Da qualche giorno corre la voce che la ventunenne Giuseppina Mollo ha abortito. La voce pubblica vorrebbe anche che a metterla incinta sia stato un certo Adolfo Pulice, quarantatreenne muratore, che, come è noto a tutti, è l’amante della madre di Giuseppina. La voce arriva anche all’orecchio del Maresciallo Ferdinando Dante, comandante della stazione dei Carabinieri di Cosenza, il quale manda un suo uomo in Via Domenico Bisceglie N° 6 per convocare in caserma madre e figlia e sentire cosa hanno da dire in proposito. È il 20 aprile 1942.
– Incinta io? Aborto? Marescià… mio marito manca da parecchi mesi da casa… lo sapete che è al fronte…
– Io so che eri incinta di due o tre mesi e hai abortito… e so pure che il padre era quel… quell’Adolfo Pulice… l’amico di tua madre…
– Non è vero!
– E voi? – chiede alla madre della ragazza – che mi dite?
– Io non ne so niente… se fosse stata incinta lo avrei saputo… specialmente se fosse stato Fofò…
– Guardate, io sono assolutamente certo delle accuse che vi sto facendo e perciò stanotte dormirete in camera di sicurezza e speriamo che la notte vi porti consiglio… meglio per voi se confessate!
Il Maresciallo Dante è un uomo navigato e sa che una notte sul tavolaccio fa aprire la bocca a chi non è abituato al delitto, così la mattina dopo di buon’ora fa chiamare nel suo ufficio Giuseppina che sembra invecchiata di vent’anni:
– Allora? Hai pensato a quello che ti ho detto ieri?
– Marescià… io… io… – comincia a parlare con le lacrime che le scendono sulle guance – devo confessarvi che un paio di mesi fa ebbi intimi rapporti con Adolfo Pulice, amante di mia mamma. Dalle reiterate congiunzioni carnali avute con costui rimasi incinta. Il fatto mi preoccupò non poco siccome sono sposata con Pasquale Caputo, in atto soldato alla dipendenza del 10° Reggimento Genio Telegrafisti – 5^ Compagnia – di stanza a Capua. Pensai di abortire e fu così che il 19 ultimo scorso decisi di farmi delle strofinazioni dentro l’utero con l’asta di legno simile ad un astuccio di penna che tengo tuttora nella mia abitazione e di cui mi servivo per fare delle calze. Tentai di fare dette strofinazioni per tre volte senza riuscire a farmi spuntare il sangue. La quarta volta sentii un dolore all’utero e poscia vidi cadere un pezzo di sangue che sembrava raggrumato e poscia ebbi una forte emorragia. Mi sono pulita e il mattino dopo fui chiamata da voi…
– Ti ha aiutata o consigliata tua madre? Io lo so… – le chiede con tono paterno per farle confessare anche questo.
– Non è vero! prima di abortire essa ignorava che io ero incinta!
– E Fofò lo sapeva? Ti ha consigliato lui di abortire?
– È vero che io, appena mi sono accorta di essere incinta, ho detto al Pulice quanto mi era accaduto, ma non è vero che egli mi abbia consigliato di abortire. Quello che ho fatto l’ho fatto solo perché temevo di perdere mio marito allorché avesse saputo che io non gli ero rimasta fedele…
– Parlami del sangue raggrumato che ti è uscito…
– Il grumo che mi è uscito dall’utero poteva essere contenuto in una mano e in esso non vi era ancora la forma del bambino…
– Io ti dico la verità – la incalza il Maresciallo – e la verità è che tua madre lo sapeva e ti ha aiutata, non è possibile che tu abbia fatto tutto da sola, confessa! – termina battendo violentemente il pugno sul tavolo e facendo sobbalzare la ragazza, che fa segno di no con la testa mentre piange con singhiozzi convulsi. Giuseppina torna in camera di sicurezza.
Sua madre, dopo aver dichiarato di non saperne niente, sembra diventare muta e non risponde a nessuna domanda. Anche Adolfo Pulice, che abita nello stesso stabile della sua amante, sembra cadere dalle nuvole e nega tutto. Poi qualcuno avvisa il Maresciallo che la suocera di Giuseppina sa molti particolari della faccenda e la manda a chiamare:
– Circa 10 giorni fa ho appreso dal pubblico che mia nuora aveva tradito mio figlio coricandosi con Adolfo Pulice, amante della madre di essa mia nuora, e che era rimasta incinta, sicché cercava di abortire. Saputo questo mi informai meglio da Pulice Giovannina, figlia di Adolfo, ragazza dodicenne, che mi disse di essersi accorta che mia nuora andava a dormire con suo padre quando l’amante era uscita e che in questi ultimi giorni aveva notato che la madre di mia nuora tutte le sere faceva a costei i piedi luvi. Non contenta di avere appreso tanto, per meglio sincerarmi se quanto avevo saputo rispondeva a verità, mi portai in Via Bisceglie e chiesi ai vicini di casa notizie in merito. Seppi che mia nuora si era prestata una fascia ventiera e che il Pulice era stato dal farmacista Vocaturo per sapere come doveva fare per fare abortire la Mollo e che il farmacista gli aveva detto che ci voleva una puntura però non gliela aveva voluto dare. Saputo questo ho allontanato di casa mia la Mollo.
– Dalle carte in archivio risulta che Pulice vi ha sparato…
– Si, è stato il 30 agosto dell’anno scorso perché allora mi ribellai al sospetto che ho avuto che egli aveva contatti carnali con la stessa mia nuora. Allora egli mi sparò e si difese dicendo che io lo calunniavo perché egli aveva cresciuto la predette mia nuora come una figlia e che non era pertanto uomo di fare simile azione. Io non ebbi soldi ed avvocato per difendermi ed egli si trova ora in libertà…
È ormai buio quando Giuseppina viene riportata davanti al Maresciallo per chiarire alcune cose che dimostrerebbero come la madre e il suo amante l’abbiano quantomeno indotta ad abortire:
– È vero che mia madre, a cui confidai la cosa, mi ha fatto un paio di volte i piedi luvi per farmi abortire, ma essa ha fatto tanto per salvarmi. È vero pure che il Pulice, informato da me di quanto mi era accaduto, si è dato da fare per farmi abortire senza riuscirci perché mi ha portato del chinino, me lo ha fatto prendere e io non abortii. Io so di avere perduto mio marito e l’affetto di mia suocera e mi pento di quello che ho fatto, ma – e qui fa esplodere una bomba – sono stata posta in queste condizioni dal Pulice il quale mi ha stuprata quando avevo 18 anni e fino a quando mi sposai. Ora faceva il suo comodo non senza andare contro natura…
Come? Fofò l’ha sodomizzata per anni? Il Maresciallo convoca immediatamente l’uomo e gli chiede conto delle accuse di Giuseppina. Il suo candore è disarmante
– È vero che io ebbi a stuprare Giuseppina, ma qualunque uomo che si fosse trovato nelle mie condizioni non avrebbe fatto diversamente, a meno che non voleva rovinare una ragazza. La Mollo non tralasciava occasioni per venirsi a buttare addosso e strofinarsi con me non appena aveva un momento di libertà e se io ho commesso un male a stuprarla, l’ho fatto perché non volevo rovinarla sverginandola… commesso il fallo pregai la Mollo affinché ci sposassimo, ma ella adducendo la scusa che la propria madre avrebbe perduto il pane in casa mia, non volle sposarmi. Come se ciò non bastasse rovinò la quiete della mia casa provocandomi a ogni piè sospinto, fino a che mi mandò in carcere perché mi spinse a sparare contro sua suocera. Uscito dal carcere la pregai di andarsene, ma essa disse che quando sarebbe tornato il proprio marito gli avrebbe dato le sue cose e lo avrebbe mandato via. Per quanto ho commesso chiedo il perdono della Giustizia giacché sono un povero mutilato della grande guerra, lesionato e rimasto vivo per miracolo…
Anche Rosina Faita, la madre di Giuseppina, deve chiarire le accuse che le ha mosso la figlia:
– Se mia figlia vi ha dichiarato che mi ha confidato che essa era rimasta incinta di Fofò, essa non vi ha detto la verità. Non mi accorsi che mia figlia si era abortita perché non vidi né quando essa si praticò l’aborto, né mi accorsi dell’emorragia di sangue avuta dalla stessa. Ho visto solo quando eravamo in questa caserma che essa aveva l’emorragia che io credevo si trattasse delle mestruazioni. Sono innocente, non ho fatto niente per farla abortire, né io né il mio amante. È mia figlia che meriterebbe essere ammazzata perché ha commesso questo delitto col marito soldato e perché poi ha pure parlato – ecco, adesso sappiamo con chi abbiamo a che fare!
Giuseppina è ormai sola e abbandonata da tutti; quando il Giudice Istruttore la interroga in carcere ritratta le accuse contro sua madre e Fofò per cercare di recuperarli e racconta anche del suo matrimonio:
– Sono sposata da circa un anno e mio marito era già sotto le armi quando l’ho sposato. Questi con me stette cinque giorni e poi partì. Mio marito, nei primi suoi contatti con me mi ha infettato di malattia venerea dalla quale mi ha curato il dottor Caputo e mi son guarita. Nessuno mi ha suggerito di introdurmi quell’asta di legno nell’utero, ma venne in mente a me di farlo. Voi vi meravigliate come una ragazza come me avesse potuto pensare a questa operazione per abortire, ma io insisto nel dirvi che nessuno me lo ha suggerito. Non è vero che io abbia chiesto medicine per abortire, come non è vero che mia madre mi ha fatto fare dei pediluvi ed il Pulice mi ha dato medicine o altro. Se il Maresciallo ha scritto così, ha scritto, è vero, quanto io gli ho dichiarato, ma io gli ho dichiarato quello che mi leggete senza capire quel che dicevo perché in quel momento, per la forte emorraggia mi sentivo una confusione nel cervello…
Intanto arriva la querela del marito di Giuseppina per adulterio e Adolfo Pulice, che finora era scampato all’arresto per la correità nell’aborto, finisce in cella per la correità nell’adulterio, ma c’è un colpo di scena: Pasquale Caputo perdona la moglie. Prima le scrive alcune lettere e poi la va a trovare in carcere.
Posta Militare 2-6-942
(…) dopo quello che accaduto mi sono anche sottomesso a scriverti ma atte non te passato nemmeno per la testa perché sei sempre la stessa e ai sempre lo stesso cuore ingrato verso di me ma pur troppo ai ragione perché io sono lontano e non da vicino perciò il tuo cuore e di chi e vicino ma non importa che io sofro per causa tua ma verrà un giorno che capirai. (…) Io cara Pina mi viene da pensare il nostro passato e pensando alla nostra sportuna e mi viene da piangere ma ancora mi sempra di sognare che questo non e vero perché ai già conosciuto il mondo di fare la buona e di non dire niente annessuno che io ti scrivo perché la gente sono malvagie che io se posso fare di qui faccio, senò sconta la tua punizzione così tu finisci la tua punizzione e io il soldato e saremo di nuovo uniti (…).
Poi una settimana dopo
Posta Militare 9-6-942
(…) ti prego di non fare sapere niente a nessuno perché senò mi chiamano uomo cornuto e mangia mangia che dopo quello che tu ai fatto ti scrivo ancora: ti prego di fare tutto quello che io ti dico e non seguirti di testa tua e stai contenta e scrivimi per via aeria così ti posso rispondere subito. Ti invio i più cari saluti e mi sento di avere ancora fiducia in te e stai contenta che spero di accomodare tutto presto (…).
Ma Pasquale non presenta alcuna remissione di querela, forse perché richiamato in fretta e furia dalla licenza e spedito sul fronte greco, così il Pubblico Ministero chiede il rinvio a giudizio di tutti e tre gli imputati per il reato di aborto e di adulterio per Giuseppina e Fofò. Le sue parole sono durissime:
(…) quantunque l’aborto sia stato procurato dalla Mollo, indubbiamente costei era stata convenientemente istruita ed educata al compimento dell’atto criminoso nel corrotto ambiente in cui era da molti anni vissuta e che l’aveva fin da giovinetta contaminata anche fisicamente con accoppiamenti contro natura che risultano dagli atti e che all’esame della regione anale non ci sembrano infondati.
L’azione dei correi non si limitò agli “insegnamenti” ed agli “ammaestramenti”, ma ebbe ben altra efficienza, specie se si tenga conto che la Mollo è appena ventenne e che la madre e il comune amante Pulice avevano interesse maggiore del suo ad eliminare il frutto dei turpi rapporti adulterini.
Sarebbe davvero voler chiudere gli occhi alla luce del sole e gli orecchi alla voce della verità se si ritenesse che una giovinetta appena ventenne fosse capace di procurarsi da sola l’aborto con un mezzo meccanico, cioè con la ripetuta introduzione nel collo uterino e nell’utero di un’asta di legno sapientemente adattata allo scopo.
Piena ugualmente è la prova dell’adulterio ascritto alla Mollo ed al Pulice in ordine al quale non esistono in processo prove certe e sufficienti per ritenere che il querelante Caputo Pasquale abbia manifestato per facta concludentia la volontà di rimettere la querela.
Questo è anche il convincimento del Giudice Istruttore e i tre vengono rinviati a giudizio.
Ma c’è un ma. Se è vero che non esiste la prova della volontà di Pasquale di rimettere la querela contro Giuseppina, è altrettanto vero che non esiste nel processo la sua costituzione di parte civile e ammesso che voglia farlo, non può perché è ricoverato in uno sperduto ospedale da campo in Grecia. Sua madre lo sollecita e, dal tenore della risposta di Pasquale, sembrano chiare le pressioni esercitate sul giovane perché tolga il perdono a Giuseppina:
(…) Dunque cara matre mi dici se sono ancora disubidiente con voi genitori nò mamma non lo sono più; mi dici che ai fatto rimandare la causa a novembre ai fatto bene ma tu cosa credevi che perché ci scrivevo ci perdonavo la causa? (…) per quanto ho mancato prima spero di non mancare più perché non sono più un bambino! (…) E non pensate niente che non lo perdonata e non la perdono mai. Solo che sono allo spedale in certe condizzioni un po triste e non so come fare il mio comando è lontano circa 200 chilometri e non so come fare, intanto vedete se la potiti fare seno mi fate fare la richiesta del procuratore di Re al comando cosi mi rimpatriano, ma dite allo avocato di farmi la divisione legale e non pensate niente (…).
Il 30 novembre 1942, il Tribunale di Cosenza dichiara i tre imputati colpevoli del reato di procurato aborto. Giuseppina e sua madre godono dell’attenuante della causa d’onore e prendono un anno di reclusione ciascuna; ad Adolfo Pulice, invece, durante il dibattimento viene contestata la recidiva specifica per un vecchio fatto analogo e becca tre anni di reclusione. Giuseppina e Pulice si salvano dalla condanna per l’adulterio in quanto il reato viene amnistiato.
In appello le pene verranno ridotte a 8 mesi per le due donne e a 2 anni per Pulice.[1]
[1] ASCS, Processi Penali.
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