Il 24 maggio 1899 il Pretore di Amantea, il Brigadiere Giorgio Giovinazzo e quattro testimoni salgono dalla strada che attraversa la contrada Aria di Lupi, in territorio di Lago, e arrivano al piano ch’è nominato Contrada Ferale. Al principio di questa contrada si trova un campo semenzato a lupini, il quale è di tre proprietari, cioè di Angelo Barone, di Pasquale Perri e di Giuseppe Perri. Al principio di queste proprietà e sulla sinistra che dà sul Vallone Ferale, trovasi una capanna che dinanzi a sé tiene uno spianato e sulla sinistra un’aja per la trebbiatura del grano. A meglio specificare la situazione dei fondi, si nota che il fondo del Barone è quello dietro la capanna e costeggia il vallone, nel mentre quello dei Perri trovasi sulla destra dell’aia. Nel mezzo dello spianato, attiguo alla capanna ed alla distanza di cinque passi dalla stessa, giace il cadavere di un uomo coi baffi, calvo e senza cappello, vestito alla foggia dei contadini di Lago, cioè coi pantaloni corti e coi calzari di pelle di capra, dell’età apparente di quarant’anni; dallo sparato della camicia aperta vedesi un buco circolare in mezzo al petto, ancor rosseggiante di sangue. Facendo dal cadavere un passo verso sopra, mantenendosi a sinistra, trovasi la giacca del morto e più sopra, ancora sulla sinistra della capanna, trovasi il cappello e la scure dell’ucciso. Dietro la capanna e nel campo dei lupini, in mezzo agli stessi, si osservano le orme dei passi di più persone dirette verso il capo superiore del fondo e si osserva altresì in diversi punti, i piedi dei lupini strozzati o flessi, segno che ivi degli animali vi sono stati al pascolo.
– Lo conoscevate? – chiede il Pretore ai quattro testimoni
– È Vincenzo Runco – rispondono.
Questo è il riconoscimento ufficiale del cadavere, ma la notizia che c’era stato un omicidio l’aveva già data Gabriele Runco, fratello del morto, la sera prima al Brigadiere Giovinazzo.
– Avete dei sospetti su qualcuno? – gli aveva chiesto il Brigadiere.
– Si… credo che siano stati Angelo Barone, Pasquale Perri e Giuseppe Perri, i proprietari dei terreni sui quali è stato ammazzato mio fratello.
– E perché lo avrebbero ucciso?
– Forse perché hanno trovato dei buoi che pascolavano nei lupini…
Le prime indagini portano a confermare l’accusa di Gabriele Runco contro i tre proprietari e Giovinazzo ricostruisce sommariamente come potrebbero essere andate le cose: verso le 20,00 del 23 maggio, Barone, Pasquale Perri e Giuseppe Perri, soldato del 51° Fanteria di stanza a Civitavecchia e qui in piccola licenza, ma vestito alla borghese, dopo avere cenato nelle proprie abitazioni di Aria di Lupi, il primo armatosi illegalmente di fucile a due canne e gli altri di grosso bastone, vanno in contrada Ferule per invigilare il raccolto. Arrivati sul posto vedono dei buoi che pascolano indebitamente nei lupini. Decidono di nascondersi dietro un rialzo di terreno alto metri 1,40 circa, in attesa del proprietario degli animali. Non devono aspettare molto, verso le 21,00 arriva nel campo Vincenzo Runco al quale, arrivato a circa 4 metri dal terrapieno, Barone chiede dove sta andando e, alla risposta che sta andando a ritirare i buoi, gl’ingiunse di ritornarsene, ma vistosi inascoltato gli spianò il fucile esplodendogli contro un colpo carico a palla che lo rese, dopo pochi istanti, cadavere.
Poi si viene a sapere che ci sono dei testimoni oculari i quali, nonostante la scarsa illuminazione data dal primo quarto di luna, hanno potuto almeno ricostruire la dinamica dei fatti. Questi testimoni sono Angelo Runco, il figlio del morto, Matteo Naccarato e Luigi Gatto, ambo bovari da Serra d’Aiello, che avevano la responsabilità dei buoi.
– Ieri fui a lavorare coi miei bovi in un fondo di Vincenzo Runco – racconta Luigi Gatto –. Venuto l’imbrunire sparecchiai i bovi e ci avviammo verso la casa di Runco per mangiare, ma passando vicino la baracca vi rimanemmo i bovi. Come finimmo di desinare ritornammo per prendere i bovi e per via incontrammo due persone armate di bastone, persone che io non conosco perché non sono naturale del luogo. Giunti, vedemmo che i bovi erano in altra proprietà e poco discosto vi erano due persone a discorrere; io, temendo di compromettermi con quelli, mi misi un cento metri discosto, sotto un piede di ciliegio per vedere cosa stesse per succedere. Scorso un poco di tempo sopravvenne Vincenzo Runco il quale si avviò verso la capanna. Sentimmo da lungi un dialogo piuttosto animato con gl’individui che erano appostati nei lupini circostanti…
– Ma erano due o tre? – lo interrompe il Brigadiere.
– Era notte… non so precisare se erano due o più, ma a me parve di distinguerne due solamente.
– Vai avanti.
– Il vociare fu relativamente breve, immediatamente sentimmo un colpo e dopo la voce di Vincenzo Runco che diceva: “Madonna del Carmine… Angelo… Angelo mi ha ammazzato!”. I due, come videro cadere Runco, si allontanarono nel sottostante burrone ma, nel salire l’erta, essendosi accorti di noi cambiarono strada, venendo verso di noi. Questo fatto c’incusse timore e perciò ci demmo a fuggire unitamente al figlio della vittima, passando la notte in un casolare disabitato…
Matteo Naccarato conferma parola per parola e Angelo Runco precisa meglio:
– Io, mio padre e due lavoratori di Serra d’Aiello abbiamo lavorato l’intera giornata nella proprietà di Pasquale Perri perché mio padre n’era il colono. Come abbiamo finito di lavorare abbiamo abbandonato i bovi dentro i lupini di Perri e ciò perché bisogna assolutamente attraversare questa proprietà prima di trovare il nostro fondo ch’è dopo la proprietà di Angelo Barone. Andammo a mangiare a casa nostra e poi tornammo indietro per pigliare i bovi, dato che ce li avessero restituiti Pasquale e Giuseppe Perri che avevamo incontrato diretti al fondo mentre andavamo a casa. Come giungemmo al fondo vedemmo i bovi nell’aia e dietro la capanna vi era un gruppo che per la notte non riuscii a distinguere s’era composto di due o di tre. vedendo ciò e credendo che quei tali avessero voluto farci del male, invece di prendere i bovi ci andammo a mettere sulla parte superiore ov’erano i lupini. Poco dopo sopraggiunse mio padre e si mise a salire l’erta che mena alla capanna; ivi giunto sentii un vociare tra mio padre e quel gruppo di persone ch’era composto da Pasquale Perri e Angelo Barone e forse di un terzo. Dopo questo vociare io vidi Angelo Barone prendere di mira mio padre col fucile di cui era armato e gli lasciò andare un colpo, per effetto del quale mio padre gridò: “Madonna del Carmine, Angelo mi ha ammazzato!”. Fatti pochi passi cadde. Quando mio padre si lamentava e gridava: “Angelo! Angelo!”, il Barone diceva: “Forse vuoi un altro colpo? Non ti avevo detto di non andare a pascolare nei miei lupini?”. Io volevo accorrere in suo aiuto, ma quei due di Serra mi dissuasero… poi siamo scappati…
Sembra abbastanza chiaro che a sparare sia stato Angelo Barone, ma c’erano con lui anche i due Perri e per questo vengono ricercati tutti e tre con l’accusa di omicidio volontario.
I Carabinieri rintracciano Giuseppe Perri e lo interrogano. Si dichiara innocente e dice di non saperne nulla, che il fatto lo sta apprendendo dalla voce del Brigadiere Giovinazzo. Niente da fare. Lo arrestano e lo chiudono nel carcere di Amantea. Angelo Barone non si trova, sembra sparito nel nulla, mentre Pasquale Perri si presenta spontaneamente dal Pretore di Amantea.
– Verso l’imbrunire Angelo Barone venne a casa mia armato di fucile e mi disse: “Andiamo a dare un’occhiata ai lupini”. Io lo seguii con mio figlio e a noi si unì Giuseppe Perri. Arrivati nel fondo trovammo dei buoi che pascolavano nel fondo di Barone il quale si rivolse a mio figlio e a Giuseppe dicendo: “Andatemi a trovare due testimoni per querelare il padrone di questi bovi”. I due si allontanarono mentre io e Barone stavamo a discorrere. Sopraggiunse Vincenzo Runco e Barone, appena lo vide, gli spianò contro il fucile dicendo: “Non ti accostare”, ma Runco si avvicinava, dicendo
a sua volta di doversi andare a voltare i bovi. E così per qualche tempo si continuò, Runco avanzava armato di scure e Barone col fucile ad intimorirlo. Ma giunto il Runco alla distanza di tre o quattro passi, Barone, temendo di essere offeso colla scure, lasciò partire un colpo che colpì Runco in pieno petto. Costui, come si vide ferito, disse: “Madonna del Carmine, Angelo non dovevi ammazzarmi!”. Barone, a sua volta, rispose: “E tu perché non ti sei fermato quando te l’ho intimato col fucile?”. Intanto Runco, fatti pochi passi, cadde e Barone si diede alla fuga. Io rimasi come intontito e mi andai a mettere all’altro capo dei lupini, ove mi trovarono mio figlio, Giuseppe Perri ed i due testimoni Giovanni Barone e Raffaele Coscarella…
a sua volta di doversi andare a voltare i bovi. E così per qualche tempo si continuò, Runco avanzava armato di scure e Barone col fucile ad intimorirlo. Ma giunto il Runco alla distanza di tre o quattro passi, Barone, temendo di essere offeso colla scure, lasciò partire un colpo che colpì Runco in pieno petto. Costui, come si vide ferito, disse: “Madonna del Carmine, Angelo non dovevi ammazzarmi!”. Barone, a sua volta, rispose: “E tu perché non ti sei fermato quando te l’ho intimato col fucile?”. Intanto Runco, fatti pochi passi, cadde e Barone si diede alla fuga. Io rimasi come intontito e mi andai a mettere all’altro capo dei lupini, ove mi trovarono mio figlio, Giuseppe Perri ed i due testimoni Giovanni Barone e Raffaele Coscarella…
– Mentre andavate al fondo avete incontrato qualcuno?
– Abbiamo incontrato il figlio di Runco e due forestieri.
– Dopo lo sparo avete visto qualcuno all’altro capo dei lupini?
– Non ci siamo punto accorti che sull’altro lato dei lupini c’era il figlio di Runco con quei due forestieri… – poi aggiunge – dopo il fatto me ne sono andato tutto tremante a casa mia, tanto che tutta la notte ho avuto la febbre… io mi dichiaro innocente perché non potevo nutrire nessuna intenzione omicida verso il morto col quale sono stato sempre in ottime relazioni…
Anche per Pasquale Perri scattano i ferri ai polsi, ma il suo interrogatorio se non è servito a scagionare sé stesso, può servire a scagionare suo cugino Giuseppe Perri. Così vengono sentiti Giovanni Barone, Raffaele Coscarella e il figlio di Pasquale Perri i quali confermano di essere stati chiamati da Giuseppe Perri per fare da testimoni alla presenza dei buoi nel fondo di Angelo Barone e di essere arrivati sul posto insieme a lui a omicidio già avvenuto e aggiungono di aver trovato Pasquale Perri nel capo superiore del lupini che tremava e piangeva.
Giuseppe Perri ottiene la libertà provvisoria e una lunga serie di testimoni viene ascoltata dal Pretore in merito alla personalità di Pasquale Perri, il quale viene descritto di indole talmente placida e timida da crederlo non solo incapace di partecipare ad un delitto di sangue ma a qualsiasi atto che possa implicare violenza. Ma era accanto a Barone quando questi sparò contro Vincenzo Runco, uccidendolo, quindi resta in carcere.
Il risultato dell’esame autoptico conferma che il colpo di fucile fu esploso con la volontà di uccidere perché Vincenzo Runco è stato colpito da un proiettile nella regione dello scrobicolo del cuore, il quale, attraversata la piccola ala del fegato, la grande curvatura dello stomaco e uscendosene dalla regione lombare, lese l’arteria renale sinistra producendo emorragia interna.
I mesi passano e Angelo Barone è sempre latitante. Nessuno sa che fine abbia fatto, ma è tempo di chiudere l’istruttoria.
Per la Procura del re l’unico responsabile dell’omicidio è Angelo Barone. I Perri devono essere prosciolti in istruttoria per non aver commesso il fatto. La Sezione d’Accusa avalla questa tesi e il 27 luglio 1899 rinvia l’imputato al giudizio della Corte d’Assise di Cosenza.
Dopo poco più di due mesi accade un fatto nuovo: il Vice Brigadiere Salvatore Morisani, che ha sostituito il vecchio comandante della stazione dei Carabinieri di Lago, invia al Pretore di Amantea un verbale di ulteriori indagini sull’omicidio di Vincenzo Runco nel quale sostiene di essere venuto a conoscenza, a mezzo di persone di nostra fiducia, che la mattina del 24 maggio u.s., verso le ore 8, cioè il giorno seguente all’omicidio, il noto Perri Pasquale si recò in contrada Manca (Aria di Lupi) ove si trovava a lavorare il Barone Angelo, oggi latitante perché ritenuto autore dell’omicidio in parola, e dopo avere con lui parlato se ne tornò di nuovo per la stessa via senza dare ascolto a Barone Nicola, Guido Pasquale, Runco Filomena, Barone Vincenzo, Bruno Domenico che, tanto nell’andare che nel tornare, lo chiamavano per chiedergli cosa era avvenuto, essendo a loro noto che la via fatta dal Perri Pasquale per recarsi a conferire col Barone Angelo non era da lui mai stata fatta e quindi dubbitavano qualche cosa di strano, non essendo loro ancora a conoscenza dell’omicidio. Dopo circa un quarto d’ora che avvenne ciò, si presentò a loro il Barone Angelo, raccontando tutto confuso ed in senso di meraviglia: “Non sapete cosa mi succede? Avete visto tutti Perri Pasquale che è venuto dove a me… vuole che io mi assuma la responsabilità dell’omicidio di Runco Vincenzo perché io tengo la gamba buona e posso sfuggire dalla giustizia, invece lui non si fida fuggire. E se io faccio ciò, lui ci pensa per difendermi alla discussione della causa, a darmi da mangiare alla montagna quando io vi sono latitante ed anche pensa alla mia famiglia. E mi diceva pure che aveva dichiarato ai reali carabinieri che io avevo ucciso il Runco”. Nel mentre faceva a loro questo discorso vide che i Carabinieri si recavano alla sua direzione; allora salutò tutti e si diede a gambe per la montagna. Noi suddetti militari ci recammo in contrada Aria di Lupi e, fatte indagini, ci riuscì a trovare i detti individui i quali, alla nostra presenza, ci dichiararono e confermarono pienamente quanto era avvenuto la mattina seguente all’omicidio.
Ma nessuno ci crede e l’istruttoria non viene riaperta; in più, il 6 febbraio 1901 i Carabinieri di Lago inviano l’ennesimo verbale di vane ricerche del latitante e aggiungono che il Barone si trova nelle Americhe ma non si è potuto sapere la di lui dimora precisa.
E forse è proprio questa la causa per la quale il dibattimento viene continuamente rinviato di anno in anno, fino al 25 maggio 1906 quando, in quattro e quattr’otto, la Corte d’Assise di Cosenza condanna, in contumacia, l’imputato a 21 anni di reclusione.
Non è ancora finita. Dalla data della condanna sono ormai passati 20 lunghi anni e Angelo Barone non è stato mai rintracciato, né in Italia e né nelle Americhe, però dalla sua sconosciuta residenza dà incarico ad un avvocato di presentare alla Corte d’Appello di Catanzaro una istanza tesa a chiedere la decadenza della sentenza per sopravvenuta prescrizione.
Il 16 novembre 1926 la Corte d’Appello, esaminata l’istanza, stabilisce che dalla data della notificazione per affissione della cennata sentenza, a’ 30 luglio 1906, fin’oggi è decorso il termine prescrizionale senza alcun atto interruttivo o perpetrazione di altro reato della stessa indole da parte del condannato, giusto il certificato del casellario in atti. Per tali motivi dichiara estinta per prescrizione l’azione penale nei riguardi di Barone Angelo pel reato di omicidio volontario e, in conseguenza, ne revoca il mandato di cattura.[1]
Nelle Americhe si brinda e forse anche ad Aria di Lupi qualcuno brinda.
A casa di Vincenzo Runco invece si piange ancora.
Tutti i diritti riservati. ©Francesco Caravetta
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[1] ASCS, Processi Penali.
N.B. La foto è una gentile concessione di Francesco Mazzotta.
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