La mattina dell’11 settembre 1907 Annunziata La Greca, cinquantunenne contadina di Santa Domenica Talao, sta prendendo l’acqua alla fontana di contrada Sant’Andrea. È sola. All’improvviso un uomo l’afferra per le braccia e la stringe a sé.
– Ti voglio… mò! – Annunziata, che lo ha riconosciuto, lancia un urlo, poi gli dice:
– Lasciami, non ti voglio più!
– Non gridare, vieni con me…
– No! È finita, te lo sto dicendo dal mese di giugno… lasciami!
L’uomo, il ventisettenne Francesco Saverio Bloise, col quale ha avuto una relazione di quasi tre anni, non si dà per vinto e comincia a malmenare Annunziata e le dà anche diverse pizzicate alle braccia. E non è la prima volta da quando lei lo ha lasciato che Ciccio Bloise la aggredisce. Per esempio, il 5 giugno ad ora inoltrata, nonostante glielo avesse in giornata vietato, bussò alla porta di Annunziata ma non avendogli aperto, dapprima cercò atterrare la porta e non essendogli riuscito cominciò a tirare sassi contro le finestre.
Ritorniamo all’11 settembre 1907. adesso sono circa le 14,00 e Annunziata sta lavorando nell’aia di Saverio Di Vanna per accomodare i fichi sul cosidetto spanditoio onde farli seccare. Dietro di lei si allunga un’ombra. Si gira e si trova davanti Ciccio Bloise.
– Andiamo nella baracca – le intima.
– No! – Allora Ciccio l’afferra per un braccio e la trascina e viva forza verso la costruzione. Annunziata resiste e, per cercare di dissuaderlo gli dice – c’è mio figlio che sta dormendo…
Ciccio è ormai fuori di sé, usando delle sue forze la getta a terra, quindi alzatele le sottane e postole un ginocchio tra le gambe si sbottona i pantaloni e trattone il membro cercava a viva forza congiungersi secolei carnalmente. Annunziata, temendo di svegliare il suo bambino e farlo assistere a ciò che sta per accadere, non grida per chiedere aiuto ma cerca in tutti i modi di sfuggire alla morsa delle robuste braccia di Ciccio. La lotta è furibonda e i due sono in una nuvola di polvere che quasi li nasconde alla vista di chi potrebbe trovarsi nei paraggi. Poi Annunziata riesce a tirargli in faccia un pugno di terra. Ciccio è accecato e molla la presa per strofinarsi gli occhi, mentre Annunziata scappa a nascondersi. Ciccio sbuffa come un toro e bestemmia maledicendo sé stesso per essersi fatto sfuggire la preda. È da solo nell’aia, i pantaloni calati e il suo sesso bene in vista. Si guarda intorno e non la vede, si rialza i pantaloni e si allontana.
Dopo un po’, sbirciando dal suo nascondiglio, Annunziata non lo vede più e torna, col cuore che ancora le scoppia in petto per la paura, al suo lavoro. Ma si sbaglia, Ciccio le è di nuovo addosso e, senza proferire parola, le dà un potente calcio nella pancia da farle perdere il respiro e piegarla in due dal dolore. Adesso Ciccio potrebbe fare di lei quel che vuole, invece sputa per terra in segno di disprezzo e se ne va.
Solo ora Annunziata cerca di gridare al soccorso. Il bambino si sveglia ed esce sull’aia vedendola contorcersi a terra per il dolore. Accorre anche Maria Giuseppa Ferrante che si trovava in una casetta lì vicino e, prima che sparisca dietro una curva della strada, vede allontanarsi Ciccio Bloise che tiene per le redini il suo asino, verso il fiume Lao.
– M’ha ammazzato! Ciccio Bloise m’ha ammazzato! – urla Annunziata premendosi le mani sul ventre
Sorretta dalla donna, Annunziata torna a casa e si mette a letto. Qualcuno va a chiamare un medico perché i dolori addominali si fanno sempre più acuti. Il dottor Giovan Battista Bellusci è preoccupato per l’enfiato nella regione addominale (meso gastrico sinistro) e per i continui conati di vomito; pensa che ci possano essere problemi agli organi interni e dice che la prognosi è di circa quindici giorni, salvo che si presentassero in seguito fatti infiammatori interni più gravi. Poi avvisa il Sindaco che si precipita a casa di Annunziata, si fa raccontare per bene l’accaduto, si fa confermare da Maria Giuseppa Ferrante di aver visto Ciccio Bloise allontanarsi dal luogo dell’accaduto e decide che è giusto avvisare i Carabinieri di Scalea.
I dolori non accennano a diminuire e la mattina dopo il dottor Bellusci deve constatare che le condizioni di Annunziata si sono aggravate: la febbre a circa 38 gradi centigradi, lo stato generale ed il sensorio molto abbattuto, polso debole e quasi filiforme, accentuata la respirazione non corrispondente alla temperatura; algidità degli estremi. È cessato il vomito, si ha sete intensa con mancanza assoluta di appetito. Adesso è in pericolo di vita.
Il medico ha visto giusto. Dopo qualche ora Annunziata muore.
I Carabinieri cercano Ciccio Bloise dappertutto ma non lo trovano, sembra svanito nel nulla. Intanto l’autopsia ordinata dal Pretore di Scalea accerta che la causa, esclusiva, della morte è dovuta solamente alla peritonite traumatica riscontrata con localizzazione speciale nella regione mesogastrica sinistra con diffusione poi a tutto il peritoneo sia parietale che viscerale e specie delle due regioni mesogastrica ed ipogastrica.
Tentata violenza carnale e omicidio preterintenzionale.
Il problema è che nessuna ricerca di Ciccio va a buon fine e le notizie che, faticosamente, i Carabinieri raccolgono non sono confortanti. Infatti il 5 ottobre 1907 hanno la conferma che l’assassino potrebbe farla franca perché sequestrano un biglietto spedito alla famiglia da Nizza e sicuramente si sarà imbarcato per l’America a Marsiglia.
È del tutto evidente che qualcuno gli ha dato i soldi per il viaggio e qualche sub-agente di emigrazione gli ha procurato un biglietto a nome di chissà chi. Forse è passato da Napoli dove, proprio in questo periodo, un’altra indagine ha scoperto un paio di organizzazioni dedite all’emigrazione clandestina o forse è transitato per Ginevra dove sicuramente è attiva un’altra centrale per l’espatrio clandestino. Ma nessuno indaga in questa direzione per cercare di saperne di più.
Per la Procura del re non ci sono dubbi: oltre ai racconti di Annunziata e di Maria Giuseppa, la prova migliore della colpevolezza di Ciccio Bloise è la sua latitanza, essendo egli riuscito in tempo a riparare all’estero. Gli inquirenti sostengono anche che non è il caso di discutere che trattasi di due reati diversi – la tentata violenza carnale e l’omicidio preterintenzionale – commessi in tempi diversi e con diverse determinazioni criminose. Ma, essendo il reato più grave di competenza della Corte d’Assise, per connessione, i due procedimenti dovranno essere giudicati insieme.
La Sezione d’Accusa concorda con questa impostazione e, l’11 marzo 1908, rinvia l’imputato, al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.
Il dibattimento, dichiarato l’imputato contumace, si svolge in pochi minuti e la Corte dichiara Francesco Saverio Bloise responsabile dei reati addebitatigli e lo condanna a 20 anni e 6 mesi di reclusione, più pene accessorie, con l’aggravante di non aver potuto conseguire l’intento propostosi con altro reato commesso immediatamente prima. È il 15 giugno 1908.
Ma Ciccio Bloise non sconterà nemmeno un giorno di galera perché è al sicuro nelle Americhe.
Di lui la giustizia si ricorderà solo il 29 settembre 1925, diciotto anni dopo l’omicidio, quando la Corte d’Appello delle Calabrie scrive:
Visto il Certificato del casellario di Bloise Francesco Saverio.
Poiché dalle date delle notificazioni della sentenza, 21 e 23 giugno 1908, fin oggi sono decorsi oltre i 15 anni e non risulta essere intervenuti atti interruttivi dalla pronunzia della sentenza di condanna, onde l’azione penale è prescritta. Uniformemente alle richieste del Pubblico Ministero dichiara prescritta l’azione penale nei riguardi di Bloise Francesco Saverio pei reati di omicidio preterintenzionale qualificato e tentata violenza carnale e revoca l’ordine di arresto ed i mandati di cattura relativi.[1]
Annunziata La Greca è morta per resistere alla violenza di quello che non voleva più che fosse il suo uomo, vigliaccamente emigrato da clandestino per sfuggire alla legge.
Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta
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[1] ASCS, Processi Penali.
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