazzaneo assume l’aspetto dell’omicida chiudendosi nel mutismo e dando la sensazione precisa che il fatto poteva essere vero.

– Brigadiere Maffei, prendete uno specchio! – la richiesta è strana, ma il militare obbedisce senza fiatare, poi il Maresciallo mette lo specchio davanti al viso di Gazzaneo per fargli notare il sudore che gli sta imperlando la fronte, nonostante il fresco dei locali. A vedersi con la fronte sudata, Gazzaneo sbianca e improvvisamente viene immerso in un bagno di sudore freddo da capo a piedi, gocciolando in tutta la persona, come il mese di luglio sotto una pesante fatica ed il cuore gli palpita fortemente. Nonostante ciò l’uomo non apre bocca, se non per cantilenare che non c’entra nulla con quella storia, ma i Carabinieri si convincono che sa molto sulla scomparsa di Caterina Mirabelli e che probabilmente, da solo o con altri, le ha fatto qualcosa di brutto, così lo rinchiudono in camera di sicurezza. Il Brigadiere Maffei, comandante della stazione di Castelluccio Inferiore, non ha difficoltà a trovare testimoni che possono aver notato qualcosa di insolito intorno al 17 aprile e, infatti, qualcuno gli dice di aver visto, la mattina del 18, partire insieme a Gazzaneo tali Severino Verbicaro e Carmine De Luca alla volta di Cassano per ritirare una vitella e due capre, riaccompagnandole a Castelluccio. La mattina successiva li fermano e con Biase Gazzaneo tornano a Cassano dove risulta subito chiaro che i due pastori sono completamente ignari di tutto e vengono rilasciati. Ma in seguito al fermo di Gazzaneo a Cassano la voce dell’uccisione di Caterina dilaga e nessuno è in grado di fermarla e quindi non vi è più dubbio che l’omicidio deve essere avvenuto. Resta solo un piccolo particolare: se c’è un omicidio deve esserci un cadavere, ma qui non c’è nessun cadavere.

Il Maresciallo interroga il fratello di Giuseppe De Cicco, Antonio, e i sospetti sulla sorte di Caterina e di chi l’ha fatta sparire aumentano, fino a diventare quasi certezze.

– La mattina dell’11 aprile vidi giungere al fondo di mio fratello Giuseppe, dove stavo lavorando, Biase Gazzaneo, il fratello di Maria… l’amante di mio fratello. Gazzaneo salutò mio fratello e mia cognata Caterina, trattenendosi a parlare con loro. Anche la mattina dopo era nel fondo…

– Sapete qualcosa sulla partenza di vostra cognata per l’America?

– Ho sentito mio fratello che chiedeva a Gazzaneo quale somma poteva occorrere per fare espatriare clandestinamente la moglie e quello gli rispose che era sufficiente la somma di centotrentamila lire. Mio fratello gli fece presente che non aveva tale somma e Gazzaneo rispose che l’avrebbe anticipata lui. Era presente anche Maria, la quale invogliava mia cognata a decidersi per la partenza, venendo accompagnata da suo fratello Biase… poi, giorno 13, Gazzaneo, dopo stabilito il giorno e l’ora della partenza, fece ritorno a Castelluccio, accompagnato da mio fratello fino a Castrovillari

– Avete notato qualcosa di strano nel comportamento di vostra cognata?

– Credo di si… giorno 16, mentre lavoravo nel fondo di mio fratello, Caterina si avvicinò e disse che, dovendo partire all’indomani, aveva il presentimento che suo marito e il compare Gazzaneo le potevano fare qualche trucco ma, avendo stabilito tutto, avrebbe ugualmente intrapreso il viaggio. Escluso questo era molto contenta della partenza pur di lasciare il marito a causa della sua amante.

– Altro?

– Si… qualche ora dopo della partenza di Caterina, mio fratello mi disse, davanti a due forestieri che lavorano per lui: “Tengo un tremolio per tutta la vita… ho dato a mia moglie sessantamila lire che mi sono prestato da persone estranee…”. Poco dopo tornò l’amante dalla stazione dove aveva accompagnato Caterina e mi disse: “Quella disgraziata di tua cognata si ha preso centomila lire da tuo fratello”. Poi, la mattina del 18, vidi arrivare al fondo di mio fratello Biase Gazzaneo con due forestieri e gli dissi: “Non sei andato a prelevare mia cognata ieri sera allo scalo di Rotonda?”. Lui mi rispose che non l’aveva vista affatto. Gli chiesi ancora cosa fosse venuto a fare e Gazzaneo mi rispose di essere venuto per ritirare la promessa fattagli da mio fratello, ossia la vacca e le capre, aggiungendo: “La festa è fatta!”. Dopo che Gazzaneo ripartì con gli animali, mio fratello mi disse: “Basta che non vedo mia moglie, voglio rimettere anche la vista!”

La festa è fatta! Cosa può voler dire questa frase, se non che Caterina è stata ammazzata? Bisogna torchiare Biase Gazzaneo, il quale ammette di avere incontrato sua sorella Maria, Giuseppe De Cicco e Caterina Mirabelli nel pomeriggio dell’11 aprile, ma ostinatamente ripete:

– Non è vero che nell’incontro abbiamo stabilito di interessarmi a fare espatriare la comare Mirabelli per l’America. Quanto afferma Antonio De Cicco è falso!

– Confessa, l’hai ammazzata!

– Non è vero, sono innocente!

Ma, oltre ad Antonio De Cicco, adesso spunta un altro testimone che smentisce Gazzaneo. È uno dei due forestieri che lavorano nella proprietà di Giuseppe De Cicco:

– Abito una stanza attigua a quella della Mirabelli – racconta Francesco Lenti, quarantaquattrenne di Grottaglie –. La sera dell’11 aprile, verso le 21,30, la signora mi raccontò che doveva recarsi a Castelluccio da Biase Gazzaneo il giorno 17 nel pomeriggio, per avere preso accordi con lo stesso e col marito e che, da Castelluccio, doveva poi proseguire per Napoli per espatriare clandestinamente per l’America. Il pomeriggio del 17, mentre lavoravo con Antonio De Cicco e Ciro Orlando, la signora, che era insieme a Maria Gazzaneo, ci ha salutati dicendo che dopo tre o quattro giorni ci saremmo rivisti perché andava a Napoli per preparare le pratiche per l’espatrio. Era molto contenta di espatriare perché si sarebbe finalmente liberata del marito col quale non è mai andata d’accordo. Il marito, poco dopo la partenza della signora, venne da noi e ci disse che le aveva dato sessantamila lire e che aveva sentito un tremolio per tutta la vita. Quando tornò Maria Gazzaneo invece disse che la signora, nel darle la moneta per fare il biglietto, aveva tirato fuori tutta la moneta che possedeva e che se qualcuno l’aveva vista, avrebbe potuto appostarla ed ucciderla e aggiunse che aveva avuto dal marito centomila lire.

Perfettamente coincidente con la versione di Antonio De Cicco. Ora a destare molti sospetti è la contraddizione tra la dichiarazione di Giuseppe De Cicco che avrebbe dato alla moglie 60.000 lire e quella di Maria Gazzaneo che dice di aver saputo da Caterina che la somma avuta dal marito ammontava a 100.000 lire.

Interrogato, Giuseppe De Cicco non spiega del tutto questa circostanza, ma affossa definitivamente il suo compare Biase:

Nel febbraio scorso, siccome mia moglie voleva a qualunque costo andarsene in America, ne parlai a compare Biase il quale disse che occorrevano dalle centosettantacinquemila alle duecentomila lire e siccome non avevo che centomila lire, oltre a qualcosa che aveva mia moglie, lui promise di anticipare sessantamila lire, che in seguito mi portò e io gli promisi, nel caso non fossi riuscito a restituirgli la somma, di cedergli una vitella e due capre. Il 17, giusti gli accordi presi con compare Biase, mia moglie partì per Rotonda. La mattina successiva Biase venne a Cassano e io, tutto preoccupato, gli chiesi: “Compare, che è successo?”. Biase mi rispose di stare tranquillo perché mia moglie era partita per Napoli accompagnata da una donna e da un uomo e che era in buone mani e rilevò la vitella e le capre.

– Dove pensate che sia vostra moglie?

– Ho sentito dalla voce pubblica che è stata ammazzata vicino a Castelluccio e il 24 aprile sono andato lì per informarmi da Biase ma non l’ho trovato…

– Certo, l’abbiamo arrestato e lo sapevate perché siete nella stessa camera di sicurezza! De Cicco, non raccontate fesserie! Ma perché non mi avete chiamato per denunziare il sospetto che vi assaliva?

Perché nella camera di sicurezza compare Biase mi ha raccomandato di non parlare e negare tutto come sta facendo lui… “Non parlare altrimenti andiamo in galera entrambi. Uno come autore e l’altro come complice”, ha detto…

– Quindi l’avete ammazzata in accordo…

Giuseppe non risponde, ma comincia a raccontare alcune cose in modo slegato:

Portava una valigetta che conteneva circa due chili di salame, due piccole forme di formaggio, una frittata e un po’ di pane… aveva un soprabito nero, un vestito colorato ed aveva un anello al dito… aveva duecentosessantamila lire… ero in lite con mia moglie… ma non perché convivo in casa con Maria, no, perché mi assentavo da casa… solo per questo… io glielo dissi a mio fratello che se le capitava qualche disgrazia io non ne avevo colpa… e compare Biase l’aspettava a Rotonda

 Il Maresciallo Nicoletti capisce che è lui l’anello debole su cui fare leva e azzarda, posandogli amichevolmente una mano sulla spalla:

– Giuseppe, cerca di convincere Biase a confessare dicendogli che l’omicidio te lo accolli solo tu, ma per fare questo ti deve raccontare tutti i particolari dell’omicidio e dove ha seppellito il cadavere e gli oggetti, in modo che, confessando il delitto, puoi fornire particolari precisi

 L’uomo, sorprendentemente, accetta subito tra le lacrime, poi Giuseppe, a mezzogiorno del 28 aprile 1947, chiede di parlare col Maresciallo e gli racconta:

– Mi ha detto che, partendo dalla stazione di Rotonda, hanno percorso la rotabile e poi basta… ha aggiunto che è meglio che il cadavere non si trovi così abbiamo una pena minore, caso contrario la pena è maggiore

Perlamadonna! E tu che hai fatto? Glielo hai detto che l’omicidio te lo accolli solo tu?

– Si, ho insistito facendogli presente che l’omicidio non potevo accollarmelo da solo se non conoscevo tutti i minuti particolari in modo da esporre minutamente i fatti… lui ci ha pensato e poi ha detto: “Non posso parlare perché i Carabinieri sono nascosti e sentono tutto quello che diciamo”…

– Uhm… è furbo, però un bagliore di luce sul mistero si è profilato… – osserva il Maresciallo, che dà altre istruzioni a De Cicco, insieme ad una sigaretta, la vaga promessa della sua liberazione, un incoraggiamento e una promessa ancora.

De Cicco, ringalluzzito, torna in cella e dice a Gazzaneo:

– Non mi crede… ha detto che non crederà che ho fatto tutto da solo fino a quando non gli paleserò tutti i particolari, la sepoltura, il posto della somma e degli oggettiviceversa accuserà te

Biase Gazzaneo tace pensieroso. Si fa due conti e si convince che con la confessione piena del compare Peppino si sarebbe scagionato del delitto, lentamente, sotto voce e con molta circospezione comincia a narrare:

Tu, chiamato nuovamente dal Maresciallo, gli dirai che il cadavere si trova in una galleria di lignite abbandonata, situata oltre un chilometro dalla rotabile di Castelluccio Inferiore, sita nel fiume Canna di Lauro, verso la stazione di Rotonda; nell’entrare nella galleria si trova prima un po’ terra franata e delle fascine di legna, più avanti altra legna spezzettata, dopo si gira a destra, dopo si gira nell’altra galleria di sinistra ed in fondo a questa è seppellito il cadavere

Dopo qualche ora, De Cicco viene prelevato dalla camera di sicurezza, facendo credere a Gazzaneo che doveva essere di nuovo interrogato e così De Cicco racconta tutto al Maresciallo. Ecco, adesso il Maresciallo è pronto per la resa dei conti con Biase Gazzaneo e ottiene da De Cicco la promessa che ripeterà in faccia al compare quanto gli ha raccontato. Gazzaneo viene portato nell’ufficio del Maresciallo e De Cicco ripete tutto per filo e per segno. L’assassino sbianca in viso e tace. È la sua implicita ammissione di colpevolezza.

Il Maresciallo non perde tempo, requisisce un’automobile e con lui salgono due Carabinieri con in mezzo Gazzaneo ammanettato. Quando arrivano sul posto, qualche chilometro oltre la stazione di Rotonda, verso Castelluccio, l’assassino indica il sentiero da percorrere che si snoda lungo il corso d’acqua, con suolo accidentato, seminato di cespugli ed alberi di quercia. Ogni buco, ogni cespuglio sembra una sepoltura. Proseguono per oltre un chilometro verso Castelluccio, visitando tutto quanto incontrato nel posto deserto e desolato. Ad un certo punto comincia a balenare l’idea che Gazzaneo abbia giocato De Cicco e i Carabinieri, quando il Maresciallo scorge alla sua sinistra, sulla facciata perpendicolare della montagna, in un agglomerato di cespugli, una buca piuttosto grande e vanno ad ispezionarla. Saliti davanti la buca, notano le fascine di legna. Il posto deve essere proprio quello, ma ormai è quasi buio. Che fare? Tornare indietro per quel terreno accidentato o entrare per ispezionare la galleria con l’ausilio delle lampadine elettriche e di qualche candela? Non c’è esitazione: Nicoletti entra per primo, seguito da Gazzaneo con i ferri ai polsi e dagli altri due Carabinieri. Percorrono pochi metri nella galleria, posto impressionante per sé stesso, sia per la immensità e la solitudine della stessa, sia per l’oscurità. Percorrono un altro tratto, guardinghi sempre per qualche agguato, a circa 10 metri girano nella galleria di destra, più impressionante della prima perché si rendono conto che le lampadine tascabili non sono sufficienti a illuminare l’antro, quindi girano a sinistra, arrivando fino in fondo. Smuovono tutto il terreno soffice con le mani e con i piedi, allo scopo di rinvenire il cadavere. Poi notano che di fianco a loro c’è un’altra galleria, ancora più impressionante delle altre e fortunatamente si accorgono subito, nonostante la non sufficiente luce, di una pozzanghera piena di acqua di una certa profondità e si fermano. Rovistano e scavano come il cane in cerca della selvaggina: nessuna puzza, nessuna traccia. Tornano indietro ispezionando e scavando nelle altre gallerie. Niente. Allora tornano alla pozzanghera, sperando di notare il minimo cambio di espressione sul viso di Gazzaneo, rimasto sempre impassibile e muto. Poi, quando i due Carabinieri smuovono una enorme zolla di argilla, di oltre 70 chili, sulla parete sinistra della galleria quasi unita alla pozzanghera, ecco apparire il cadavere della povera Caterina Mirabelli, poggiato sul fianco sinistro, le mani sulla testa che sta in giù, gli occhi fuori dalle orbite. Appena la zolla cade nella pozzanghera, la mano destra cade immediatamente al di sopra della testa. Ha addosso il soprabito nero e l’abito colorato. Tolgono altre zolle dalle estremità inferiori del corpo e notano che Caterina Mirabelli è stata denudata delle scarpe e delle calze. “Ci rabbrividirono le carni pensando all’orrendo delitto ed al modo barbaro e raccapricciante cui si presentava il cadavere”, racconterà in seguito il Maresciallo Nicoletti.

Biase Gazzaneo, a questo punto, dice:

Disgraziato, come l’ha uccisa e dove l’ha nascosta! – riferendosi al compare De Cicco, nell’estremo ed inutile tentativo di salvarsi, ma il Maresciallo si accorge, nella poca luce, che la fronte dell’assassino gronda di sudore, nonostante il freddo dell’oscura e terrificante galleria.

Continuando a scavare con le mani, i Carabinieri rinvengono la borsetta dell’uccisa nella quale erano state deposte le scarpe, le calze, le reggi calze, un fazzoletto marrone scuro che serviva per la testa, una pezzuola fatta a forma di busta dove era depositato il denaro ed un pezzo di carta grigio chiara ove era stata avvolta la frittata che la defunta aveva portato con sé per il viaggio, ma la valigia non c’è.

il Maresciallo ha fretta di concludere tutto. Date le opportune disposizioni ai suoi uomini e a quelli della stazione di Castelluccio, va a perquisire la casa di Gazzaneo allo scopo di rivenire la somma sottratta all’uccisa, la valigia, il formaggio, il salame, gli anelli e l’eventuale arnese col quale venne uccisa Caterina. In casa c’è una valigetta di cui era in possesso l’uccisa, sporca esternamente di argilla della galleria; in un baule ci sono un drappo nero, addetto a velo da donna, sporco della stessa argilla; una piccola scure è nascosta dietro una cassetta messa in uno stipo.

La valigetta la posseggo da diversi anni e il velo lo metto in testa allorquando esco di casa. Anche la scure è mia… – giura la moglie di Biase e potrebbe anche essere vero, ma l’argilla sul velo è un indizio molto significativo, praticamente la prova che la donna era presente sul luogo del delitto, facendo presumere la sua partecipazione al misfatto e viene posta in stato di fermo.

Il cadavere viene rimosso e portato nei pressi del fiume per procedere all’autopsia. Dopo essere stato lavato, vicino all’orecchio destro si nota un marchio rettangolare delle dimensioni di centimetri 3X4, le stesse dimensioni del dorso della scure sequestrata a casa di Gazzaneo. Sotto il cuoio capelluto ci sono numerose chiazze di tumefazione, causate probabilmente col cozzo della scure. Viene anche accertato che la valigia è davvero di proprietà dei Gazzaneo, ma era stata prestata a Caterina per il viaggio.

Fondati sospetti ci sono anche nei confronti di Maria Gazzaneo che viene arrestata e il primo maggio, un Carabiniere nascosto sotto il tavolaccio della camera di sicurezza dove la donna è rinchiusa con la moglie di suo fratello, sorprende le due cognate che confabulano:

Non so niente del fatto… dico così perché sono stata consigliata da una persona di negare sempre ché, dopo tre o quattro giorni, mi mandano via… nega sempre anche tu

Ma Maria cede e confessa:

L’undici aprile, quando mio fratello venne a Cassano, Giuseppe gli disse che doveva uccidere sua moglie, facendole credere di andare a Napoli per espatriare e mio fratello gli rispose che, per fare ciò, doveva pagarlo. Giuseppe acconsentì promettendogli, quale compenso, una vacca, due capretti e diecimila lire. La sera del 12 Caterina, tutta contenta, mi disse: “Maria, adesso passo certo in America perché s’interessa tuo fratello per farmi partire da Napoli clandestinamente”.

– Va bene, ma ora devi dirci un’altra cosa: chi ha aiutato tuo fratello? È impossibile che ha fatto tutto da solo.

Quando Biase tornò a Cassano il 18 aprile, disse che l’aveva uccisa con due altre persone, mettendo la salma in una grotta di lignite

E questo vuole dire che Giuseppe De Cicco sapeva tutto e quando accettò la proposta del Maresciallo di far parlare Biase Gazzaneo, probabilmente fu lui che giocò il compare e i Carabinieri. Ma ora, con la testimonianza della sua amante, deve rispondere ad altre domande che gli inquirenti vogliono fargli:

– Si, ero stanco di mia moglie perché voleva andarsene in America e perché ho come amante Maria Gazzaneo fin dal 1941. Siamo stati sempre in lite e l’ho maltrattata… non la sopportavo più, volevo togliermela dai piedi e ho dato l’incarico a Biase Gazzaneo mediante il compenso di una vitella e due capre… ho preso accordi col compare fin dal mese di febbraio, stabilendo e concretando il misfatto l’undici aprile… compare Biase mi assicurò che nessuno avrebbe trovato il cadavere e mi disse che al delitto parteciparono cinque persone, delle quali due forestiere, conosciute solo di vista. La moneta che mia moglie aveva l’hanno consumata tutti i partecipanti nel fare un banchetto

– Un banchetto? Con duecentosessantamila lire?

– No, aveva otto o novemila lire… le avevamo fatto credere che gli altri soldi glieli avrebbe dati Biase…

A questo punto bisogna concentrare le indagini nella zona di Castelluccio Inferiore per cercare di individuare gli altri assassini. I sospetti cadono su Pasquale Cersosimo di Laino Borgo, che era stato visto aggirarsi il 17 aprile nei dintorni dello scalo di Rotonda in compagnia di Biase Gazzaneo. Rintracciato, finisce col confessare di avere partecipato al delitto. Viene messo a confronto con Biase e in faccia gli conferma tutti i particolari del delitto. Gazzaneo, vistosi ormai incastrato, confessa e racconta:

Giunti alla mulattiera che conduce a Tempo Coperto, sulla rotabile per Castelluccio, tirai improvvisamente un pugno al viso della comare Caterina, facendola stramazzare per terra. Io e Cersosimo ci mettemmo entrambi a pestarla con i piedi e, prima ancora che morisse, mi disse: “Compare, che cosa fai? Rispetta il San Giovanni…”. Le strappai il fazzoletto che aveva nelle mani e la imbavagliai, finendola. Subito dopo tagliai dal reggipetto con un coltello la borsetta ove era la somma di ottomila lire, intascandole con le dieci lire che si trovavano nella tasca del soprabito. Come il corvo sulla carogna le sfilai gli anelli dalle dita; quello di oro bianco lo consegnai a Cerzosimo e l’altro lo tenni io e lo consegnai a compare Giuseppe il 18 a conferma dell’avvenuto delitto

– E quello che c’era nella valigia?

Parte lo consumammo nella galleria dopo seppellito il cadavere ed il rimanente lo portai a casa e lo consumammo insieme a mia moglie.

– Come avete portato il cadavere fino alla galleria?

– Ce lo siamo caricati sulle spalle a turno…

– Come hai convinto Cersosimo?

– Gli ho promesso dodicimila lire, ma gliene ho date solo seimila e l’anello di oro bianco…

Il cerchio è quasi chiuso, restano da chiarire un paio di aspetti di estrema importanza: primo, il vero movente perché è difficile credere che Giuseppe De Cicco scelse la via del delitto per liberarsi della moglie, quando gli sarebbe bastato assecondarne il desiderio di andarsene in America, senza rischiare l’ergastolo; secondo, il ruolo avuto nel delitto da Maria Gazzaneo. Dalle indagini risulta chiaro che Maria ha spinto il suo amante a dare l’incarico a Biase di sopprimere Caterina in modo da poter convivere liberamente con Giuseppe, facendola da padrona. Nello stesso tempo, Maria ha istigato suo fratello Biase ad accettare il mandato ad uccidere.

Per quanto riguarda il movente, il Maresciallo Nicoletti scopre un mondo nascosto: circa 14 anni prima, Giuseppe De Cicco, emigrato in America si rese responsabile dell’omicidio del compaesano Giuseppe Livoti e i fratelli di sua moglie si interessarono per farlo rimpatriare, onde evitare che venisse ucciso. Giuseppe, sapendo che tre fratelli di Caterina appartengono in America alla mafia, temeva che, giungendo la moglie in America, raccontasse a costoro le sofferenze passate ed i maltrattamenti subiti in tanti anni da lui e qualcuno dei cognati potesse venire in Italia per ucciderlo.

Parte un procedimento penale anche per l’omicidio Livoti, ucciso il primo aprile 1934 nei pressi di New York, ma dopo 4 anni di indagini Giuseppe De Cicco, il 26 ottobre 1951, viene prosciolto dal Giudice Istruttore del Tribunale di Castrovillari per non aver commesso il fatto.

Giuseppe De Cicco, interrogato durante questa seconda istruttoria, nega di aver mai saputo se i fratelli di Caterina appartenessero o meno alla mafia.

Di questa storia al momento non conosciamo l’epilogo perché l’istruttoria fu espletata dal Tribunale di Potenza, competente per territorio. L’unica notizia certa, appresa attraverso un documento ufficiale della Procura della Repubblica di Potenza, allegato agli atti dell’istruttoria sull’omicidio Livoti, è che il 24 agosto 1949 è in fase di redazione la requisitoria per la richiesta di rinvio a giudizio degli imputati dell’omicidio di Caterina Mirabelli.[1]


[1] ASCS, Processi definiti in istruttoria.

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